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Semplificare con 155 decreti attuativi. Ahi

Redazione

Le credenziali con cui intimiamo ai paesi frugali di non perdere più tempo

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Mentre il decreto Rilancio ottiene l’ok del Senato, divenendo legge ma non prima che siano stati emanati 155 decreti attuativi da parte di ministeri ed enti, l’altro decreto intitolato Semplificazioni e definito da Giuseppe Conte “madre di tutte le riforme” viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Approvato “salvo intese” il 7 luglio, riguarda tra l’altro gli appalti pubblici e l’abolizione di strettoie burocratiche (esempio, la riforma dell’abuso d’ufficio e la responsabilità erariale dei funzionari di vario livello), è in vigore da ieri ma dovrà essere convertito in legge entro 60 giorni, con in mezzo la pausa estiva. Le “semplificazioni” promettono di essere zavorrate da meno decreti ministeriali, “una trentina” dice il Pd e sarebbe un record visto che la media di provvedimenti attuativi di ogni norma urgente post Covid è stata di 165. Anche il decreto Rilancio partì con “soli” 87 ulteriori passaggi burocratici ma le diatribe giallorosse e i caveat degli uffici pubblici ne hanno aggiunti 68. Esempio, in caso di individuazione di “impresa referente di contratto di rete” le sue modalità di comunicazione dovranno essere fissate da un decreto del ministero del Lavoro sentiti enti competenti per aspetti previdenziali. La remunerazione del personale del 112 per Covid 19 richiede un decreto della presidenza del consiglio su proposta del ministero della salute previa intesa in Conferenza stato-regioni. La “ripartizione del fondo per il reddito di libertà per le donne vittime di violenza” necessita sempre di un decreto di palazzo Chigi, su proposta delle Pari opportunità col concerto del Lavoro previa intesa della Conferenza unificata.

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Mentre il decreto Rilancio ottiene l’ok del Senato, divenendo legge ma non prima che siano stati emanati 155 decreti attuativi da parte di ministeri ed enti, l’altro decreto intitolato Semplificazioni e definito da Giuseppe Conte “madre di tutte le riforme” viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Approvato “salvo intese” il 7 luglio, riguarda tra l’altro gli appalti pubblici e l’abolizione di strettoie burocratiche (esempio, la riforma dell’abuso d’ufficio e la responsabilità erariale dei funzionari di vario livello), è in vigore da ieri ma dovrà essere convertito in legge entro 60 giorni, con in mezzo la pausa estiva. Le “semplificazioni” promettono di essere zavorrate da meno decreti ministeriali, “una trentina” dice il Pd e sarebbe un record visto che la media di provvedimenti attuativi di ogni norma urgente post Covid è stata di 165. Anche il decreto Rilancio partì con “soli” 87 ulteriori passaggi burocratici ma le diatribe giallorosse e i caveat degli uffici pubblici ne hanno aggiunti 68. Esempio, in caso di individuazione di “impresa referente di contratto di rete” le sue modalità di comunicazione dovranno essere fissate da un decreto del ministero del Lavoro sentiti enti competenti per aspetti previdenziali. La remunerazione del personale del 112 per Covid 19 richiede un decreto della presidenza del consiglio su proposta del ministero della salute previa intesa in Conferenza stato-regioni. La “ripartizione del fondo per il reddito di libertà per le donne vittime di violenza” necessita sempre di un decreto di palazzo Chigi, su proposta delle Pari opportunità col concerto del Lavoro previa intesa della Conferenza unificata.

 

Con queste credenziali battiamo i pugni a Bruxelles intimando ai paesi frugali di non perdere più tempo per elargirci i fondi europei. Lars Feld, capo del consiglio di saggi che affianca Angela Merkel (sono 5, non 500), studiato il decreto Semplificazioni ne ha dedotto “la vostra burocrazia vincerà ancora”. Più che all’ossimoro (semplificazioni che non semplificano, rilancio che non rilancia), siamo all’Azione parallela dell’Uomo senza qualità di Robert Musil, descrizione del disfacimento dell’impero asburgico. O magari più banalmente a Comma 22.

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