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Intesa-Generali-Mediobanca-Unipol: un quadrilatero finanziario

Stefano Cingolani

Il riassetto del sistema finanziario e le variabili Del Vecchio e Benetton

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Roma. Un quadrilatero composto da Intesa Sanpaolo, Generali, Mediobanca e Unipol, s’accinge a occupare il centro di quella che un tempo veniva chiamata la galassia finanziaria del nord. L’offerta pubblica di scambio lanciata da Intesa su Ubi si è conclusa con successo (il gruppo guidato da Carlo Messina ha ottenuto il 72 per cento delle azioni e può integrare la banca bergamasca). Da questa fusione esce rafforzata anche la Bper (Banca popolare dell’Emilia-Romagna) controllata da Unipol, alla quale andrà una quota importante di clienti (si parla di attività pari a 20 miliardi di euro), per evitare posizioni oligopolistiche della banca milanese. Un’altra casella del risiko lombardo-veneto dovrebbe essere occupata tra oggi e domani: l’accordo tra le Assicurazioni Generali e la Cattolica, la compagnia storicamente legata alla curia di Verona, sul quale è chiamata a decidere l’assemblea. Nell’un caso e nell’altro si sono manifestate resistenze, fisiologiche in ogni fusione e concentrazione, ma segnate in modo particolare dal particolarismo anche territoriale che caratterizza l’Italia e ha impedito finora la costruzione di un sistema finanziario moderno e robusto. Alla fine gli azionisti della Ubi hanno ottenuto un aumento del valore dell’offerta e hanno ceduto di fronte alla prima banca italiana. 

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Roma. Un quadrilatero composto da Intesa Sanpaolo, Generali, Mediobanca e Unipol, s’accinge a occupare il centro di quella che un tempo veniva chiamata la galassia finanziaria del nord. L’offerta pubblica di scambio lanciata da Intesa su Ubi si è conclusa con successo (il gruppo guidato da Carlo Messina ha ottenuto il 72 per cento delle azioni e può integrare la banca bergamasca). Da questa fusione esce rafforzata anche la Bper (Banca popolare dell’Emilia-Romagna) controllata da Unipol, alla quale andrà una quota importante di clienti (si parla di attività pari a 20 miliardi di euro), per evitare posizioni oligopolistiche della banca milanese. Un’altra casella del risiko lombardo-veneto dovrebbe essere occupata tra oggi e domani: l’accordo tra le Assicurazioni Generali e la Cattolica, la compagnia storicamente legata alla curia di Verona, sul quale è chiamata a decidere l’assemblea. Nell’un caso e nell’altro si sono manifestate resistenze, fisiologiche in ogni fusione e concentrazione, ma segnate in modo particolare dal particolarismo anche territoriale che caratterizza l’Italia e ha impedito finora la costruzione di un sistema finanziario moderno e robusto. Alla fine gli azionisti della Ubi hanno ottenuto un aumento del valore dell’offerta e hanno ceduto di fronte alla prima banca italiana. 

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Si attende ora il via libera all’intesa tra le Generali e la Cattolica. A puntare i piedi in questo caso non sono stati solo i soci, perché si sono messi di traverso i leghisti. “Basta svendite, Verona ha già perso troppe eccellenze”: Paolo Borchia e Paolo Paternoster, rispettivamente europarlamentare e deputato della Lega, hanno levato un grido d’allarme sull’operazione che dovrebbe portare Generali al controllo del 24,4 per cento. Un’interpellanza al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, poi una conferenza stampa, non sono servite a cambiare gli equilibri che si stavano formando. Anche la chiesa veronese, che pure aveva lanciato un altolà in difesa dei valori cooperativi e religiosi “minacciati” dalla trasformazione in società per azioni, ha dato via libera dopo un incontro tra il vescovo monsignor Giuseppe Zenti e il presidente della compagnia Paolo Bedoni. Nel frattempo è stato siglato un accordo con i sindacati, la Confindustria si è pronunciata a favore, così come la Confagricoltura, la Camera di commercio, l’associazione degli agenti. Insomma, un consenso ampio in vista dell’assemblea. A differenza di Intesa-Ubi, non si tratta di una fusione ma di una partnership nella quale l’azionista di riferimento, le Generali, lasciano autonomia alla Cattolica conservando il radicamento sociale, culturale, territoriale. Ma è chiaro che le cose cambieranno per entrambi i partner. Il Leone di Trieste si rafforza in Italia (soprattutto sul ramo danni) ora che diventa più difficile qualsiasi grande operazione internazionale; la compagnia veronese esce dal suo universo provinciale.

 

Tutto è bene quel che finisce bene? In realtà il nuovo assetto ai vertici della finanza è ancora in fieri. A Milano c’è la variabile Del Vecchio. Che farà il patron della Luxottica che sta scalando Mediobanca e, per questa via, rafforza la sua posizione nelle Generali delle quali possiede un pacchetto pari al 4,84 per cento? A Trieste c’è la variabile Benetton. Lo scorso anno la famiglia aveva manifestato l’intenzione di aumentare la propria quota del 3,99 per cento, adesso si trova in guai molto seri dopo il taglio subito in Autostrade per l’Italia e il progetto sembra archiviato. Sono circolate in borsa voci non confermate che Gianni Mion, tornato al timone dopo la morte di Gilberto Benetton, pensi a una ulteriore diversificazione proprio nelle assicurazioni, con l’acquisizione di una compagnia. In questo caso, dovrebbe uscire da Generali, anche se finora ha staccato belle cedole e intascato pingui profitti. Tutto dipende da come andrà la partita Aspi e da quanto incasserà Atlantia per la cessione della sua quota di maggioranza.

 

Rumors sia chiaro, alimentati proprio dai movimenti in corso nei due pilastri del sistema finanziario italiano, le assicurazioni e le banche dove la concentrazione non è affatto finita. E’ sempre in bilico la sorte del Monte dei Paschi nazionalizzato “temporaneamente” (il Tesoro ha speso 5,4 miliardi di euro nel 2017 per il 68 per cento del capitale) e si è parlato di un accordo con il Banco Bpm, mentre nessuno crede che la Unicredit, sfumate le speranze di una grande fusione paneuropea, voglia restare fuori dai grandi giochi, emarginata di fatto dal quadrilatero oggi vincente.

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