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Il riallineamento degli astri (finanziari) della galassia del nord

Stefano Cingolani

Le mosse di Intesa, Generali, Mediobanca e Unipol hanno un senso, eccome. Aspettando l’economia reale. E Unicredit che fa?

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Roma. La galassia del nord si muove verso un nuovo centro di gravità. Mentre il governo nazionale si sta infilando in un tunnel elettorale e la politica locale non riesce a superare, nemmeno là dove si è comportata meglio, una emergenza che sembra non finire mai, il mondo della finanza cerca la sua risposta alla crisi del Covid. Alzando gli occhi al cielo degli affari, quello che si leva sopra il Po, vediamo un quadrilatero grande come il carro dell’Orsa maggiore. Nelle sue vicinanze un altro corpo celeste sembra muoversi avanti e indietro, quasi in procinto di entrare nella costellazione per poi uscirne rapidamente. La stella più lucente ha un doppio nome, Intesa Sanpaolo, e getta i suoi raggi da Torino a Venezia. All’angolo opposto splende il Leone di Trieste, alias Assicurazioni Generali, che affonda le zampe dal nord Italia al nord Europa, con una lunga coda all’est. Le altre due formazioni celesti sono Mediobanca e Unipol che s’illuminano l’una con l’altra. Fuori, lo avranno capito i lettori che ci hanno seguito in questa barocca metafora, c’è Unicredit.  

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Roma. La galassia del nord si muove verso un nuovo centro di gravità. Mentre il governo nazionale si sta infilando in un tunnel elettorale e la politica locale non riesce a superare, nemmeno là dove si è comportata meglio, una emergenza che sembra non finire mai, il mondo della finanza cerca la sua risposta alla crisi del Covid. Alzando gli occhi al cielo degli affari, quello che si leva sopra il Po, vediamo un quadrilatero grande come il carro dell’Orsa maggiore. Nelle sue vicinanze un altro corpo celeste sembra muoversi avanti e indietro, quasi in procinto di entrare nella costellazione per poi uscirne rapidamente. La stella più lucente ha un doppio nome, Intesa Sanpaolo, e getta i suoi raggi da Torino a Venezia. All’angolo opposto splende il Leone di Trieste, alias Assicurazioni Generali, che affonda le zampe dal nord Italia al nord Europa, con una lunga coda all’est. Le altre due formazioni celesti sono Mediobanca e Unipol che s’illuminano l’una con l’altra. Fuori, lo avranno capito i lettori che ci hanno seguito in questa barocca metafora, c’è Unicredit.  

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Questa fotografia appare più nitida dopo le due operazioni appena concluse. La prima è la conquista di UBI, terza banca italiana, da parte di Intesa (ha ottenuto il 90 per cento delle azioni e ieri l’amministratore delegato Victor Massiah s’è dimesso con effetto immediato) che secondo gli analisti potrebbe così superare ricavi per 5 miliardi di euro. La seconda riguarda le Generali che intendono investire 300 milioni di euro per il 24,4 per cento della Cattolica Assicurazioni, appena la cooperativa veronese sarà trasformata in società per azioni. Entrambe le mosse rispondono alla necessità di rendere i “campioni nazionali” più solidi, meglio radicati nel territorio e protetti da attacchi esterni. L’allarme sollevato dal Copasir, legittimo anche se colorato di protezionismo rugginoso e di sovranismo nevrotico, a questo punto diventa meno urgente? Banche e assicurazioni, pilastri di un mercato finanziario italiano troppo piccolo per stare in piedi, guardano avanti, consapevoli che il futuro dipende dalla capacità di offrire punti di riferimento validi da un lato a una ricchezza privata ancora molto consistente e dall’altro alle attività produttive che boccheggiano in cerca di nuovi assetti e nuovi mercati. Il compito degli intermediari finanziari è incanalare il risparmio verso gli investimenti, ma l’Italia è in corto circuito.

   

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Intesa si è definita da tempo “banca di sistema” e il suo amministratore delegato Carlo Messina ha orientato in tal senso le sue mosse, anche quelle più ardite e non riuscite come il tentativo nel 2017 di aggregare le Generali, al cui comando c’è Philippe Donnet. L’acquisizione della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, salvate dal crac al prezzo simbolico di un euro, ha esteso il raggio d’azione a buona parte del Veneto; mentre l’integrazione di UBI potenzia il radicamento nel cuore manifatturiero della Lombardia tra Bergamo e Brescia. Oggi Intesa Sanpaolo capitalizza in Borsa 29,5 miliardi di euro; nonostante il crollo avvenuto nel nefasto febbraio, resta la numero tre in Europa dopo BNP-Paribas che vale 43 miliardi e il Banco Santander (35 miliardi). Unicredit, seconda in Italia, è distaccata di quasi dieci miliardi.

   

   

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Ai cultori del risiko finanziario non è sfuggito che l’acquisizione di UBI sia stata l’occasione per aprire una nuova fase di collaborazione con Mediobanca, scelta come advisor. La banca d’affari guidata da Alberto Nagel si era opposta a quella che considerava una scalata alle Generali delle quali è prima azionista con il 12,86 per cento. Poi tra Nagel e Messina il ghiaccio si è sciolto e i due banchieri non hanno perso occasione per mostrare la ritrovata chimica personale. La creatura di Enrico Cuccia capitalizza 5,8 miliardi di euro ed è diventata una piattaforma finanziaria che unisce al mestiere originario anche una banca ordinaria con CheBanca, il credito al consumo con Compass e il risparmio gestito con la divisione Wealth Management. Sciolto l’anno scorso il patto di sindacato, uscita dal capitale la Unicredit, oggi il socio più importante con il 9,89 per cento è Leonardo Del Vecchio che vuole arrivare fino al 20. Numero due è Vincent Bolloré ridimensionato al 6,73 per cento, poi BlackRock con quasi il 5. Proprio Del Vecchio che ha Unicredit come banca di riferimento, fa da variabile per il momento imprevedibile. Poiché è anche azionista di Generali con il 4,84 per cento, la sua potrebbe diventare una manovra a tenaglia per far saltare la “celeste armonia” nella galassia del nord. Ma è probabile che il patron di Luxottica (ormai assorbita nel gruppo italo-francese Essilux) voglia conquistarsi sul campo una posizione di primo piano in vista della pax finanziaria che comprende anche Unipol.

   

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La compagnia guidata da Carlo Cimbri, nata dalla Lega delle cooperative, con l’acquisto nel 2011 della Sai Fondiaria dal gruppo Ligresti in bancarotta, ha contribuito in modo determinante a sostenere Mediobanca, esposta per circa un miliardo di euro. La Unipol è balzata così al secondo posto tra le assicurazioni italiane ed è entrata dalla porta d’ingresso nel “salotto buono” diventando anche azionista del Corriere della Sera. E’ in concorrenza con Generali, che con Cattolica si rafforza nel ramo danni, anche se avrebbe bisogno di crescere in Borsa per recuperare la distanza con le concorrenti europee: oggi capitalizza poco meno di 20 miliardi di euro, la tedesca Allianz 73 e la francese Axa 40 miliardi. Il rapporto con Mediobanca fa sì che non venga da Unipol nessuna minaccia all’assetto azionario del Leone di Trieste. Anzi, anche Cimbri partecipa alla nuova entente cordiale perché con l’acquisizione di UBI molti sportelli e clienti sono passati alla BPER, la Popolare dell’Emilia Romagna controllata da Unipol. E Unicredit? L’amministratore delegato Jean Pierre Mustier ha cercato di bloccare senza successo l’offerta di Intesa su UBI, facendo ricorso all’antitrust. Ascoltato dal Copasir il 4 giugno, ha negato qualsiasi “piano francese” e ha escluso un progetto comune con Del Vecchio. Messa in soffitta una possibile fusione con una banca straniera (candidata era la francese Société Générale) è stata accantonata anche l’ipotesi di trasformarsi in holding finanziaria. Ancora forte nell’area germanica, in Italia ha perso colpi e sta valutando che fare visto che il consolidamento non è finito e riguarda ancora una volta il nord. In Borsa si guarda alla BPM (ex Popolare di Milano) o alla stessa BPER. E’ comunque lo scenario da seguire in vista dell’autunno.

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