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L’ex ad di Telecom, Bernabè, ci spiega che senso ha il progetto della rete unica

Stefano Cingolani

“Ben venga l’unificazione della rete se è all’interno di Tim. Altrimenti l’azienda rischia molto. Open Fiber? Va venduta”

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Roma. “Vogliono la rete unica? La facciano. Se ne parla da tempo immemorabile e siamo sempre allo stesso punto. Se finora non è stata realizzata, un motivo ci sarà”. Un motivo politico? Per Franco Bernabè non è questo l’ostacolo, al contrario. “Mi sembra che le forze politiche siano sempre più d’accordo, ma i problemi sono altri e vanno ben al di là delle chiacchiere”, spiega al Foglio. Tra le tante voci ci sono quelle di Beppe Grillo al quale ha dato credito, nella sua intervista di ieri al Foglio, il responsabile economico del Pd Emanuele Felice che propone di “unire le due reti con la confluenza di Open Fiber in Tim che potrebbe diventare una public company con una golden share pubblica del 20-30 per cento”. 

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Roma. “Vogliono la rete unica? La facciano. Se ne parla da tempo immemorabile e siamo sempre allo stesso punto. Se finora non è stata realizzata, un motivo ci sarà”. Un motivo politico? Per Franco Bernabè non è questo l’ostacolo, al contrario. “Mi sembra che le forze politiche siano sempre più d’accordo, ma i problemi sono altri e vanno ben al di là delle chiacchiere”, spiega al Foglio. Tra le tante voci ci sono quelle di Beppe Grillo al quale ha dato credito, nella sua intervista di ieri al Foglio, il responsabile economico del Pd Emanuele Felice che propone di “unire le due reti con la confluenza di Open Fiber in Tim che potrebbe diventare una public company con una golden share pubblica del 20-30 per cento”. 

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Per Bernabè, il primo aspetto riguarda proprio la compagnia telefonica. “Ben venga l’unificazione della rete se è all’interno di Tim, naturalmente a patto di superare le obiezioni dell’Antitrust, della Ue, dell’Agenzia delle comunicazioni, insomma tutti i problemi regolatori e le prevedibili reazioni delle aziende concorrenti che si sentono discriminate. Senza dimenticare gli aspetti finanziari, come l’elevato indebitamento che Tim si porta dietro fin dall’opa di Roberto Colaninno nel 1999, pagata con prestiti non con denaro fresco”. E se si scorpora la rete creando una società unica, come propone anche il Pd? “Allora il quesito principale diventa la sorte di Tim. Quanto vale senza la rete? Davvero si pensa che possa sopravvivere? Si mette in pericolo, insomma, la principale azienda italiana nel settore delle telecomunicazioni”. Ma Bernabè sottolinea una contraddizione che sta a monte di tutto: “Adesso il governo vuole una rete unica, allora perché ha creato dal nulla una seconda rete?”. Sono governi diversi. “Per me come cittadino e come utente è sempre il governo italiano, a prescindere da chi lo guida dovrebbe fare gli interessi degli italiani. Se è così strategico avere una sola rete, allora Open Fiber che senso ha? In realtà, si è rivelata una impresa ben più difficile di quanto avessero previsto gli ideatori. Sono state investite ingenti somme e ancora non si vedono i ricavi”. E questo mette nei guai sia l’Enel sia la Cdp. “Una soluzione c’è: venderla. Sono sicuro che sarebbe appetibile per fondi o società specializzate in infrastrutture”. L’Enel del resto ha confermato una offerta dall’australiana Macquerie. A questo punto la Cdp con il ricavato potrebbe rientrare dalla sua esposizione e magari aumentare la propria quota in Tim. E qui veniamo all’altro ostacolo concreto: la governance di Tim.

 

 

“Da vent’anni a questa parte c’è stata una catena di errori”, sottolinea Bernabè che ha guidato Telecom Italia dal 1998 al 1999 ed è tornato al timone dal 2007 al 2013. “Oggi abbiamo la paradossale situazione che l’azionista di maggioranza relativa, Vivendi, si trova in minoranza nel consiglio di amministrazione, l’azionista che ha una quota rilevante, cioè la Cdp, non è rappresentato in cda, mentre la governance è in mano al fondo Elliott che ha un piccolo pacchetto azionario” (sceso al 5 per cento dopo due anni, ndr). La debolezza azionaria è sempre stata il punto debole di Telecom, a cominciare dalla privatizzazione con il nocciolino duro fino a tutte le soluzioni escogitate dopo. “Riportare la governance all’interno di un assetto razionale è essenziale, prima di prendere ogni decisione”, secondo Bernabè.

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La soluzione proposta da Grillo, e a quanto pare appoggiata ormai dal Pd, è usare la Cdp come braccio armato del governo per estromettere Vivendi, modello Benetton e Autostrade. Un progetto politico che piace in tempi di statalismo e sovranismo rampante. “Lasci stare il sovranismo. Sono stati i soci italiani a liquidare l’esperienza di Telco consentendo a Telefónica di gestire la sua partecipazione in Telecom come meglio credeva”, obietta Bernabè. Adesso c’è il Codacons che lancia l’allarme contro la penetrazione straniera. In realtà, gli italiani debbono rimproverare loro stessi: “Bisogna sempre ricordare che solo grazie all’antitrust brasiliano è fallito il disegno degli spagnoli, cioè vendere Tim Brasil a Vivo, la società della quale avevano nel frattempo preso il controllo”. Saltata questa operazione, Telefónica si è solo preparata a mollare la sua quota in Telecom al miglior offerente, cioè la Vivendi di Vincent Bolloré. Ma i governi di allora lasciarono fare. L’ex amministratore delegato di Telecom ricorda di avere sempre chiesto l’apertura a un nuovo socio “con un aumento di capitale che risolvesse il problema della sottocapitalizzazione e della presenza di un azionista privo di strategia industriale”. Nel 1999 trattò un accordo con Deutsche Telekom, ma fu bloccato da Massimo D’Alema che sosteneva Colaninno.

 

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Oggi si continua a lanciare slogan, ma “non si possono risolvere problemi complessi con gli slogan”, sottolinea Bernabè che invita al “pensiero laterale”. Il manager ha cominciato a cercare una soluzione per la rete poco dopo il suo ritorno al vertice dell’allora Telecom Italia, ma ogni proposta ha trovato un inciampo. Intanto, le telecomunicazioni sono cambiate in modo radicale. Siamo sicuri, oggi, che una rete unica sia più efficiente e meno costosa? In fondo, il protocollo Internet nasce per assicurare l’accesso a reti eterogenee. Non solo: siamo certi che la rete fissa sia una priorità strategica nel momento in cui arrivano le tecnologie 5G che consentono di collegarsi senza fili a velocità superiori a un giga al secondo? Non rischiamo di mettere in piedi una infrastruttura rigida che diventa presto obsoleta con enorme spreco di denaro? “Si parla di rete a prova di futuro, ma nella tecnologia è una idea insensata. Nulla è a prova di futuro, i cambiamenti sono rapidi, continui, imprevedibili. E la flessibilità è una dote necessaria. Più si è in grado di adattarsi, maggiore è la capacità di reagire e mettere a frutto le novità”, insiste Bernabè. Insomma, il dibattito che da anni ci tormenta, che divide e fa rischiare tanti quattrini dei contribuenti, è già superato. Non è la prima volta che l’Italia, assordata dalle sue baruffe domestiche, non sente il fischio del treno.

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