PUBBLICITÁ

Niente feste, niente champagne: il Covid ha messo in crisi le bollicine

Mauro Zanon

I danni della pandemia alla filiera: 100 milioni di bottiglie vendute in meno rispetto allo scorso anno e un fatturato che potrebbe crollare di 1,7 miliardi di euro

PUBBLICITÁ

Parigi. C’era ben poco da festeggiare oggi, 4 agosto 2020, a trecentoventisette anni dalla codificazione del cosiddetto “metodo champenoise”, attribuito con varie leggende più o meno infiocchettate al monaco benedettino Pierre Pérignon, che era giunto all’abbazia di Hautvillers, vicino a Épernay, nel nord della Francia, con l’incarico di economo e risanatore delle finanze. E che è poi passato alla storia come "padre" del moderno champagne. A causa del coronavirus, anche questa filiera dell’eccellenza francese ha subìto un colpo durissimo: filiera che era già in crisi per la concorrenza agguerrita delle bollicine italiane e che ora necessiterà di un intervento importante da parte dello stato per contenere i danni economici. Secondo gli addetti ai lavori, le perdite per i produttori di champagne rischiano di essere pesantissime per via del Covid-19: 100 milioni di bottiglie vendute in meno rispetto allo scorso anno e un fatturato che potrebbe crollare di 1,7 miliardi di euro (nel 2019 è stato di 5 miliardi).

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Parigi. C’era ben poco da festeggiare oggi, 4 agosto 2020, a trecentoventisette anni dalla codificazione del cosiddetto “metodo champenoise”, attribuito con varie leggende più o meno infiocchettate al monaco benedettino Pierre Pérignon, che era giunto all’abbazia di Hautvillers, vicino a Épernay, nel nord della Francia, con l’incarico di economo e risanatore delle finanze. E che è poi passato alla storia come "padre" del moderno champagne. A causa del coronavirus, anche questa filiera dell’eccellenza francese ha subìto un colpo durissimo: filiera che era già in crisi per la concorrenza agguerrita delle bollicine italiane e che ora necessiterà di un intervento importante da parte dello stato per contenere i danni economici. Secondo gli addetti ai lavori, le perdite per i produttori di champagne rischiano di essere pesantissime per via del Covid-19: 100 milioni di bottiglie vendute in meno rispetto allo scorso anno e un fatturato che potrebbe crollare di 1,7 miliardi di euro (nel 2019 è stato di 5 miliardi).

PUBBLICITÁ

   

 

PUBBLICITÁ

Sono saltati i matrimoni, gli eventi mondani, le feste di laurea, ogni sorta di celebrazione in questi mesi di spietato lockdown, e lo champagne, emblema della festa, della joie de vivre, del dionisiaco, il “vino del diavolo”, come fu soprannominato per il suo carattere esplosivo, ne ha risentito più di tutti nel mondo dei vini. “Il 2020 era cominciato bene, ma ora attraversiamo una crisi di gran lunga peggiore di quella della Grande Depressione per quanto riguarda l’economia dello champagne”, ha dichiarato Thibaut Le Mailloux del Comité Champagne (ex Cvic), organismo interprofessionale creato nel 1941 che raggruppa tutti gli operatori della filiera. “Ma possiamo essere ottimisti perché abbiamo una certa resilienza. Abbiamo trecento anni di storia alle nostre spalle, con diverse crisi a cui ogni volta abbiamo risposto con soluzioni innovative”, ha aggiunto Le Mailloux.

   

Resilienza è il termine sulla bocca di tutti sulle colline della Champagne, anche se a Reims, nelle caves abitualmente frequentatissime, c’è molta malinconia per il crollo del numero di visitatori provenienti da ogni parte del mondo. L’intera filiera vitivinicola champenoise chiede al nuovo ministro dell’Agricoltura, Julien Denormandie, prestiti con garanzie statali e una riduzione significativa degli oneri fiscali per far fronte all’emergenza provocata dal Covid-19. A essere minacciati dalla crisi dello champagne sono soprattutto i piccoli produttori. “E’ una distruzione di ciò che ci propone la natura. E’ inammissibile. E’ come se prendessimo questa bottiglia di Champagne e invece di versarla in una flûte la spargessimo per terra, è come se la utilizzassimo per innaffiare i fiori”, ha detto Anselme Selosse, produttore degli Champagne Selosse, facendosi portavoce della collera della filiera. E ancora: “Lo champagne non ha mai vissuto una situazione di questo tipo, nemmeno durante le guerre mondiali”. Anche François Vranken, fondatore di Vranken-Pommery Monopole, è molto preoccupato per le conseguenze di questa crisi che, secondo lui, potrebbe durare diversi anni. “Non bisogna dimenticare che lo champagne ha vissuto tutte le guerre”, ha dichiarato, “ma con le altre crisi c’era quantomeno una via d’uscita. Per ora, non c’è alcun modo di tirarci fuori da questa situazione, a meno che non si trovi un vaccino”. Il numero uno di Vranken-Pommery Monopole ha dichiarato che anche il marketing dello champagne, come bevanda consumata durante le feste e i matrimoni, potrebbe essere rivisto per riflettere la nuova normalità: le bollicine francesi potrebbero insomma diventare un vino più quotidiano, adatto a qualsiasi occasione e non a un momento speciale. Ma sarebbe un po’ come snaturarlo, alterare quell’immagine di eleganza che lo champagne ha sempre incarnato, oltre che un trauma per il lusso francese. Ironia e crudeltà della sorte, sottolinea la stampa parigina, una parte delle uve non trasformate in vino potrebbe servire, come si è già visto in Alsazia, a fabbricare il gel idroalcolico.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ