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Meloni e il piano Soros

Luciano Capone

La leader sovranista invoca il Fmi e un’idea del finanziere globalista per i paesi in via di sviluppo. Confusione

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Roma. E’ un periodo critico per i sovranisti, prigionieri della loro retorica anti europea. E la difficoltà si vede nelle proposte improbabili e motivate in maniera contraddittoria. E’ il caso di Giorgia Meloni. Nel giorno in cui la Commissione europea propone un Recovery fund da 750 miliardi, di cui l’Italia sarebbe la maggiore beneficiaria con un pacchetto da 173 miliardi (82 miliardi di trasferimenti e 91 di prestiti), la leader di Fratelli d’Italia sul Corriere della Sera invoca l’aiuto del Fondo monetario internazionale per non essere “alla mercé dell’asse franco-tedesco”. Per la Meloni l’intervento dell’Europa è insufficiente. “Non sappiamo per quanto la Bce garantirà il suo supporto”, non si conosce la versione definitiva del Recovery fund, per non parlare del Mes perché non si sa “cosa accadrebbe a uno stato che non rispettasse tempi e modi di restituzione del prestito”. Questa affermazione della Meloni è particolarmente grave, perché alimenta i dubbi sulla solvibilità del paese: se c’è addirittura il timore che l’Italia non riesca a ripagare al Mes 36 miliardi in 10 anni a tasso agevolato, come fa con gli oltre 400 miliardi di debito emesso ogni anno e con lo stock da 2.500 miliardi? 

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Roma. E’ un periodo critico per i sovranisti, prigionieri della loro retorica anti europea. E la difficoltà si vede nelle proposte improbabili e motivate in maniera contraddittoria. E’ il caso di Giorgia Meloni. Nel giorno in cui la Commissione europea propone un Recovery fund da 750 miliardi, di cui l’Italia sarebbe la maggiore beneficiaria con un pacchetto da 173 miliardi (82 miliardi di trasferimenti e 91 di prestiti), la leader di Fratelli d’Italia sul Corriere della Sera invoca l’aiuto del Fondo monetario internazionale per non essere “alla mercé dell’asse franco-tedesco”. Per la Meloni l’intervento dell’Europa è insufficiente. “Non sappiamo per quanto la Bce garantirà il suo supporto”, non si conosce la versione definitiva del Recovery fund, per non parlare del Mes perché non si sa “cosa accadrebbe a uno stato che non rispettasse tempi e modi di restituzione del prestito”. Questa affermazione della Meloni è particolarmente grave, perché alimenta i dubbi sulla solvibilità del paese: se c’è addirittura il timore che l’Italia non riesca a ripagare al Mes 36 miliardi in 10 anni a tasso agevolato, come fa con gli oltre 400 miliardi di debito emesso ogni anno e con lo stock da 2.500 miliardi? 

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In ogni caso, per uscire dalla crisi, la leader della destra sovranista invoca il Fmi e rilancia una proposta che per anni è stata un cavallo di battaglia del finanziere globalista George Soros. L’idea è quella di far emettere al Fmi nuovi Diritti speciali di prelievo (Dsp) per circa 1.250 miliardi di euro, da distribuire ai paesi membri secondo le quote di partecipazione al Fondo: “L’Italia ne beneficerebbe per circa 40 miliardi, in virtù del suo 3 per cento di quota – scrive la Meloni – una cifra persino superiore a quella dell’eventuale prestito del Mes (ma in questo caso veramente senza condizionalità e soprattutto senza doverli restituire)”. I Diritti speciali di prelievo (Special drawing rights - Sdr) sono un asset di riserva, e anche una specie di unità di conto del Fmi, il cui valore è determinato da un paniere di valute di riserva internazionali (dollaro, euro, yuan, yen e sterlina). In pratica, come già accaduto nel 2009 quando dopo la crisi finanziaria il Fmi emise 182 miliardi di Dsp, si richiede stavolta di fare circa 10 volte tanto per fronteggiare il Covid.

 

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In effetti, negli ultimi mesi sulla stampa internazionale c’è un dibattito sull’argomento. L’idea di iniettare una grande massa di Dsp, facendo diventare il Fmi una specie di banca centrale globale, è stata proposta dal Financial Times, da Jim O’Neill e Domenico Lombardi (a cui si ispira la Meloni) su Project syndicate, ma anche da prestigiosi think tank americani come il Peterson Institute (Piie) e la Brookings Institution. La differenza, rispetto all’idea della Meloni, è che gran parte di questi giornali, think tank ed economisti propone questa soluzione per aiutare gli stati più poveri e le economie emergenti, che hanno banche centrali poco credibili, storie di instabilità finanziaria, maggiori difficoltà a onorare i debiti in valuta estera e a rifinanziare il proprio debito. Non a caso, da un paio di decenni, l’emissione massiccia e una tantum di Dsp per aiutare i paesi in via di sviluppo è una proposta che è stata avanzata reiteratamente da George Soros. Il finanziere ungherese ne aveva scritto, ad esempio, già nel 2002 nel suo libro “On globalization” proponendo appunto un’emissione speciale da 27 miliardi di dollari a favore dei paesi poveri e, ripetutamente, anche negli anni successivi. Oltre alla vicinanza ideale a Soros, l’altra contraddizione della Meloni è l’ostilità del sovranista Trump. Infatti, come ha dichiarato la direttrice del Fmi Kristalina Georgieva, l’amministrazione americana – che con il suo 17 per cento di quote ha diritto di veto nel Fmi – ha già detto di essere contraria.

 

A parte la fattibilità politica (al momento inesistente) di un’operazione del genere, che richiederebbe molto tempo e non sarebbe risolutiva, c’è anche un grosso pericolo. Puntando su uno strumento richiesto per aiutare i paesi in via di sviluppo e sull’orlo del default, l’Italia darebbe un segnale terribile ai mercati: invocare il “piano Soros” e il Fmi produrrebbe un enorme “effetto stigma” sul nostro debito. Altro che Mes.

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