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Perché il Garante Antitrust si occupa (male) di fisco Ue e non di concorrenza?

Carlo Stagnaro

Roberto Rustichelli si scaglia contro la politica fiscale degli stati europei, ma senza averne alcuna competenza

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Ancora una volta, il presidente dell’Antitrust (Agcm), Roberto Rustichelli, ha approfittato di un palcoscenico istituzionale per eludere i temi della concorrenza e dedicarsi alla fiscalità europea. La commissione Politiche europee della Camera l’ha audito sul programma della Commissione europea per il 2020 e sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia all’Ue. Il senso del suo intervento sta in una frase: “L’attuale quadro normativo dell’Ue determina una disparità di condizioni concorrenziali nel mercato tra stati membri e operatori, in quanto, da un lato, favorisce il dumping fiscale e contributivo tra paesi e, dall’altro, è inadeguato a garantire una tassazione efficace ed equa dell’economia digitale”. Concetti, questi, già espressi in occasione del suo debutto alla presentazione della Relazione annuale 2019.

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Ancora una volta, il presidente dell’Antitrust (Agcm), Roberto Rustichelli, ha approfittato di un palcoscenico istituzionale per eludere i temi della concorrenza e dedicarsi alla fiscalità europea. La commissione Politiche europee della Camera l’ha audito sul programma della Commissione europea per il 2020 e sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia all’Ue. Il senso del suo intervento sta in una frase: “L’attuale quadro normativo dell’Ue determina una disparità di condizioni concorrenziali nel mercato tra stati membri e operatori, in quanto, da un lato, favorisce il dumping fiscale e contributivo tra paesi e, dall’altro, è inadeguato a garantire una tassazione efficace ed equa dell’economia digitale”. Concetti, questi, già espressi in occasione del suo debutto alla presentazione della Relazione annuale 2019.

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Nel merito, la tesi di Rustichelli è fragile: non perché le asimmetrie tra i sistemi tributari non siano una faccenda complicata, ma perché – tra voli pindarici e salti nel buio – il garante si avventura su un terreno che chiaramente non è il suo. Per esempio, dice che le “pratiche fiscali aggressive” di Irlanda, Olanda e Lussemburgo “danneggiano le economie degli altri stati membri”: “Ne è prova la circostanza che nell’ultimo quinquennio il pil italiano è cresciuto solo del 5 per cento”, contro il 60 per cento di Dublino, il 17 di Lussemburgo e il 12 di Amsterdam. Quali siano le determinanti della crescita è una delle questioni più dibattute in economia: nessun economista si sognerebbe mai di ridurla alla mera tassazione sul reddito d’impresa. “Tali paradisi fiscali – insiste – non si fanno neppure carico, non avendo sul proprio territorio gli opifici industriali delle società che hanno ivi spostato la propria sede fiscale, dei costi degli ammortizzatori sociali”: né si capisce perché dovrebbero, visto che gli “opifici” stanno altrove e le misure di sostegno alla disoccupazione vanno a beneficio dei lavoratori, non delle imprese. Ce n’è anche per la Polonia, colpevole di avere contributi previdenziali pari al 18,4 per cento del costo del lavoro contro il 28,7 italiano (e pazienza se noi spendiamo per la previdenza il 16 per cento del pil, Varsavia meno dell’11).

 

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Lo sfondone più clamoroso riguarda Apple. La compagnia di Cupertino era stata condannata a restituire 13 miliardi di euro di aiuti di stato illegittimamente ricevuti dall’Irlanda, pari al 5 per cento del pil del paese: “Facendo un paragone con l’Italia è come se il nostro paese avesse ricevuto da Apple circa 90 miliardi di euro”, afferma Rustichelli. Ma la “multa” riflette il mancato gettito fiscale, che è funzione degli utili societari, non del prodotto del paese ospite: se Apple avesse fatto lo stesso accordo con l’Italia, sarebbe stata ugualmente condannata a versare 13 miliardi! Oltre tutto, non si capisce cosa questo dovrebbe dimostrare, se non che Bruxelles già dispone degli strumenti per contrastare gli abusi. Nell’unica parte dell’intervento dedicata alla competition policy, Rustichelli accusa collettivamente e sommariamente le big tech di “drena[re] risorse dagli stati in cui il valore è effettivamente prodotto”. Anche qui, la semplificazione è brutale: il nesso tra il luogo della produzione e quello della tassazione sta alla base dei sistemi fiscali moderni, ma il presidente dell’Agcm, forse senza neppure rendersene conto, dà per scontato che coincida con quello del consumo. Non solo i manuali di teoria della crescita, ma anche quelli di diritto tributario e scienza delle finanze rischiano l’autocombustione.

 

L’elenco potrebbe proseguire, ma a questo punto il problema è soprattutto di metodo. Dal capo dell’Antitrust ci si aspetta che parli di concorrenza, non di fiscalità internazionale. Ci sarebbe l’imbarazzo della scelta: dai provvedimenti anticoncorrenziali adottati nel nostro paese durante l’emergenza Covid (di cui si occupa Federico Riganti in uno studio di prossima pubblicazione per l’Istituto Bruno Leoni) alle conseguenze di breve e lungo termine della sospensione della disciplina degli aiuti di stato in Europa. Che Rustichelli intrattenga i deputati su questioni sulle quali non ha competenza – nel duplice senso che non ha potere di intervento, né conoscenza specifica – offende sia l’istituzione che rappresenta pro tempore, sia quella che l’ha invitato a parlare.

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