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Perché il “capitalismo paziente” è un grave rischio per la rete unica

Stefano Cingolani

Le parole di Palermo (Cdp), i passi da compiere e la differenza tra spinta alla modernizzazione e pubblicizzazione delle perdite

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Roma. E’ il calcio di inizio, è un cammino che ricomincia dopo 25 anni e dieci amministratori delegati, un passo per colmare il fossato digitale che divide l’Italia e la separa dagli altri paesi industrializzati. L’accordo per avviare il percorso a ostacoli verso la rete unica è stato accolto quasi ovunque con sollievo e speranza. Per Beppe Grillo, che vuole la statalizzazione integrale, occorreva più coraggio ma anche lui in sostanza approva. Se si tratta di una spinta alla modernizzazione, sia pure dando vita a un centauro in parte pubblico e in parte privato (come Enrico Cuccia definì la sua Mediobanca), ebbene anche i puristi potrebbero turarsi il naso. Se invece nasconde di nuovo una pubblicizzazione delle perdite, allora è tutt’altra faccenda. Il “capitalismo paziente”, teorizzato da Fabrizio Palermo nell’intervista di ieri al direttore della Repubblica Maurizio Molinari, è senza dubbio un ossimoro, tuttavia ne abbiamo viste di peggio. L’amministrazione delegato, inoltre, si impegna affinché la Cassa depositi e prestiti operi “secondo criteri privatistici” e ricorda che investe “tutti soldi privati” anche se lo fa seguendo le indicazioni del governo. Molte cose restano da chiarire. Lunedì è stato annunciato che Tim scorpora la sua rete secondaria (quella che va dagli “armadi” alle case) e la passa a una società chiamata FiberCop nella quale entrano Fastweb, conferendo la sua rete, e il fondo Kkr che porta denaro liquido (1,8 miliardi per il 37 per cento delle azioni). Tim avrà il 50,1 per cento. Cdp, azionista di Tim, eserciterà il ruolo di garante in vista della seconda fase, la più importante e complessa, che dovrebbe partire entro il prossimo marzo. Si tratta di fondere FiberCop e Open Fiber, controllata al 50 per cento dalla stessa Cdp e dall’Enel, per dar vita a una nuova società chiamata AccessCo che comprenda in prospettiva anche la rete primaria e venga cogestita da Tim e Cdp.

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Roma. E’ il calcio di inizio, è un cammino che ricomincia dopo 25 anni e dieci amministratori delegati, un passo per colmare il fossato digitale che divide l’Italia e la separa dagli altri paesi industrializzati. L’accordo per avviare il percorso a ostacoli verso la rete unica è stato accolto quasi ovunque con sollievo e speranza. Per Beppe Grillo, che vuole la statalizzazione integrale, occorreva più coraggio ma anche lui in sostanza approva. Se si tratta di una spinta alla modernizzazione, sia pure dando vita a un centauro in parte pubblico e in parte privato (come Enrico Cuccia definì la sua Mediobanca), ebbene anche i puristi potrebbero turarsi il naso. Se invece nasconde di nuovo una pubblicizzazione delle perdite, allora è tutt’altra faccenda. Il “capitalismo paziente”, teorizzato da Fabrizio Palermo nell’intervista di ieri al direttore della Repubblica Maurizio Molinari, è senza dubbio un ossimoro, tuttavia ne abbiamo viste di peggio. L’amministrazione delegato, inoltre, si impegna affinché la Cassa depositi e prestiti operi “secondo criteri privatistici” e ricorda che investe “tutti soldi privati” anche se lo fa seguendo le indicazioni del governo. Molte cose restano da chiarire. Lunedì è stato annunciato che Tim scorpora la sua rete secondaria (quella che va dagli “armadi” alle case) e la passa a una società chiamata FiberCop nella quale entrano Fastweb, conferendo la sua rete, e il fondo Kkr che porta denaro liquido (1,8 miliardi per il 37 per cento delle azioni). Tim avrà il 50,1 per cento. Cdp, azionista di Tim, eserciterà il ruolo di garante in vista della seconda fase, la più importante e complessa, che dovrebbe partire entro il prossimo marzo. Si tratta di fondere FiberCop e Open Fiber, controllata al 50 per cento dalla stessa Cdp e dall’Enel, per dar vita a una nuova società chiamata AccessCo che comprenda in prospettiva anche la rete primaria e venga cogestita da Tim e Cdp.

 

Nei prossimi giorni Palermo incontrerà Francesco Starace, ad dell’Enel, che ha risposto prendendo tempo. La compagnia elettrica è quotata e non può penalizzare i propri azionisti. La Cassa potrebbe comprare una piccola quota che la porti in maggioranza, ma Starace vorrà valorizzare le azioni Enel. Acquistare l’intera metà costerebbe almeno 3,8 miliardi di euro stando alle ultime stime in base alle quali si sta trattando con il fondo australiano Macquarie. Insomma, siamo solo alle prime mosse di una partita a scacchi tra due dita della mano pubblica, Enel e Cdp, che fanno capo entrambe al governo. Una volta superato questo scoglio e dopo aver ottenuto il via libera dalle autorità di garanzia italiane ed europee (tutt’altro che scontato), partirà la costruzione della rete unica. Realisticamente sarà nel 2022. Di qui ad allora molte cose possono accadere e molti scenari possono cambiare. A cominciare dall’avvio della rete mobile 5G che consente di collegarsi a velocità pari o persino superiore a quella della rete fissa. Il passaggio al 5G, ha spiegato Palermo, “non è specificatamente previsto”. Ma proprio da qui dovrebbero arrivare i guadagni, mentre una rete che copra le aree non remunerative richiede investimenti massicci senza ritorno immediato. E’ programmato, del resto, che il margine operativo lordo superi la spesa per investimenti solo nel 2025 quando il 57 per cento verrà dal collegamento in fibra ottica. La Cdp è disposta a rinviare gli eventuali utili, però non può impiegare in perdita il risparmio postale dal quale è alimentata. Senza dubbio Palermo non lo vuole, eppure non è chiaro né come potrà guadagnare da questa operazione né quanto pagheranno gli utenti. Dal canto suo, Kkr ha messo le mani avanti: come condizione per l’investimento in FiberCop vuole un ritorno del 9 per cento l’anno, pari a 160 milioni di euro tondi tondi. Niente male. Quanto chiederà per far parte di AccessCo? E quanto Macquarie? Profitti garantiti per i fondi di investimento e non per il “fondo sovrano” della Repubblica italiana? Tim non pensa certo di arricchirsi con la rete; finora ha perso margini e valore di borsa (ieri il titolo ha chiuso in perdita: -2,06 per cento), ma, messo al sicuro il fardello infrastrutturale (che comunque le serve come garanzia dell’indebitamento), può trasformarsi pienamente in una società di servizi e competere con tutti gli altri operatori, anche con i nuovi arrivati come Sky. Il nodo più intricato sta proprio qui: non solo chi comanda, ma anche chi investe e chi guadagna. Siccome con c’è ancora un business plan, non è possibile capirlo. Ma una cosa è certa: se centauro deve essere, la testa non può restare staccata dal corpo.

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