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“Nuovo modello di sviluppo”

Più Venezuela che Italia. La Cgil ha consegnato a Conte un piano choc

Nunzia Penelope

Nuova Iri e stato datore di lavoro di ultima istanza. Nazionalizzazioni (da Alitalia a Tim), lavoro garantito (Lsu), altra quota 100, mobilitazione del risparmi e patrimoniale

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Roma. Chissà se tra i 180 progetti discussi dal governo con le 122 associazioni e 34 personalità varie incontrate nel corso degli Stati generali c’è anche quello presentato dalla Cgil. Tredici pagine fitte, più schede tecniche varie, datate 15 giugno, titolo: “Dall’emergenza al nuovo modello di sviluppo”. Il documento, consegnato da Maurizio Landini a Giuseppe Conte nel corso del vertice di Villa Pamphili, e mai reso pubblico nel dettaglio, ha l’ambizione di un “progetto paese” a tutto campo, che affronta ogni possibile capitolo: fisco, pensioni, lavoro, scuola, sanità, famiglia, cultura, turismo, tecnologia, reti. Fino a delineare, appunto, un “nuovo modello di sviluppo”. E d’altra parte, è esattamente questo che si legge nella premessa (dai toni leggermente enfatici) del documento: “Siamo a un bivio nella storia del nostro paese, domani saremo ciò che oggi abbiamo scelto di essere. E l’Italia deve scegliere una via alta allo sviluppo”.

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Roma. Chissà se tra i 180 progetti discussi dal governo con le 122 associazioni e 34 personalità varie incontrate nel corso degli Stati generali c’è anche quello presentato dalla Cgil. Tredici pagine fitte, più schede tecniche varie, datate 15 giugno, titolo: “Dall’emergenza al nuovo modello di sviluppo”. Il documento, consegnato da Maurizio Landini a Giuseppe Conte nel corso del vertice di Villa Pamphili, e mai reso pubblico nel dettaglio, ha l’ambizione di un “progetto paese” a tutto campo, che affronta ogni possibile capitolo: fisco, pensioni, lavoro, scuola, sanità, famiglia, cultura, turismo, tecnologia, reti. Fino a delineare, appunto, un “nuovo modello di sviluppo”. E d’altra parte, è esattamente questo che si legge nella premessa (dai toni leggermente enfatici) del documento: “Siamo a un bivio nella storia del nostro paese, domani saremo ciò che oggi abbiamo scelto di essere. E l’Italia deve scegliere una via alta allo sviluppo”.

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La “via alta” secondo la Cgil ha come perno centrale lo stato, per il quale si chiede “un nuovo protagonismo”: non accontentarsi di “regolare il traffico” ma svolgere il ruolo di attore primario in economia. Da qui in poi, si spazia da vecchi strumenti come le 150 ore (per riconvertire i lavoratori alle nuove esigenze delle tecnologie) o i lavori socialmente utili (l’ipotesi è di uno stato “datore di lavoro di ultima istanza”, che dia “lavoro garantito” per progetti di utilità pubblica alle fasce più povere), all’ennesima riforma delle pensioni (flessibilità in uscita dai 62 anni di età o 41 di contributi), al consueto “no” alle grandi opere, alla richiesta di una patrimoniale, già cavallo di battaglia ai tempi di Monti. Ma non mancano proposte innovative come l’utilizzo dei fondi pensione per finanziare progetti di economia reale, o la partecipazione dei lavoratori nelle scelte delle aziende, fino alla scuola materna obbligatoria come rimedio alla povertà educativa e all’obbligo scolastico portato a 18 anni.

   

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Ma andiamo con ordine. Il cardine, abbiamo detto, è il ruolo dello stato in economia. La proposta della Cgil è di creare una “nuova Iri” (così nel testo), altrimenti detta Agenzia per lo sviluppo, col compito di coordinare un “vero e proprio programma nazionale”, capace di “definire la specializzazione industriale del paese”, “orientare l’azione dei diversi attori e strumenti del sistema” e “coinvolgere anche i grandi attori economici”. Ovviamente, in questo ambito rientra anche la nazionalizzazione Alitalia, ritenuta una operazione indispensabile per il rilancio del turismo. È tuttavia “fondamentale”, precisa il testo, che questa nuova Iri “sia dotata di un mandato di lungo periodo e, soprattutto, di una adeguata indipendenza dalla politica”, intesa principalmente come “ampio margine di autonomia rispetto ai cicli elettorali”.

  

A questo si deve accompagnare anche un “grande disegno riformatore sull’insieme dei sistemi di governance”, a partire dalle competenze del Mise, che assumerebbe un ruolo centrale e per il quale si chiede anche il potenziamento della attuale struttura per la gestione delle crisi industriali.

  

Una nuova governance serve, in particolare, per il settore delle Tlc: per le quali, afferma la Cgil, “è necessario un riassetto” attraverso la creazione “di una rete unica in fibra” con “ una presenza qualificata di Cdp”. La “razionalizzazione” del settore, si precisa, è finalizzata a “posizionare le Tlc italiane nel processo di infrastrutturazione necessario a sviluppare le tecnologie 5G”, che la confederazione accoglie senza dubbi di sorta.

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Innovativa anche la proposta di “muovere i risparmi privati” per affiancare la spesa pubblica. Il riferimento è alle ingentissime risorse del risparmio degli italiani, che non hanno sofferto la crisi ma che giacciono inutilizzate. Di qui, la proposta di offrire ai risparmiatori riottosi obbligazioni finalizzate a investimenti “sociali” (sanità in primo luogo, toccando un tasto oggi sensibilissimo), ma gettando nella mischia anche le ingenti potenzialità finanziarie dei fondi previdenziali per realizzare un “Progetto paese”. L’idea è di mettere a disposizione dei fondi stessi una serie di “veicoli di investimento incardinati sul sistema Cdp, per convogliare risorse su progetti ad alto valore strategico per il paese”: infrastrutture telematiche, logistiche e sociali, assetto idrogeologico, salvaguardia dell’ambiente, recupero urbano, ecc.

  

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Poca innovazione, invece, per quanto concerne il fisco, dove la proposta centrale è quella di una patrimoniale. Partendo dall’analisi delle diseguaglianze, “di patrimoni, oltre che di redditi”, si specifica che “su tali patrimoni, concentrati nelle mani di pochi, spesso ereditati e non costruiti, spesso improduttivi”, è indispensabile “usare la leva fiscale attraverso la definizione di una imposta sulle grandi ricchezze patrimoniali e finanziarie”.

   

Per il resto, il ricchissimo documento, come già detto, affronta davvero ogni singolo capitolo: ha una proposta per tutto, e una soluzione per ogni cosa, in un misto di antico e moderno, di sindacalismo vecchio stile e di tentativi, riusciti o meno, di innovazione. E tuttavia, va detto, al di là delle singole ricette, quello della Cgil è anche al momento l’unico sforzo (a parte quello troppo rapidamente archiviato di Vittorio Colao) di mettere nero su bianco un progetto complessivo. Certo non facilmente condivisibile né con le altre confederazioni sindacali né con la Confindustria, e quindi difficilmente utilizzabile come base per una piattaforma comune e tanto meno per un “patto sociale”. Vi si possono però trovare non pochi punti di contatto con una certa visione dell’economia che caratterizza l’attuale governo. E dunque, piattaforma comune o meno, non sarebbe sorprendente se alcune di queste proposte trovassero spazio in futuri provvedimenti dell’esecutivo.

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