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Adesso tocca agli stati

Pier Carlo Padoan

I soldi europei ci sono e la solidarietà anche. Ora i governi devono mostrarsi all’altezza di una doppia sfida epocale

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L’iniziativa della Commissione, “Next Generation EU”; cambia davvero l’Europa, o meglio la cambierà davvero se riuscirà a cambiare le linee di intervento dei due livelli necessari per fare succedere ciò che si propone: appunto guardare a un’Europa per le nuove generazioni. I due livelli sono ovviamente quello europeo e quello degli stati membri. A livello europeo si prevede una trasformazione e un rafforzamento degli strumenti necessari non solo per sconfiggere la crisi Covid-19, ma anche, soprattutto, per rilanciare l’Europa a fronte della doppia transizione: digitale e ambientale, che le era di fronte prima della crisi ma che Covid-19 ha fortemente accelerato.

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L’iniziativa della Commissione, “Next Generation EU”; cambia davvero l’Europa, o meglio la cambierà davvero se riuscirà a cambiare le linee di intervento dei due livelli necessari per fare succedere ciò che si propone: appunto guardare a un’Europa per le nuove generazioni. I due livelli sono ovviamente quello europeo e quello degli stati membri. A livello europeo si prevede una trasformazione e un rafforzamento degli strumenti necessari non solo per sconfiggere la crisi Covid-19, ma anche, soprattutto, per rilanciare l’Europa a fronte della doppia transizione: digitale e ambientale, che le era di fronte prima della crisi ma che Covid-19 ha fortemente accelerato.

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L’Europa ha già messo in campo un pacchetto di nuovi strumenti, Mes sanitario, Sure per il lavoro, Bei per le imprese, in grado di mobilizzare oltre 500 miliardi. A questi si aggiunge il Fondo (lo strumento) per la ripresa e la Resilienza che dovrebbe (il negoziato è appena iniziato) portare in dote oltre 700 miliardi. Il tutto in aggiunta al nuovo bilancio europeo da 1.100 miliardi. Le novità riguardano sia le risorse che gli obiettivi. Le risorse dovrebbero derivare dall’emissione di titoli garantiti dal bilancio europeo che andrebbe rafforzato in dimensione anche grazie alla introduzione di “risorse proprie” come una web tax, una tassa sulla emissioni, una tassa verde “di confine”. Si tratterebbe di strumenti per rafforzare il bilancio comunitario coerenti con la doppia transizione, con una nuova visione per l’Europa, cioè coerenti con gli obiettivi. Le emissioni sarebbero di titoli “europei” destinati a finanziare beni pubblici europei, quali appunto la sostenibilità ambientale, la diffusione delle nuove tecnologie, il mercato interno. Non sarebbero invece destinati a mutualizzare il debito pregresso. Nel complesso si tratterebbe di importanti passi avanti verso l’unione fiscale. Ma l’European Recovery Instrument (il termine tecnico per Next Generation EU) dovrebbe soprattutto fornire risorse per accelerare la convergenza delle economie dell’Unione, evitare il rischio che la crisi coronavirus accentui le divergenze e accresca il rischio di frammentazione. Si tratta di un obiettivo di redistribuzione e solidarietà. E’ qui che entra in gioco il ruolo degli stati membri. Ruolo che, sia pur nell’ambito delle regole europee, appare significativamente accresciuto. Tocca infatti agli stati decidere se e come utilizzare al meglio questa opportunità. Soprattutto gli stati come l’Italia, che più hanno sofferto e soffrono per le conseguenze della crisi. L’Italia potrebbe accedere a risorse cospicue sia in termini di prestiti, a condizioni molto favorevoli, sia di contributi. Risorse aggiuntive rispetto a quelle attivabili tramite Mes, Sure e Bei. Tanto da fare dell’Italia un beneficiario netto di risorse europee. Una buona notizia, sottovalutata nel dibattito, soprattutto se il criterio si limita a “quanti soldi” dovrebbero arrivare.

 

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Ma il vero elemento discriminante riguarda la destinazione e la giustificazione delle risorse ottenibili tramite Next Generation EU. Le risorse dovrebbero infatti essere destinate a finanziare le misure strutturali necessarie per rilanciare la crescita dopo la crisi. Quali misure? Quelle identificate dalle “Raccomandazioni per paese” nell’ambito del semestre europeo. Sono misure ben note. Riguardano i non pochi ritardi strutturali del nostro paese: la giustizia lenta, la pubblica amministrazione inefficace, lo scarso investimento in innovazione, la dimensione ridotta delle imprese. Sono ritardi che devono essere colmati per far riprendere la crescita della produttività, da cui dipende la crescita del pil, dell’occupazione e il calo del debito. In poche parole sono cose di cui il paese ha grande bisogno, non cose che ci vengono imposte da fuori. La novità della proposta della Commissione sta nell’accrescere il ruolo dei paesi nel definire, in base alle proprie priorità, quali siano le condizioni per accedere alle risorse. Quale sia l’agenda delle riforme che il paese vuole realizzare. Per l’Italia, paese refrattario alle riforme, si tratta di un’opportunità che sarebbe da irresponsabili non sfruttare. A cominciare dalla stesura del piano nazionale di riforme, che il governo si appresta a redigere. In conclusione. Un’Europa molto propositiva che, auspicabilmente dopo la chiusura dei negoziati delle prossime settimane, rilancia in grande il processo di integrazione e di trasformazione istituzionale. Paesi membri con molte risorse a disposizione che potranno approfittarne in base alle loro priorità nazionali, all’interno del quadro della doppia transizione. La sfida per l’Europa delle prossime generazioni si vince se questi due livelli sapranno interagire e sostenersi l’un l’altro.

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