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Forse la pandemia ci sta vaccinando dal populismo più becero

Claudio Cerasa

Due campioni liberisti “contro il sovranismo economico” in agguato. La necessità di non usare i soldi dell'Europa per frenare la concorrenza e ostacolare gli investimenti esteri

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Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro sono due tra i più efficaci e genuini custodi del pensiero liberale e libertario italiano e qualche giorno fa hanno dato alle stampe per Rizzoli un libro formidabile che meriterebbe di essere custodito sui comodini di ogni pezzo da novanta della classe dirigente italiana. Il saggio ha un titolo chiaro (“Contro il sovranismo economico”), un sottotitolo ancora più forte (“Storia e guasti di statalismo, nazionalismo, dirigismo, protezionismo, unilateralismo, antiglobalismo e qualche rimedio”) e una tesi impossibile da non condividere, sintetizzata così nelle pagine finali del libro: “Più i paesi si autoescludono dei mercati globali, più cercano di impedire le trasformazioni strutturali determinate dall’innovazione tecnologica, più rigettano la diversità, più si impoveriscono e più vedono aumentare le divaricazioni tra chi ha e chi non ha. E più accettiamo questa retorica, più indossiamo degli occhiali che rendono il mondo persino più buio di quanto sia in realtà. Il sovranismo economico rappresenta una minaccia alle conquiste di libertà e benessere che derivano dalla globalizzazione, dal capitalismo e dalla modernità. Temiamo i sovranisti, beninteso. Ma forse ancora di più temiamo i sovranisti inconsapevoli”.

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Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro sono due tra i più efficaci e genuini custodi del pensiero liberale e libertario italiano e qualche giorno fa hanno dato alle stampe per Rizzoli un libro formidabile che meriterebbe di essere custodito sui comodini di ogni pezzo da novanta della classe dirigente italiana. Il saggio ha un titolo chiaro (“Contro il sovranismo economico”), un sottotitolo ancora più forte (“Storia e guasti di statalismo, nazionalismo, dirigismo, protezionismo, unilateralismo, antiglobalismo e qualche rimedio”) e una tesi impossibile da non condividere, sintetizzata così nelle pagine finali del libro: “Più i paesi si autoescludono dei mercati globali, più cercano di impedire le trasformazioni strutturali determinate dall’innovazione tecnologica, più rigettano la diversità, più si impoveriscono e più vedono aumentare le divaricazioni tra chi ha e chi non ha. E più accettiamo questa retorica, più indossiamo degli occhiali che rendono il mondo persino più buio di quanto sia in realtà. Il sovranismo economico rappresenta una minaccia alle conquiste di libertà e benessere che derivano dalla globalizzazione, dal capitalismo e dalla modernità. Temiamo i sovranisti, beninteso. Ma forse ancora di più temiamo i sovranisti inconsapevoli”.

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Stagnaro e Saravalle, in altre parole, sostengono che una classe dirigente con la testa sulle spalle debba monitorare bene la fase che l’Italia sta vivendo in queste ore perché con tutti i soldi che arriveranno allo stato bisogna stare attenti a resistere a tutti i tic sovranisti, anche quelli inconsapevoli, nascosti in ogni angolo della strada. E resistere ai tic sovranisti significa monitorare affinché quella mole di denaro enorme che arriverà dall’Europa (200 miliardi) e quella mole di denaro enorme che l’Italia prenderà in prestito dai nostri nipoti attraverso nuova emissione di debito pubblico (altri 100 miliardi finora) non venga usata per frenare la concorrenza, per ostacolare gli investimenti esteri, per redistribuire la torta senza preoccuparsi di come produrla. Anche in questo caso il suggerimento di Stagnaro e Saravalle è opportuno e i due autori hanno ragione a ricordare che negli ultimi anni anche le forze tradizionali e in teoria anti sovraniste si sono fatte in alcuni casi contagiare dal virus del sovranismo sulla spinta di un’idea perversa: che l’unico modo per battere i populisti è quello di far proprie le battaglie del populismo, per svuotare il serbatoio della politica anti casta. Il ragionamento dei due studiosi parte però da una premessa, in realtà tutta da dimostrare, in base alla quale la pandemia avrebbe creato la condizione perfetta per far diventare tutti improvvisamente degli ultra sovranisti. E qui offriamo uno spunto di riflessione ai nostri due amici liberali e liberisti: e se invece fosse esattamente il contrario? E se la pandemia avesse invece contribuito a creare gli anticorpi perfetti per proteggerci dal rischio di uno statalismo sovranista e populista? E se questi drammatici mesi di convivenza con il virus avessero mostrato in modo chiaro quanto possano essere dannose le politiche populiste, quanto possano essere farlocchi i liberali alla Salvini e quanto possano essere dannosi i leader politici desiderosi di guidare i propri paesi con la leva del nazionalismo? Stagnaro e Saravalle saranno certamente d’accordo con noi nel notare che il populista collettivo in questi mesi ha dato il peggio di sé in varie occasioni: quando ha suggerito di risolvere i problemi generati dalla pandemia facendo a meno dell’Europa; quando ha immaginato di risolvere i problemi generati dalla pandemia provando a mettere in contrapposizione la difesa della nostra libertà con la tutela della nostra salute; quando ha suggerito di risolvere i problemi generati dalla pandemia seguendo il modello di leader politici come Donald Trump, Boris Johnson, Jair Bolsonaro che hanno fatto dell’incapacità della soluzione dei problemi legati alla pandemia un loro tratto distintivo.

 

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Il virus del populismo è un virus che continua a essere politicamente letale ma una delle verità che potrebbero emergere da questi mesi è che la pandemia ha creato un mondo nuovo all’interno del quale è facile osservare più una corsa dei populisti a rinnegare il populismo che una corsa degli anti populisti a copiare il modello populista. Succede così, per stare al nostro paese, che il Pd si renda conto, pur senza riuscirci a pieno, che il suo futuro dipende dalla capacità di essere un argine contro il protezionismo nazionalista. Succede così che persino il M5s si renda conto, pur senza riuscirci a pieno, che il suo futuro dipende dalla capacità di dimostrare ogni giorno la sua volontà di rinnegare le sue promesse elettorali. Succede così che persino gli alleati di Salvini, da Giorgia Meloni a Silvio Berlusconi, capiscano che la propria fortuna politica è legata alla capacità di differenziarsi tanto dal salvinismo quanto dal grillismo. Succede così che persino Salvini si ritrovi costretto, come direbbero i politologi dotti, a buttarla regolarmente in caciara, tentando di far dimenticare la propria linea fallimentare (che in alcuni casi coincide in modo plastico con la linea del generale Pappalardo) rispolverando periodicamente il proprio cavallo di battaglia: occhio agli immigrati brutti, sporchi, infetti e cattivi. Stagnaro e Saravalle hanno ragione nel dire che avere a che fare con una stagione di sovranismo economico sarebbe un guaio mica male per la nostra economia. Ma ciò che ci sembra utile notare in questa fase della politica è che la corsa più interessante da osservare è quella finalizzata più a rinnegare il populismo che ad abbracciare il populismo. E chissà che nei prossimi mesi anche grazie all’Europa l’Italia non dia prova di aver imparato quanto sia importante avere uno stato non nemico del mercato e interessato non ad alimentare ma a combattere l’oscenità del sovranismo economico.

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