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L’Europa è forte, ma non ha futuro senza rafforzare la Commissione

Paolo Cirino Pomicino

E’ l’ora di trasformare la governance lasciando al Parlamento il ruolo di legislatore e alla Commissione il ruolo di governo

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La lunga maratona del consiglio europeo si è conclusa con la vittoria di tutti. L’asse Franco tedesco ha dimostrato ancora una volta di avere la capacità politica di contenere spinte disgregative della Unione presenti in quasi tutti gli Stati membri. Inoltre la vittoria di tutti è stata consentita dal fatto che ciascuno rinunziasse a qualcosa della propria linea e così si è formato quel compromesso tra interessi diversi ed idealità e culture non omologabili tra loro che rappresenta la vera forza della Unione Europea. Onore dunque alla Merkel e a Macron e plauso anche al nostro presidente del Consiglio che sotto l’ombrello franco-tedesco ha tenuto ferma una linea di interesse generale senza mai rispondere a provocazioni. Attenti, però, perché una rondine non fa primavera. La Ue non è in buona salute e continua a esserlo anche nonostante il buon compromesso raggiunto, peraltro facilitato da un male comune, il contagio da Covid-19. Lo stato di precarietà che in questi ultimi due o tre lustri ha spesso portato a un immobilismo della Unione ha il suo punto più evidente di crisi proprio nell’attività del Consiglio dei capi di stato e di governo. Da molto tempo infatti nel consiglio si negoziano posizioni e interessi dei singoli stati nazionali senza che mai vi fosse un pensiero di respiro europeo che dominasse la scena. 

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La lunga maratona del consiglio europeo si è conclusa con la vittoria di tutti. L’asse Franco tedesco ha dimostrato ancora una volta di avere la capacità politica di contenere spinte disgregative della Unione presenti in quasi tutti gli Stati membri. Inoltre la vittoria di tutti è stata consentita dal fatto che ciascuno rinunziasse a qualcosa della propria linea e così si è formato quel compromesso tra interessi diversi ed idealità e culture non omologabili tra loro che rappresenta la vera forza della Unione Europea. Onore dunque alla Merkel e a Macron e plauso anche al nostro presidente del Consiglio che sotto l’ombrello franco-tedesco ha tenuto ferma una linea di interesse generale senza mai rispondere a provocazioni. Attenti, però, perché una rondine non fa primavera. La Ue non è in buona salute e continua a esserlo anche nonostante il buon compromesso raggiunto, peraltro facilitato da un male comune, il contagio da Covid-19. Lo stato di precarietà che in questi ultimi due o tre lustri ha spesso portato a un immobilismo della Unione ha il suo punto più evidente di crisi proprio nell’attività del Consiglio dei capi di stato e di governo. Da molto tempo infatti nel consiglio si negoziano posizioni e interessi dei singoli stati nazionali senza che mai vi fosse un pensiero di respiro europeo che dominasse la scena. 

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Come mai è potuto accadere che le vicende nazionali prendessero il totale sopravvento sulle questioni più generali e quando qualcuna di queste si affacciavano le soluzioni trovate venivano bocciate dai popoli europei? Ci riferiamo ad esempio alla bocciatura della costituzione europea preparata da decine di illuminati e solo da 15 parlamentari europei dimenticando che in tutta la storia della umanità ogni costituzione è stata redatta da parlamentari eletti e non da nominati. Le radici della progressiva precarietà della Ue furono create proprio nel quinquennio di presidenza italiana, quella di Romano Prodi, su due punti fondamentali, quella di una Costituzione che aveva emarginato il Parlamento europeo e un allargamento troppo rapido dei paesi aderenti alla Unione. In quegli anni (1999-2004) la Commissione Prodi preparò l’adesione di ben dieci Stati nazionali per cui la Unione nel 2004 passò da 15 Stati membri a 25 con l’arrivo di quasi tutti i paesi del vecchio blocco sovietico più Malta. Una adesione così massiccia in così breve tempo ebbe un impatto non di poco conto sul piano culturale e politico e la gran parte dei nuovi arrivati non aderì alla moneta unica dell’euro. Ancora oggi alcuni di questi paesi restano addirittura sotto osservazione in ordine alla tutela delle libertà democratiche. 

 

 

L’errore di quelle scelte fatte da un autorevole leader mezzo democristiano e mezzo no fu che esse poggiarono più sugli interessi economici e sul fascino delle élites che non sulla forte coscienza popolare. Così fu per l’arrivo dei nuovi dieci paesi nel 2004 e così fu per una costituzione scritta da una autorevole elites priva di empatia popolare ma ricca di intrecci economico-finanziari.  Da allora in poi Il Consiglio ha lentamente smesso di pensare europeo tanto che la crisi del 2008 innescata dai cosiddetti mutui subprime americani trovò l’Europa pressoché ferma. Il tema, dunque, è come riprendere il filo di un pensiero politico cancellato da prevalenti interessi economici in un tempo in cui la geopolitica impone scelte e prese  di posizioni di rilevante importanza. L’unica soluzione che vediamo è di trasformare la governance della Unione lasciando al Parlamento il ruolo di legislatore primario e alla Commissione il ruolo di governo mentre il consiglio può e deve ritagliarsi uno spazio di conferma a maggioranza qualificata della legislazione approvata anche consentendo a ciascuno degli Stati di rallentare nel proprio territorio l’entrata in vigore delle nuove disposizioni. Il tema di un nuovo pensiero politico europeo è ormai una necessità sempre più urgente.

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