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I paletti di uno stato azionista

Redazione

L’interventismo statale ha senso (ed è un affare) se si segue il modello Obama

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Nell’ambizioso ma indispensabile (ancora più dopo l’annuncio del Recovery fund europeo) piano di rilancio esposto da Roberto Gualtieri una parte fa normalmente drizzare le orecchie ai palati sottili veri o acquisiti del liberismo: l’intervento diretto dello stato in aziende e comparti messi in ginocchio dal Covid. Il ministro dell’Economia fa riferimento soprattutto all’auto e al turismo, ma non dimentichiamo le infrastrutture e l’edilizia, le tlc, oltre alle eterne cenerentole Ilva e Alitalia. Lo strumento dovrebbe essere Patrimonio Cdp, un nuovo fondo che interverrebbe in via temporanea per risanare e rivendere, secondo le regole della Cassa depositi e prestiti, o anche per esercitare in via permanente il controllo sui settori strategici. E’ esattamente quanto stanno facendo Macron e Merkel, in particolare con auto e compagnie aeree, ponendo come condizioni che i beneficiari di capitali pubblici non chiudano stabilimenti. L’auto soffriva da prima della pandemia, ma non è un motivo per lasciarla morire. Anche il turismo italiano, il 13 per cento del pil, perdeva colpi rispetto alla concorrenza straniera.

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Nell’ambizioso ma indispensabile (ancora più dopo l’annuncio del Recovery fund europeo) piano di rilancio esposto da Roberto Gualtieri una parte fa normalmente drizzare le orecchie ai palati sottili veri o acquisiti del liberismo: l’intervento diretto dello stato in aziende e comparti messi in ginocchio dal Covid. Il ministro dell’Economia fa riferimento soprattutto all’auto e al turismo, ma non dimentichiamo le infrastrutture e l’edilizia, le tlc, oltre alle eterne cenerentole Ilva e Alitalia. Lo strumento dovrebbe essere Patrimonio Cdp, un nuovo fondo che interverrebbe in via temporanea per risanare e rivendere, secondo le regole della Cassa depositi e prestiti, o anche per esercitare in via permanente il controllo sui settori strategici. E’ esattamente quanto stanno facendo Macron e Merkel, in particolare con auto e compagnie aeree, ponendo come condizioni che i beneficiari di capitali pubblici non chiudano stabilimenti. L’auto soffriva da prima della pandemia, ma non è un motivo per lasciarla morire. Anche il turismo italiano, il 13 per cento del pil, perdeva colpi rispetto alla concorrenza straniera.

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Dell’Ilva si può dire il peggio ma non che la siderurgia non sia strategica. Quanto all’Alitalia i tre miliardi pubblici sono giustificabili solo in una più moderna gestione del turismo, cioè non solo spiagge e arte ma anche eventi e business. E’ un gosplan, un Iri? No, se si crede che dopo ogni crisi nascono opportunità di crescita; se non ci si rifugia nel nazionalismo rancoroso e nell’assistenzialismo a fondo perduto. Uno studio di Mediobanca sulle 25 maggiori società industriali evidenzia che fin qui la crisi ha riguardato la capitalizzazione (meno 83 miliardi, il 23 per cento) più che il fatturato, i dividenti, la liquidità. Dunque è corretto che lo stato investa nei settori di punta, chiedendo non poltrone ma modernizzazione; per esempio il superamento del nanismo della nostra impresa. Qualcosa di simile lo impose nel 2009 Obama alle banche (qualcosa aveva fatto anche Renzi), e soprattutto al settore auto. Alla fine per i contribuenti americani fu un guadagno, poiché a meno che non si aspetti l’apocalisse sempre si torna a viaggiare, si comprano auto meno inquinanti, si va in vacanza, si spende.

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