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Debito pubblico, è ora di azzerare i dogmi

Claudio Cerasa

Sulla rotta di Draghi: oggi la questione chiave non è “se” lo stato debba fare debito, ma “come” usarlo. Una fase che spaventa rigoristi e anti rigoristi e che costringe tutti a uscire dalla facile stagione degli alibi. Occasioni da una storica rivoluzione che ancora non vogliamo vedere

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Sono passati tre giorni dal sontuoso discorso tenuto da Mario Draghi al Meeting di Rimini e a tre giorni di distanza c’è un passaggio del ragionamento offerto dall’ex presidente della Bce che non è stato sufficientemente messo a fuoco e che riguarda quello che forse è il vero tema dei temi della fase storica in cui ci troviamo: la fine, chissà quanto temporanea, di ogni dogma politico ed economico legato all’espansione del debito pubblico. Ronald Reagan, con una buona dose di cinica ironia, un tempo diceva che il debito pubblico americano era abbastanza grande per badare a se stesso e in un certo senso si può dire che il messaggio che Mario Draghi ha scelto di veicolare per ben due volte negli ultimi mesi è simile a quello dell’ex presidente degli Stati Uniti: il debito pubblico è diventato grande ormai, è tempo di verificare se è davvero in grado di badare a se stesso.

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Sono passati tre giorni dal sontuoso discorso tenuto da Mario Draghi al Meeting di Rimini e a tre giorni di distanza c’è un passaggio del ragionamento offerto dall’ex presidente della Bce che non è stato sufficientemente messo a fuoco e che riguarda quello che forse è il vero tema dei temi della fase storica in cui ci troviamo: la fine, chissà quanto temporanea, di ogni dogma politico ed economico legato all’espansione del debito pubblico. Ronald Reagan, con una buona dose di cinica ironia, un tempo diceva che il debito pubblico americano era abbastanza grande per badare a se stesso e in un certo senso si può dire che il messaggio che Mario Draghi ha scelto di veicolare per ben due volte negli ultimi mesi è simile a quello dell’ex presidente degli Stati Uniti: il debito pubblico è diventato grande ormai, è tempo di verificare se è davvero in grado di badare a se stesso.

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Lo spunto offerto da Mario Draghi non ha a che fare solo con la perimetrazione del debito buono e di quello cattivo ma ha a che fare con un invito ben più profondo che l’ex numero uno della Bce sembra voler rivolgere tanto al mondo politico quanto a quello economico: piantatela con le vecchie ideologie, superate i dogmi del passato, provate a guardare avanti e iniziate a entrare tutti nella stagione non più del “se” ma del “come”.

 

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La questione chiave, ha detto Draghi nel famoso articolo pubblicato a marzo sul Financial Times, non è “se”, bensì “come” lo stato debba utilizzare al meglio il suo bilancio. Può sembrare un ragionamento scontato ma se si sceglie di allargare l’inquadratura del soggetto si capirà facilmente qual è la ragione per cui la direzione indicata da Draghi in una certa misura spaventa tutti, sia i populisti sia gli anti populisti. La stagione del debito abbastanza grande da badare a se stesso è una stagione rischiosa sia per i rigoristi sia per gli anti rigoristi perché toglie linfa alle principali teorie economiche che si sono andate a confrontare negli ultimi anni non solo in Italia e che avevano al centro della propria dottrina politica più il “se” che il “come”.

 

Pensate ai nostri sovranisti, per esempio, che negli ultimi anni hanno provato in tutti i modi a parlare il meno possibile delle cose da fare (come spendere i soldi) e il più possibile di come trovare più soldi (fare più debito, nel migliore dei casi, o uscire dall’Europa, nel peggiore) e che oggi si trovano di fronte a una stagione in cui i molti soldi che ci saranno da spendere arriveranno anche grazie al maggiore debito concesso dall’Europa (in Italia sono circa 100 miliardi, quasi tutti stanziati finora più per spese correnti che per investimenti e i pochi investimenti, su sanità e scuola, sono per la maggior parte solo assunzioni e stabilizzazioni). Pensate ai nostri sovranisti (a cui va la nostra piena e incondizionata solidarietà). Ma pensate anche agli anti populisti e ai così detti rigoristi (più nel mondo accademico che nel mondo politico) che negli ultimi anni hanno basato buona parte delle proprie teorie economiche sulla difesa del rigore e sull’attenzione ai conti pubblici. Entrambe le scuole di pensiero si trovano come spiazzate dalla fase storica in cui viviamo e il messaggio di Draghi, abbandonate i vecchi dogmi, sembra essere in qualche modo indirizzato anche a loro: nella stagione della responsabilità, ciò che conta non è difendere le proprie ideologie, ma è offrire indicazioni utili e illuminate per sfruttare come si deve un’occasione storica. Non è un caso che nel suo discorso a Rimini, Mario Draghi abbia usato per ben due volte le parole di John Maynard Keynes per descrivere il futuro che ci attende. E non è un caso che il discorso di Rimini abbia ricordato a molti un discorso fatto un anno fa al forum internazionale delle banche centrali mondiali, a Sintra, in Portogallo, dove l’ex capo economista del Fondo monetario internazionale, Olivier Blanchard, keynesiano molto stimato da Draghi, introdusse un tema che oggi torna di attualità: in una stagione come quella attuale di tassi di interesse molto bassi, i debiti pubblici non devono più far paura per la loro dimensione ma solo per la loro sostenibilità sui mercati. Tradotto in termini più semplici: di fronte a tassi di interesse molto bassi, i governi illuminati non devono preoccuparsi troppo di quanto aumenta il debito pubblico ma devono preoccuparsi quasi esclusivamente di quanto le loro politiche pro crescita possano raggiungere dei risultati tali da non spaventare gli investitori internazionali.

 

La nuova stagione della responsabilità – in cui l’affidabilità di un paese non dipende più solo dall’entità del debito pubblico e in cui l’eventuale scarsità della crescita non dipende più dall’impossibilità di fare debito – spaventa sia i rigoristi sia gli anti rigoristi per una ragione semplice e disarmante: la comoda epoca del “se” è momentaneamente finita e l’èra del “come” costringe tutti a passare rapidamente da una politica attenta solo alle domande degli elettori a una politica attenta prima di tutto alle soluzioni e alle risposte da dare agli elettori (e sul tema dello spendere bene i soldi che ci sono i rigoristi avranno certamente più possibilità rispetto agli anti rigoristi di indicare una rotta di buon senso). “Davanti a circostanze imprevedibili”, è la teoria di Draghi, “per affrontare questa crisi occorre un cambio di mentalità, come accade in tempo di guerra”. Il primo che riuscirà a cambiare mentalità e a indicare le giuste coordinate della stagione del “come” farà bingo. E troverà in Draghi un alleato niente male.

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