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Così Mes e Recovery fund possono aiutare il lavoro delle donne. Girotondo di opinioni

Valeria Manieri

In Italia l'occupazione femminile è da sempre ai minimi rispetto agli standard europei. I due strumenti Ue sono un'occasione da non sprecare. Parlano Carfagna, Bonino, Sabbadini e Guerra

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Qualche giorno fa l'Istat ha indicato una buona espansione dell'occupazione femminile nel mese di luglio, segnando un più 0,4 per cento rispetto al mese di giugno: circa 80 mila donne in più hanno ottenuto un impiego. È ancora da appurare quale sia la tipologia di lavoratrici più toccate da questa crescita. Verosimilmente potrebbe trattarsi del settore dei servizi di cura e assistenza, il che potrebbe indicare una bittersweet symphony: donne che chiamano a raccolta altre donne perché esauste nella gestione di bambini, anziani, non autosufficienti, la cui tenuta è stata messa ancora più a dura prova durante il Covid.

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Qualche giorno fa l'Istat ha indicato una buona espansione dell'occupazione femminile nel mese di luglio, segnando un più 0,4 per cento rispetto al mese di giugno: circa 80 mila donne in più hanno ottenuto un impiego. È ancora da appurare quale sia la tipologia di lavoratrici più toccate da questa crescita. Verosimilmente potrebbe trattarsi del settore dei servizi di cura e assistenza, il che potrebbe indicare una bittersweet symphony: donne che chiamano a raccolta altre donne perché esauste nella gestione di bambini, anziani, non autosufficienti, la cui tenuta è stata messa ancora più a dura prova durante il Covid.

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Il prezzo che le donne stanno ancora pagando nella lunga coda della pandemia, a dispetto dei dati, è ancora altissimo. Pesano ancora molto uno smart working complicato, gli spazi ridotti e le incertezze sul rientro a scuola dei figli. Che una quota di donne si rimetta in cerca di lavoro è positivo, ma è un fenomeno che abbiamo imparato a osservare a ogni crisi importante, negli ultimi decenni. Non appena nelle famiglie cala o si perde reddito, le donne rientrano nel mercato del lavoro piuttosto celermente. Si tratta di un ingresso dalle porte girevoli, non sempre duraturo. 

    
Tempo fa il ministro delle Pari opportunità Elena Bonetti, attivissima sul fronte femminile, twittava: "Le donne stanno pagando un prezzo altissimo per la crisi da Covid-19. Serve uno strumento shock come la decontribuzione del lavoro femminile". Il mercato del lavoro è molto sensibile ai cambiamenti, nel bene e nel male. L'occupazione femminile è da sempre ai minimi rispetto agli standard europei, non sarebbe dunque male darsi da fare. Il Recovery fund è una occasione ghiottissima su questo fronte, così come lo è il Mes. Abbiamo parlato di tutto questo con alcune donne importanti come la vice presidente della Camera Mara Carfagna, la senatrice Emma Bonino, la direttrice centrale dell'Istat Linda Laura Sabbadini e con Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria all'Economia. Allerta spoiler: sono tutte d'accordo sul fatto che il tema "donne e occupazione" non sia più rimandabile.

  

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"Le donne", dice al Foglio Mara Carfagna, "hanno pagato il prezzo più alto durante il lockdown in termini di impegno e di sforzi profusi. Hanno lavorato, si sono prese cura della famiglia e si sono anche sostituite o affiancate alla scuola. Eppure tutte abbiamo perso e, se non interveniamo subito, perderemo in futuro. Rischiamo molti posti di lavoro per le donne, anche se sono molto scolarizzate, qualificate, ambiziose".

   

Concorda anche Emma Bonino, da anni impegnata anche su questo fronte. "Le donne italiane, già prima del Covid, lavoravano meno di tutte le donne europee", dice al Foglio la senatrice. "Quasi una su due stava a casa. La ripartizione dei tempi e degli oneri rispetto alle incombenze domestico-familiari (casa, bambini, anziani e malati) è particolarmente squilibrata, eppure culturalmente legittimata. ll welfare familiare, in Italia, sono le donne". L'urgenza è chiara, ma occorre definire con quali strumenti si possa affrontare concretamente la questione. E la ricetta non è univoca, come abbiamo appurato con Il Foglio. 

  

Mara Carfagna ad esempio, come proposto dal ministro Elena Bonetti, vuole utilizzare i soldi del Recovery Fund anche per importanti agevolazioni sul piano delle assunzioni al femminile. Ma è una via praticabile anche in un momento di scarsa domanda di lavoro? "Ho lanciato la proposta del fronte trasversale delle donne proprio perché l’occupazione femminile va incentivata in modo strutturale, non occasionale. È una via praticabile, lo dimostra l’ esperienza degli altri paesi europei. Invito quelle che ci credono a confrontarsi sugli obiettivi e sulle proposte. Le madri costituenti si unirono per scrivere l’articolo 3 sull'uguaglianza. Quanto ai fondi, sono disposta anche ad andare in piazza se dovesse rendersi necessario, e scommetto che non sarei sola".

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Su questo la sottosegretaria Maria Cecilia Guerra sottolinea come la disoccupazione femminile abbia un indirizzo ben preciso: "Il lavoro di cura di figli e delle persone fragili della famiglia, la riproduzione e la conservazione della forza lavoro sono problemi sociali, che attengono alla collettività. Noi non andiamo mai a intaccare il problema alla radice: le lavoratrici generalmente escluse dal mercato del lavoro sono madri, secondo le statistiche la metà delle donne con figli sono disoccupate o inoccupate. Da qui dobbiamo partire, dalle evidenze".

  

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La sottosegretaria all'Economia però non punterebbe sulle leve fiscali e gli sgravi alle assunzioni, che sembrano convincerla poco, quanto piuttosto su un piano pubblico "che crei una offerta di servizi sul territorio, come asili nido e agenzie che forniscano figure professionali legate alla cura e all' assistenza, oggi troppo spesso legate al passaparola". Questo peraltro secondo Maria Cecilia Guerra risolverebbe anche il problema di un sovraccarico delle strutture ospedaliere italiane da sempre gravate da ricoveri non necessari e dall'assenza di servizi di assistenza domiciliare o di prossimità. "Non occorre per forza spendere molto di più, ma bisogna sicuramente spendere meglio".

   

Anche Emma Bonino pone la questione dei servizi di cura e assistenza, puntando a un sistema misto, che però integri anche l'offerta privata. Bonino rilancia la sua proposta dei voucher per i servizi alla persona, sul modello francese. "Serve un welfare con strumenti di finanziamento diverso. In questa logica da parecchi anni sostengo una proposta, elaborata da Roberto Cicciomessere, che ho ripresentato anche in questa legislatura. Abbiamo proposto l’istituzione di un voucher universale per i servizi alla persona, di semplice acquisto e utilizzo. I voucher incorporano un contributo pubblico e possono contribuire a far emergere il “nero” annidato nel lavoro di cura; potrebbero essere spesi in modo ampio, dalle spese per i ricoveri per anziani a quelli delle badanti, dalle rette degli asili alle baby sitter".

   

Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale Istat, ricorda a ogni occasione utile quanto sia importante raggiungere l'obiettivo del 60 per cento di posti garantiti negli asili nido italiani da raggiungere tramite i fondi europei a disposizione, ovviamente ricordando la sfida di un rilancio importante dell'occupazione femminile. Poco tempo fa il segretario pd Zingaretti ha accolto la sua proposta, almeno a parole, così come la vice presidente della Camera, la cinque stelle Maria Edera Spadoni. Secondo la direttrice Istat "il Recovery fund è una occasione non solo per costruire infrastrutture fisiche, ma per ripensare alle infrastrutture sociali. Con i fondi che avremo a disposizione è un 'ora o mai più'. Servono investimenti nella sanità. Ci sarebbero ricadute occupazionali femminili importanti. Ci servono servizi di cura a tutto tondo, per bambini e anziani. Va bene pensare a un mix di servizi offerti anche da privati, ma solo dopo che avremo raggiunto sui nido almeno il 33 per cento di offerta pubblica, che è un obiettivo rimasto inevaso nel tempo. Le infrastrutture per la cura sono un volano per uno crescita equilibrata, economicamente e socialmente".

   

Le nostre intervistate sanno che bacchette magiche per l'occupazione femminile non ne esistono, ma sono quasi tutte d'accordo per un utilizzo rapido del Mes, che giungerebbe ben prima e opportunamente rispetto al Recovery fund. Il Mes si rivolge principalmente a interventi nel campo della sanità e potrebbe quindi riguardare anche un ipotetico piano infrastrutturale rivolto alle reti di assistenza e cura. E le donne sotto tanti aspetti sono ancora il target più interessato sia dal punto di vista della domanda di servizi che da quello dell'offerta di forza lavoro. 

  

Se Guerra non ha alcuna preclusione per il Mes, pur preferendo il Recovery fund "perché strumento della Commissione e non intergovernativo", Carfagna ribadisce che rinunciare al Mes per un puro pregiudizio ideologico sarebbe una follia. "È denaro erogato quasi a tasso zero da investire in sanità e ne abbiamo un gran bisogno. È ovvio che questo abbia una ricaduta positiva anche sull’occupazione femminile, visto che le donne medico sono più del 40 per cento del totale, con dati in crescita negli ultimi anni".

  

La senatrice di +Europa non solo è d'accordo, ma rilancia. "Sul Mes siamo già non solo oltre al ragionevole, ma oltre al decente. Abbiamo un ministro della salute che fa piani da 20 miliardi, siamo tra i paesi Ocse che hanno il peggiore rapporto tra personale sanitario (medici e infermieri) e popolazione, abbiamo una rete ospedaliera e di cura territoriale molto disuguale. In tutto questo abbiamo un presidente del Consiglio che dice che il Mes non serve, altri ministri che dicono che è ancora presto per decidere. La sanità non è solo un servizio essenziale, ma anche un mercato il cui peso economico destinato a crescere con l’invecchiamento della popolazione". Sarebbe auspicabile che in una fase cosi' complessa si facesse il possibile per immaginare infrastrutture sociali capaci di auto-mantenersi nel tempo, magari con un mix di interventi mirati in cui pubblico e privato siano coinvolti in egual misura. E infatti Mara Carfagna precisa: "Credo nell’iniziativa privata e anche nella libertà di insegnamento, così come sono convinta da sempre che le famiglie abbiano diritto di scegliere dove e come educare i figli, quindi porte aperte agli asili privati purché rispettino gli standard necessari. Ciò non toglie che l'offerta di servizi educativi per l'infanzia pubblici debba crescere in maniera significativa, soprattutto al Sud dove sono pochissimi".

   
Sul ruolo dello “stato investitore” che vede e provvede su ogni questione, ritorna con forza Emma Bonino: "Visto che tutto quello che lo Stato sta spendendo sono debito nazionale oppure contributi europei, bisogna fare in modo di evitare che questa spesa finisca, anche nel settore dei servizi, in un assistenzialismo che incrementa la rendita per qualcuno e non il beneficio per tutti. Io non credo che oggi le istituzioni pubbliche siano in grado di gestire processi e trasformazioni che neppure comprendono fino in fondo. Si pensi alla questione dei famosi “navigator” e a come è finita". L'occupazione femminile è centrale per la ripresa del paese, ma è essenziale individuare gli strumenti giusti e flessibili che si adattino bene a una realtà incredibilmente mutevole.  C'è un mercato del lavoro oggi ridotto male, quantitativamente e qualitativamente. Ci sono però tempi, spazi, competenze da immaginare da capo. E le donne devono essere in prima fila.

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