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I soldi ci sono, ma la visione dov’è? Perché spaventa questo stato imprenditore

Paolo Cirino Pomicino

Ilva, Alitalia e Autostrade. Senza serietà e capacità decisionali il domani rischia di essere tragico

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L’Italia è sull’orlo del baratro priva come è di visione per il dopo pandemia. Ci siamo astenuti da critiche profonde nel periodo pandemico tentando di trasformarle in suggerimenti. Siamo rimasti inascoltati a cominciare da quello che doveva essere il primo atto del governo, la caccia ai portatori sani. Per un mese abbiamo sentito che i tamponi dovevano essere fatti solo ai sintomatici mentre gli inconsapevoli untori diffondevano il contagio. Oggi siamo alla vigilia di un’altra crisi che può assumere il profilo della catastrofe, quella economica. I ritardi dei finanziamenti alle imprese previsti dal decreto liquidità non sono dovuti alle banche ma da una sciatta legislazione che non sa capire che l’emergenza impone che per legge siano tagliati ogni laccio procedurale ed ogni successiva responsabilità ai fini civili, penali ed erariali. Così non è stato e dall’otto di aprile le aziende aspettano soldi che ancora non arrivano perché le banche devono rispettare vincoli procedurali non eliminati o attenuati. Ma il peggio non è ancora arrivato visto che ad oggi il governo non ha ancora una visione sul cosa fare per rilanciare la nostra economia dopo il crollo del pil che a fine anno supererà il 10 per cento. Non amiamo la polemica ma se gettiamo l’allarme è perché vediamo cosa sta avvenendo oggi su alcune partite fondamentali.

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L’Italia è sull’orlo del baratro priva come è di visione per il dopo pandemia. Ci siamo astenuti da critiche profonde nel periodo pandemico tentando di trasformarle in suggerimenti. Siamo rimasti inascoltati a cominciare da quello che doveva essere il primo atto del governo, la caccia ai portatori sani. Per un mese abbiamo sentito che i tamponi dovevano essere fatti solo ai sintomatici mentre gli inconsapevoli untori diffondevano il contagio. Oggi siamo alla vigilia di un’altra crisi che può assumere il profilo della catastrofe, quella economica. I ritardi dei finanziamenti alle imprese previsti dal decreto liquidità non sono dovuti alle banche ma da una sciatta legislazione che non sa capire che l’emergenza impone che per legge siano tagliati ogni laccio procedurale ed ogni successiva responsabilità ai fini civili, penali ed erariali. Così non è stato e dall’otto di aprile le aziende aspettano soldi che ancora non arrivano perché le banche devono rispettare vincoli procedurali non eliminati o attenuati. Ma il peggio non è ancora arrivato visto che ad oggi il governo non ha ancora una visione sul cosa fare per rilanciare la nostra economia dopo il crollo del pil che a fine anno supererà il 10 per cento. Non amiamo la polemica ma se gettiamo l’allarme è perché vediamo cosa sta avvenendo oggi su alcune partite fondamentali.

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La crisi siderurgica di Taranto vedrà, dopo oltre un anno di follie, l’uscita (probabile) di Arcelor Mittal e una nazionalizzazione goliardica privi come siamo di una cultura industriale pubblica. Però, grazie a Dio, abbiamo tolto lo scudo penale necessario per il risanamento ambientale in costanza di produzione. Alitalia è un’altra testimonianza di una sconcertante inadeguatezza politica. E’ mai possibile che una trattativa capace di inserire la nostra compagnia di bandiera in una joint venture con compagnie internazionali venga affidata ai commissari di turno quando, al contrario, richiederebbe una trattativa tra Stati e quindi tra governi, dentro e fuori dall’Europa? La goliardia non si addice al governo di un grande paese come l’Italia.

 

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Per completare la triade arriva il dossier autostrade. Anche qui sconvolge il fatto che in attesa che la magistratura accerti le responsabilità il governo sembra preso da una furia iconoclasta per distruggere uno dei pochi player internazionali che l’Italia ha trasformando il dolore in odio solo per propaganda elettorale e si dimentica che lo stato non solo è socio della concessionaria visto che riceve il 30 per cento dei ricavi da pedaggio ma perché la società nulla può fare e nulla può omettere senza il consenso od il silenzio dello Stato che ha il controllo stretto sugli investimenti e sulle manutenzioni da fare e sul come sono stati fatti. Ebbene in 24 mesi annunci continui di revoche imminenti e di modifiche unidirezionali delle convenzioni vigenti nel decreto “mille proroghe”, ha ridotto il titolo delle società interessate (Atlantia e Aspi) a livello spazzatura impedendo così alle banche ed alla stessa cassa depositi e prestiti di rifinanziare investimenti e manutenzioni mentre i ricavi crollavano per via del blocco pandemico. Il tutto nonostante che Atlantia in questi 24 mesi abbia finanziato il nuovo ponte di Genova per 600 milioni ed abbia giustamente dato ristoro alle famiglie colpite così duramente con una analoga cifra. Si vuole revocare la concessione? Lo si faccia assumendosi non solo la responsabilità politica visto che non sapremmo a chi darla per le condizioni in cui versa l’Anas, ma anche quelle personali in sede civile ed erariali. Il rischio che vediamo è che tra poco sarà la società stessa messa ormai con le spalle al muro a consegnare allo stato, concedente immobile ed irresponsabile, le chiavi di un asset strategico perdendo così occupazione, entrate certe e caricandosi di oneri per investimenti importanti senza avere, peraltro, un euro disponibile. Il governo di un paese impone serietà, visione e capacità decisionali e se il presente è quel che abbiamo descritto l’immediata domani rischia di essere tragico.

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