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Il capitalismo futuro spiegato da due novità a Wall Street: fuori Exxon e Pfizer

Stefano Cingolani

Il gigante petrolifero e l'azienda farmaceutica escono dall'indice Dow Jones per far spazio all'area digitale. Ma c'è chi non è d'accordo

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Roma. Il capitalismo cambia, come sempre, come nella sua natura, e per capire come bisogna guardare all’indice Dow Jones. Ogni volta che il club dei primi trenta titoli azionari quotati alla borsa di Wall Street, iscrive o cancella una società, l’intero Gotha della finanza e dell’economia mondiale ha un sussulto. L’ultimo rimpasto, annunciato lunedì, ha fatto davvero notizia. Esce la Exxon Mobil, il colosso petrolifero mondiale che una decina di anni fa era al primo posto tra le blue chip, erede della Standard Oil fondata da John Davison Rockefeller, l’americano più ricco di tutti i tempi (ai valori odierni avrebbe un patrimonio sei volte superiore a quello di Jeff Bezos). Per molti versi è una scelta simbolica, non solo tecnica, la conferma che l’era degli idrocarburi volge al termine (sia pur in un tempo medio-lungo) per far posto all’era digitale, poiché il titolo viene sostituito da Salesforce, una delle maggiori imprese nel business del cloud. Con la Exxon lasciano la collana due altre perle: niente meno che Pfizer tra i primi gruppi farmaceutici mondiali e Raytheon protagonista nell’industria della difesa. Vengono rimpiazzati da Amgen, nata negli anni ’80 con il boom delle biotecnologie e considerata da Business Week “l’azienda più orientata al futuro”, e da Honweywell che spazia tra l’automazione, l’aeronautica, i materiali speciali. Anche loro sono frutto di questa grande trasformazione, anzi si può dire che la Honeywell l’ha introiettata più volte. Quando nel 1896 Charles Dow, il fondatore del Wall Street Journal, e lo statistico Edward Jones pubblicarono il primo indice, tra le 12 compagnie delle quali era allora formato c’erano i giganti della gomma, dello zucchero, del tabacco, delle ferrovie, dell’elettricità. Il petrolio sarebbe arrivato dopo. C’era anche la General Electric, unica superstite perché ha saputo accompagnare i mutamenti del sistema.

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Roma. Il capitalismo cambia, come sempre, come nella sua natura, e per capire come bisogna guardare all’indice Dow Jones. Ogni volta che il club dei primi trenta titoli azionari quotati alla borsa di Wall Street, iscrive o cancella una società, l’intero Gotha della finanza e dell’economia mondiale ha un sussulto. L’ultimo rimpasto, annunciato lunedì, ha fatto davvero notizia. Esce la Exxon Mobil, il colosso petrolifero mondiale che una decina di anni fa era al primo posto tra le blue chip, erede della Standard Oil fondata da John Davison Rockefeller, l’americano più ricco di tutti i tempi (ai valori odierni avrebbe un patrimonio sei volte superiore a quello di Jeff Bezos). Per molti versi è una scelta simbolica, non solo tecnica, la conferma che l’era degli idrocarburi volge al termine (sia pur in un tempo medio-lungo) per far posto all’era digitale, poiché il titolo viene sostituito da Salesforce, una delle maggiori imprese nel business del cloud. Con la Exxon lasciano la collana due altre perle: niente meno che Pfizer tra i primi gruppi farmaceutici mondiali e Raytheon protagonista nell’industria della difesa. Vengono rimpiazzati da Amgen, nata negli anni ’80 con il boom delle biotecnologie e considerata da Business Week “l’azienda più orientata al futuro”, e da Honweywell che spazia tra l’automazione, l’aeronautica, i materiali speciali. Anche loro sono frutto di questa grande trasformazione, anzi si può dire che la Honeywell l’ha introiettata più volte. Quando nel 1896 Charles Dow, il fondatore del Wall Street Journal, e lo statistico Edward Jones pubblicarono il primo indice, tra le 12 compagnie delle quali era allora formato c’erano i giganti della gomma, dello zucchero, del tabacco, delle ferrovie, dell’elettricità. Il petrolio sarebbe arrivato dopo. C’era anche la General Electric, unica superstite perché ha saputo accompagnare i mutamenti del sistema.

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Da tempo il Dow Jones ha perso la sua esclusività. Non è basato sulla capitalizzazione di borsa, ma sui prezzi delle azioni divisi per un certo fattore (pari a 0,1458 nel giugno di quest’anno) che varia a sua volta in funzione dei dividendi pagati. Insomma, l’indice rispecchia la mutevolezza della finanza rispetto alla stabilità espressa molto più dallo Standard & Poor’s 500 o dal Russell 3000. E tuttavia il termometro che misura la febbre della economia, anche di quella cosiddetta reale, resta sempre quello nato oltre un secolo fa, l’unico capace di offrire una visione di lungo periodo sulla evoluzione del capitalismo. Anche l’ultima scelta compiuta dal comitato di esperti lo dimostra.

 

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Non sono mancate le critiche. Perché non includere Facebook, si è chiesto Barron’s, al posto della meno iconica Salesforce. Oltre tutto la creatura di Mark Zuckerberg ha un valore di mercato quattro volte superiore (760 miliardi di dollari rispetto a 186 miliardi) e batte la rivale anche applicando il fattore Dow. E perché non Alfabet (Google) o Amazon? Una ragione riguarda la loro natura: fanno ormai parte di un universo già ben presente (per esempio con Apple, Microsoft Ibm, Cisco). Si è voluto dunque privilegiare una impresa con più tecnologia al suo interno. Quanto a Exxon, il petrolio non è stato espulso del tutto, al contrario è rappresentato da Chevron che quota circa il doppio (87 dollari ad azione). La scelta di cancellare Pfizer solleva anch’essa molti dubbi. Il gruppo farmaceutico si sta impegnando nel vaccino contro il Covid-19 insieme alla tedesca BioNTech e ha annunciato che entro ottobre chiederà l’approvazione delle autorità. E’ un obiettivo lodevole, ma impiega una enorme quantità di capitali ed è altamente rischioso. Una sconfitta rispetto agli altri concorrenti in quella corsa per la vita e per la morte anche sul piano economico e finanziario, rende cauti gli investitori e mette in ansia i guru di Wall Street. Nel valutare le scelte compiute, dunque, bisogna entrare nel merito, analizzare i criteri e tener conto degli aspetti tecnico-finanziari. Ma non si può negare la metafora: il capitalismo è Proteo e l’indice Dow Jones resta ancora il suo specchio.

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