PUBBLICITÁ

La scalata di Del Vecchio in Mediobanca/Generali e le paranoie sovraniste

Stefano Cingolani

“Nessuno è profeta in patria” racconta chi è vicino a Leonardo Del Vecchio. I nazional-populisti lo credono un cavallo di Troia per operazioni oscure. Patriota o collaborazionista?

PUBBLICITÁ

Che cosa vuole Leonardo Del Vecchio? La domanda gira da mesi nei cortili della politica e nei grattacieli della finanza. Ora che la Vigilanza della Bce gli ha concesso di salire fino al 20 per cento in Mediobanca, l’interrogativo si carica di ansia, d’angoscia persino.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Che cosa vuole Leonardo Del Vecchio? La domanda gira da mesi nei cortili della politica e nei grattacieli della finanza. Ora che la Vigilanza della Bce gli ha concesso di salire fino al 20 per cento in Mediobanca, l’interrogativo si carica di ansia, d’angoscia persino.

PUBBLICITÁ

 

Dice chi ha conosciuto l’ex martinitt in terra veneta, quando la Luxottica stava scalando la vetta degli affari: “Ha raggiunto i suoi obiettivi, ha quasi sistemato la successione, ma arrivato a 85 anni, con tutti i successi e le ricchezze accumulate, sente di non contare quanto dovrebbe. Nessuno è profeta in patria e lui ancor meno”.

 

PUBBLICITÁ

Il patron della Luxottica non parla direttamente, ma dal suo entourage invitano a rileggersi quel che aveva dichiarato nel novembre scorso quando venne alla luce la scalata: l’obiettivo è dare un azionista di riferimento e un azionariato stabile alla banca d’affari e alle Assicurazioni Generali delle quali Mediobanca è primo azionista con il 13 per cento e Del Vecchio socio con poco meno del 5 (per ora).

 

A Francoforte gli hanno creduto, a Roma e a Milano no. Né la Banca d’Italia né la Consob hanno acceso il semaforo verde, mentre il mondo nazional-populista lo considera il cavallo di Troia per operazioni oscure che vengono dall’estero, in particolare dalla Francia, con l’obiettivo di rubare la “cassaforte degli italiani”, ovvero le Generali. C’è logica in questa follia?

 

In borsa sostengono che Del Vecchio abbia già il 13-14 per cento di Mediobanca superando così la quota del 12,6 per cento del patto di consultazione.

PUBBLICITÁ

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Dunque è l’azionista numero uno. Negli ultimi giorni si è mosso con passo felpato ed è stato lui stesso a informare Alberto Nagel, amministratore delegato della banca di Piazzetta Cuccia, dell’ok ottenuto dalla Bce. Ai “vigilantes” europei guidati da Andrea Enria ha ribadito che intende portare stabilità e spirito d’iniziativa, ha intenzione di esercitare i suoi diritti e avanzare le sue proposte sulle scelte strategiche, ma non vuole sconfessare né tanto meno disarcionare gli attuali vertici.

 

La partita dunque non si giocherà da qui al 28 ottobre quando verrà rinnovato il consiglio di amministrazione in base a una lista presentata dal vecchio cda, ma all’assemblea della prossima primavera. Lo stesso avverrà, logicamente, anche nelle Generali dove Del Vecchio non vuol fare l’azionista passivo.

 

Nel 2011, durante la presidenza di Cesare Geronzi, si dimise in dissenso con il vertice. Recentemente ha sollevato obiezioni, attraverso Romolo Bardin, il suo rappresentante in consiglio, sull’acquisto del 24,4 per cento della Cattolica Assicurazioni, chiedendo che la trasformazione in spa della storica cooperativa fosse un prerequisito. Posizione appoggiata anche da Caltagirone azionista delle Generali con il 5,11 per cento che per il momento attende e vigila. Sembra che il secondo uomo più ricco d’Italia abbia contattato l’uomo più ricco, cioè Giovanni Ferrero presente con una piccola quota dello 0,64 per cento nel patto di Mediobanca che comprende tra gli altri Doris, Berlusconi, Gavio, Angelini, Lucchini, Seragnoli. Il contatto è stato però smentito nel corso della giornata.

 

Secondo una voce di borsa Vincent Bolloré sarebbe disponibile a cedere un’altra fetta del suo 5,7 per cento. Impegnato in altre partite spinose come Tim e Mediaset, il finanziere bretone preferisce disincagliarsi da Mediobanca, tanto che sua figlia Marine lascia il posto in consiglio. Del Vecchio, dunque, non è l’emissario di Bolloré. E allora chi sono i poteri forti transalpini che lo sostengono? E quando un imprenditore di successo, lodato e osannato, è diventato un cavallo di Troia?

 

Per cercare una risposta bisogna andare prima in Lussemburgo e poi a Milano. Nel granducato opera la Delfin, holding del gruppo che controlla tutte le attività, dalla Essilux (Essilor-Luxottica) alle estese proprietà immobiliari fino alle partecipazioni azionarie. Nel capoluogo lombardo c’è la Unicredit. La banca, guidata dal francese Jean Pierre Mustier, ha venduto all’eccellentissimo cliente parte della quota che possedeva nell’istituto di piazzetta Cuccia, e finanzia i fondi esteri con i quali opera Del Vecchio.

 

La Unicredit, inoltre, ha tentato di opporsi all’offerta lanciata da Carlo Messina, l’ad di Intesa Sanpaolo, per acquisire la Ubi Banca, operazione gestita da Alberto Nagel e Renato Pagliaro, il duo che guida la Mediobanca da 17 anni. Un asse Del Vecchio-Mustier farebbe da contrappeso alla coppia Messina-Nagel oggi al vertice del sistema finanziario (con ricadute anche sull’editoria visto il legame di entrambi con la Rcs).

 

Ma nelle menti del Copasir, diventato una sorta di comitato per la pianificazione economica, c’è del marcio in quegli intrecci italo-franco-lussemburghesi. Il vicepresidente Adolfo Urso, senatore di Fratelli d’Italia, vuole un potere di veto del governo sulla borsa e le operazioni più importanti, sostenuto dalla Lega salviniana e dai pentastellati. Una misura che oggettivamente congela l’assetto di Mediobanca e blocca Del Vecchio. Il tentativo di introdurre un super golden power finora non è passato, ma ha lasciato l’amaro in bocca anche nel M5s. I sovranisti sbandierano il pactum sceleris con Emmanuel Macron: all’Italia i finanziamenti per la ripresa, ai francesi i nostri campioni nazionali. Fiuto politico o paranoia? A svelarlo saranno le prossime mosse del risiko.

PUBBLICITÁ