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Perché sui ristoranti Castelli ha torto anche quando ha ragione

Luciano Capone

“Sono cambiate domanda e offerta”, dice la grillina. Vero, ma perché il governo finge che sia il contrario?

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Roma. Il viceministro dell’Economia Laura Castelli è stata travolta da una valanga di offese volgari e addirittura inaccettabili minacce di morte per qualcosa che non ha detto. O meglio, che non ha detto nei termini per cui è stata oggetto di insulti e sicuramente non tali da scatenare una reazione del genere. La viceministra grillina negli anni si è resa protagonista di affermazioni singolari e anche un po’ ridicole (basti pensare al “questo lo dice lei!” rivolto all’allora ministro Padoan che spiegava la relazione tra spread e mutui o alla più recente proposta di un “debito perpetuo a tasso zero” da offrire ai risparmiatori), ma stavolta le sue affermazioni erano corrette o quantomeno ragionevoli. Non si tratta del “consiglio choc”: “Ristoratori in crisi? Cambino lavoro”, come frettolosamente e ingiustamente titolato da alcuni giornali. Ma di un’analisi più complessa, espressa nel corso di una trasmissione televisiva, in questi termini: “Questa crisi ha spostato la domanda e l’offerta. Le persone hanno cambiato modo di vivere e bisogna tenerne conto. Bisogna aiutare le imprese e gli imprenditori creativi a muoversi sui nuovi business. Sono processi di lungo periodo, certo, ma se una persona decide di non andare più a sedersi al ristorante bisogna aiutare l’imprenditore a fare magari un’altra attività”. Si tratta, come si vede, di un giudizio più articolato di quello diffuso dai media che ha fatto scatenare le ire dei ristoratori in crisi e che qualsiasi economista non potrebbe che condividere.

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Roma. Il viceministro dell’Economia Laura Castelli è stata travolta da una valanga di offese volgari e addirittura inaccettabili minacce di morte per qualcosa che non ha detto. O meglio, che non ha detto nei termini per cui è stata oggetto di insulti e sicuramente non tali da scatenare una reazione del genere. La viceministra grillina negli anni si è resa protagonista di affermazioni singolari e anche un po’ ridicole (basti pensare al “questo lo dice lei!” rivolto all’allora ministro Padoan che spiegava la relazione tra spread e mutui o alla più recente proposta di un “debito perpetuo a tasso zero” da offrire ai risparmiatori), ma stavolta le sue affermazioni erano corrette o quantomeno ragionevoli. Non si tratta del “consiglio choc”: “Ristoratori in crisi? Cambino lavoro”, come frettolosamente e ingiustamente titolato da alcuni giornali. Ma di un’analisi più complessa, espressa nel corso di una trasmissione televisiva, in questi termini: “Questa crisi ha spostato la domanda e l’offerta. Le persone hanno cambiato modo di vivere e bisogna tenerne conto. Bisogna aiutare le imprese e gli imprenditori creativi a muoversi sui nuovi business. Sono processi di lungo periodo, certo, ma se una persona decide di non andare più a sedersi al ristorante bisogna aiutare l’imprenditore a fare magari un’altra attività”. Si tratta, come si vede, di un giudizio più articolato di quello diffuso dai media che ha fatto scatenare le ire dei ristoratori in crisi e che qualsiasi economista non potrebbe che condividere.

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Foto LaPresse


 

E così alla viceministro danno torto anche quando ha ragione. Ma allo stesso tempo, ed è qui che la faccenda si complica, è proprio vero che la Castelli ha torto anche quando ha ragione. Perché ciò che dice è del tutto condivisibile ma non lo è ciò che fa, visto che è esattamente il contrario. Tutte le decisioni del governo presuppongono infatti che non ci siano cambiamenti strutturali nell’economia e che tutto tornerà come prima.

 

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Basti considerare a due provvedimenti come il divieto di licenziamento e l’estensione della cassa integrazione, che il governo intende prorogare fino a fine anno di pari passo con lo stato di emergenza. Si tratta di misure che, nell’immediato, potevano essere utili a tamponare la crisi e a salvaguardare la capacità produttiva fino alla fine del lockdown ma che tirati a lungo non risolvono alcun problema, anzi li aggravano. Non a caso non ci sono paesi in Europa, sia tra quelli colpiti più duramente sia tra quelli colpiti più leggermente, che abbiano preso provvedimenti analoghi. In ogni caso, il presupposto di una strategia del genere è che le aziende (inclusi i ristoranti) si trovano in una difficoltà temporanea che non avrà un impatto sostanziale sulla domanda: quando la crisi sarà passata (quando esattamente?) le persone torneranno a consumare alla stessa maniera di prima, più o meno agli stessi prezzi, e le imprese torneranno a camminare sulle loro gambe richiamando al lavoro gli stessi dipendenti di prima. Si tratta di un’assunzione del tutto irrealistica che peraltro è in contraddizione con l’altra narrazione del governo secondo cui “c’è bisogno di una grande trasformazione”: mentre si dice che “niente sarà più come prima” si fa finta che nelle imprese tutto tornerà a essere come prima.

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Questa impostazione è radicalmente contraddetta dalle affermazioni della Castelli sulla crisi che “ha spostato la domanda e l’offerta” perché “le persone hanno cambiato il modo di vivere e bisogna tenerne conto”. Se il governo estende il divieto di licenziamento e la cassa integrazione vuol dire proprio che non vuole tenere conto di questo cambiamento strutturale, che vuole fingere che non esista, rinviando più in avanti un problema che si manifesterà peggiorato e dopo aver speso molte risorse. E’ sempre in base alla stessa impostazione negazionista che il governo, proprio su spinta del partito della Castelli, non ha voluto toccare il decreto Dignità di Luigi Di Maio. Erano in tanti, a partire dal ministro dell’Economia Gualtieri e dalla task force che ha redatto il Piano Colao, a chiedere di consentire (con una deroga temporanea) di rinnovare i contratti a termine. Il M5s, con il ministro Catalfo, si è opposto. Come se non fosse cambiato nulla e, nel mezzo di una profonda recessione e in un mare di incertezza, le imprese potessero assumere a tempo indeterminato i lavoratori in scadenza di contratto. Ovviamente non l’hanno fatto e centinaia di migliaia di persone hanno perso il lavoro. Per loro non valeva il divieto di licenziamento, ma il divieto di rinnovo del contratto.

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