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Riformare l’Irap è giusto, ma abolirla è un errore, caro Bonomi

Vieri Seriani

Eliminare quella tassa, come chiede Confindustria, rischia di creare un danno alle piccole imprese. Un’idea alternativa

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La proposta di sopprimere l’Irap con la manovra anti crisi, avanzata dal presidente designato di Confindustria Carlo Bonomi e condivisa dal presidente dell’Abi Antonio Patuelli, non è stata per ora accolta dal governo, che ha però annullato il versamento del saldo relativo all’anno scorso e la prima rata di acconto per quest’anno, entrambe da versare il prossimo mese. Ma sopprimere i versamenti, come ci ricorda il caso dell’Imu sulla prima casa, può essere propedeutico alla soppressione dell’imposta.

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La proposta di sopprimere l’Irap con la manovra anti crisi, avanzata dal presidente designato di Confindustria Carlo Bonomi e condivisa dal presidente dell’Abi Antonio Patuelli, non è stata per ora accolta dal governo, che ha però annullato il versamento del saldo relativo all’anno scorso e la prima rata di acconto per quest’anno, entrambe da versare il prossimo mese. Ma sopprimere i versamenti, come ci ricorda il caso dell’Imu sulla prima casa, può essere propedeutico alla soppressione dell’imposta.

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In realtà, abolire l’Irap è una pessima idea, per vari motivi.

 

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Innanzitutto nell’attuale fase di emergenza porre mano a riforme sistemiche è quanto mai inopportuno. Che sia sistemica, è indubbio: priva le regioni del principale tributo proprio, tra l’altro destinato a finanziare la sanità. Comporta quindi una revisione profonda dell’attuale assetto del federalismo regionale. Sostituirla con addizionali Ires regionali sarebbe improprio: l’Ires è distribuita in modo molto difforme sul territorio, occorrerebbe costruire un sistema di perequazione orizzontale, complicato e impraticabile dal punto di vista politico, perché le regioni “ricche” dovrebbero trasferire parte del loro gettito a quelle “povere”. E comunque queste riforme richiedono tempo e discussioni e non si improvvisano. Lo stesso vale per la sostituzione con trasferimenti dallo Stato, anch’essa complessa: occorrerebbe individuare e concordare i criteri. Soprattutto, si trasformerebbe la finanza regionale in finanza derivata, senza autonomia finanziaria, senza responsabilità: verrebbe meno il principio “vedo, pago, voto”, fondamento dell’assetto federalista. In secondo luogo, ma è cruciale, sopprimere l’Irap è profondamente sbagliato rispetto all’obiettivo di aiutare le imprese in difficoltà. La crisi post Covid vedrà effetti molto differenziati: alcuni settori subiranno gravi perdite, altri manterranno le loro posizioni, altri ancora miglioreranno i risultati. Sopprimere l’Irap contraddice l’obiettivo dichiarato, è inefficiente ed iniquo. Infatti beneficia solo le imprese che avranno buoni risultati economici (cioè un valore positivo del prodotto netto, o margine lordo che dir si voglia) e tanto maggiore il vantaggio quanto migliori saranno quei risultati. Alle imprese in perdita, quelle che avrebbero più bisogno di aiuto, non va alcun beneficio. I beneficiati dalla soppressione sarebbero soprattutto di grandi dimensioni. Non è vero quanto sostenuto dal Sole 24 Ore nel numero del 9 maggio scorso, che i benefici sarebbero equamente distribuiti anche alle piccole imprese, ma l’esatto contrario: saranno prevalentemente beneficiate le grandi imprese. Utilizzando le stesse fonti ufficiali (dichiarazioni 2018) emerge che i contribuenti soggetti a imposte sui redditi (Irpef/Ires) con partita Iva sono 5,6 milioni, i contribuenti Irap sono 3,7 milioni e tra questi ultimi versano l’imposta solo 2 milioni. Pesa il fatto che i piccoli contribuenti hanno una deduzione iniziale (8.000 euro fino a una base imponibile di 180.000) che li manda già oggi esenti dall’Irap. Il vantaggio dell'abrogazione andrebbe per 5,5 miliardi a chi sta sotto la soglia dei 5 milioni di ricavi (sono 3,6 milioni di soggetti) e per ben 8,1 miliardi a chi sta sopra: sono solo 60 mila grandi contribuenti! Quindi un bel “regalo” per poche grandi imprese.

 

Se accettassimo l’obiettivo, per quanto non condivisibile, di sgravare permanentemente i contribuenti in buone condizioni economiche, viene da chiedersi: perché non operare sull’Ires? E sull’Irpef dei professionisti, degli imprenditori individuali e delle società di persone, che al di fuori del regime forfettario sono tassati in Irpef progressiva? Non a caso la soppressa Iri ne prevedeva una tassazione proporzionale, come in Ires. La risposta potrebbe essere che l’Irap, per come è costruita, si presta molto meno delle imposte dirette ad essere evasa e soprattutto elusa. E’ per questo che è così tanto invisa: non è eludibile, molto meno dell’Ires e dell’Irpef. Con la soppressione dell’Irap saremmo di fronte a un “tana libera tutti”, che prende il Covid a pretesto. Se invece l’obiettivo è congiunturale, di liquidità finanziaria, cioè di evitare che i prossimi acconti per il 2020 comportino esborsi a fronte di imposte che a esercizio chiuso risulteranno non dovute, la motivazione appare più che legittima e condivisibile. Ma perché farvi fronte solo con l’Irap, chiedendone perfino l’abrogazione? E gli acconti Irpef e Ires, perché no? La soluzione giusta è di consentire l’utilizzo diffuso del metodo previsionale, riducendo in modo drastico i limiti e le eventuali sanzioni, in modo che chi prevede che i suoi conti 2020 chiuderanno in rosso legittimamente possa non versare tutti gli acconti. Superata l’emergenza, si potrà e dovrà porre mano a una riforma fiscale organica, che interessi anche l’Irap. Ma ora è bene evitare scorciatoie affrettate e mal pensate.

 

Vieri Seriani

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già sottosegretario di stato del ministero dell’Economia del governo Monti

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