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UN GRAN MANIFESTO PER UN PAESE DI GIOVANI DRAGHI

Alibi finiti. È ora di pensare a cosa possiamo fare noi per il futuro dell'Italia

Claudio Cerasa

Stavolta il Whatever it takes di Draghi non è rivolto alle istituzioni ma a un paese che deve avere coraggio

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Arrotonda gli spigoli. Smussa gli estremismi. Scommette sulla crescita. Elogia le trasformazioni. Combatte i pessimisti. Sculaccia i populisti. Difende l’Europa. Indica una speranza. Regala una direzione. E invita la classe dirigente del nostro paese a fare quello che in questi anni ha faticato a fare fino in fondo: guidare l’accelerazione del futuro imposta dalla pandemia, lottare per far coesistere libertà di mercato e giustizia sociale, interpretare da protagonisti una nuova divisione del mondo all’interno della quale la dicotomia nuove identità/vecchie identità è stata sostituita dalla dicotomia vecchie soluzioni/nuove soluzioni, dirigere finalmente il paese con coraggio, scommettendo sull’innovazione, puntando sull’efficienza e archiviando definitivamente la stagione della classe più digerente che dirigente.

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Arrotonda gli spigoli. Smussa gli estremismi. Scommette sulla crescita. Elogia le trasformazioni. Combatte i pessimisti. Sculaccia i populisti. Difende l’Europa. Indica una speranza. Regala una direzione. E invita la classe dirigente del nostro paese a fare quello che in questi anni ha faticato a fare fino in fondo: guidare l’accelerazione del futuro imposta dalla pandemia, lottare per far coesistere libertà di mercato e giustizia sociale, interpretare da protagonisti una nuova divisione del mondo all’interno della quale la dicotomia nuove identità/vecchie identità è stata sostituita dalla dicotomia vecchie soluzioni/nuove soluzioni, dirigere finalmente il paese con coraggio, scommettendo sull’innovazione, puntando sull’efficienza e archiviando definitivamente la stagione della classe più digerente che dirigente.

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Gli osservatori più maliziosi commenteranno il poderoso discorso consegnato ieri da Mario Draghi al Meeting di Rimini come il primo passo ufficiale dell’ex presidente della Banca centrale europea verso un obiettivo non impossibile chiamato Quirinale (o addirittura Palazzo Chigi) e utilizzeranno le sue parole come l’ennesima occasione per offrire ai lettori un qualche rinunciabilissimo retroscena politico. Se si sceglie però di commentare il discorso di Draghi utilizzando delle lenti meno appannate, non si potrà fare a meno di notare che tra le righe delle parole offerte ieri dall’italiano più influente del mondo emerge un messaggio, che è insieme politico e culturale, che costituisce il naturale proseguimento del vecchio e famoso “whatever it takes”.

 

All’epoca, il whatever it takes venne utilizzato dalla Bce per ridare fiducia ai mercati nell’ottica di una promessa solenne fatta dall’istituzione all’epoca guidata da Draghi: faremo di tutto per proteggere l’Europa. Oggi, il whatever it takes di Draghi ha una dimensione diversa e riguarda non più le istituzioni che devono proteggere i paesi dell’Europa ma i paesi dell’Europa che in una certa misura devono proteggersi da se stessi. E il passaggio dal WIT (whatever it takes) all’SBP (stop bullshit please) è tutto in queste frasi: “L’emergenza e i provvedimenti da essa giustificati non dureranno per sempre. Ora è il momento della saggezza nella scelta del futuro che vogliamo costruire”.

 

La dottrina “stop bullshit” si articola lungo quattro direttrici che in qualche modo costituiscono un piccolo ma formidabile manifesto del buon senso. La prima direttrice ha a che fare con tutti coloro che in questi anni hanno spacciato come un virus del nostro benessere ciò che invece coincideva con il vaccino e quando Draghi dice che “il fatto che occorra flessibilità e pragmatismo nel governare oggi non può farci dimenticare l’importanza dei princìpi che ci hanno sin qui accompagnato” centra un problema molto chiaro che potremmo sintetizzare così: i paesi che hanno intenzione di trasformare questa crisi in un acceleratore del futuro devono creare fiducia rispetto al futuro. E per creare fiducia occorre non erodere più alcuni princìpi considerati fondamentali: il sostegno al commercio globale, la non violazione del diritto internazionale, la lotta contro il protezionismo, la difesa della globalizzazione, la disciplina del mercato unico, il rispetto della concorrenza, la centralità del multilateralismo, la non indifferenza rispetto al futuro del debito pubblico, il rispetto del principio che non c’è solidarietà senza responsabilità.

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Per creare fiducia, dice Draghi, occorre difendere con i denti e gli artigli ciò che oggi costituisce la nostra difesa dalle incertezze del futuro. Ma per farlo, sembra voler dire Draghi, allargando il ragionamento dal fronte nazionalista che non si trova al governo a quello antisovranista che si trova oggi al governo, occorre “disperdere l’incertezza che oggi aleggia sui nostri paesi”. E il riferimento di Draghi in questo caso è ovviamente anche al governo italiano: “Stiamo ora assistendo a un rimbalzo nell’attività economica con la riapertura delle nostre economie. Vi sarà un recupero dal crollo del commercio internazionale e dei consumi interni; potrà esservi una ripresa degli investimenti privati e del prodotto interno lordo che nel secondo trimestre del 2020 in qualche paese era tornato a livelli di metà anni ’90; ma una vera ripresa dei consumi e degli investimenti si avrà solo col dissolversi dell’incertezza che oggi osserviamo e con politiche economiche che siano allo stesso tempo efficaci nell’assicurare il sostegno delle famiglie e delle imprese e credibili, perché sostenibili nel tempo”.

 

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L’Italia, sembra voler dire Draghi, deve aver fiducia nel futuro, deve aver consapevolezza dei suoi mezzi, deve combattere i professionisti della paura (e i numeri relativi alla produzione industriale e all’indice Pmi, come segnalato due giorni fa anche dal Financial Times, sembrano suggerire che la resilienza italiana potrebbe essere migliore di ogni previsione) ma per farlo il nostro paese deve ricordare che mai come oggi il suo avvenire è tutto nelle sue mani e che per poter combattere la politica delle bullshit occorre una svolta vera in un tratto della politica contemporanea: occuparsi del futuro archiviando finalmente quelle politiche del passato che hanno provato a spacciare con un certo successo come difesa del futuro la semplice difesa del consenso (a partire, dice Draghi, dalla politica dei sussidi a pioggia).

  

Privare un giovane del futuro, sostiene Draghi, è una delle forme più gravi di diseguaglianza esistenti nel mondo contemporaneo. E una politica che vuole essere al passo con i tempi e che non vuole perdere l’occasione di trasformare la crisi in un’opportunità di crescita, da questo deve partire: combattere l’incertezza, creare benessere, non spacciare i vaccini per virus, avere coraggio e costruire uno stato capace di modernizzare se stesso sia creando un clima di fiducia verso il futuro sia creando un clima di fiducia verso i propri cittadini. Gli alibi sono finiti. E se si vuole veder crescere oggi il paese – pandemia o non pandemia – è arrivata l’ora di occuparsi non di cosa possono fare gli altri per noi ma di cosa possiamo fare noi stessi per dare un futuro al nostro paese. Più responsabilità, meno bullshit. L’agenda Draghi, in fondo, è tutta qui.

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