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Spritz tricolore

Mariarosaria Marchesano

Il caso Campari offre nuovi spunti al governo che vuole trattenere le imprese in Italia. Parla Bragantini

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Milano. Il gruppo Campari potrebbe rinunciare a trasferire la sede legale in Olanda - anche se non è ancora detto perché una decisione definitiva sarà presa solo a fine giugno - e questo offre una nuova prospettiva al governo che punta a introdurre in Italia alcune modifiche del diritto societario per evitare la fuga delle aziende in paesi europei con regimi più favorevoli, come ha confermato il premier Giuseppe Conte in un’intervista al Foglio. Quello di Campari è un caso emblematico perché riflette sia la legittima aspirazione della storica azienda milanese controllata dalla famiglia Garavoglia ad avere una governance che faciliti la strategia di crescita – trasferendo in Olanda la sede legale (e non quella fiscale) allo scopo di usufruire del cosìddetto “voto plurimo” che rafforza il peso delle maggioranze – sia l’aspettativa degli azionisti di minoranza di partecipare alla gestione. Dopo che lo scorso febbraio la società ha annunciato il trasferimento, un numero di soci che rappresenta il 4 per cento del capitale del produttore di Spritz ha chiesto di poter esercitare il diritto di recesso ad un prezzo (fissato dalla legge) di 8,3 euro per azione che è nettamente più elevato rispetto ai valori di mercato attuali, pari a circa 6,8 euro. Insomma, il Covid e i cali di Borsa degli ultimi mesi ci hanno messo lo zampino e adesso la società per portare a termine la sua decisione di spostare la sede legale in Olanda dovrebbe sborsare una cifra (385 milioni) molto più elevata di quanto aveva messo in conto e comunque sproporzionata rispetto all’obiettivo.

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Milano. Il gruppo Campari potrebbe rinunciare a trasferire la sede legale in Olanda - anche se non è ancora detto perché una decisione definitiva sarà presa solo a fine giugno - e questo offre una nuova prospettiva al governo che punta a introdurre in Italia alcune modifiche del diritto societario per evitare la fuga delle aziende in paesi europei con regimi più favorevoli, come ha confermato il premier Giuseppe Conte in un’intervista al Foglio. Quello di Campari è un caso emblematico perché riflette sia la legittima aspirazione della storica azienda milanese controllata dalla famiglia Garavoglia ad avere una governance che faciliti la strategia di crescita – trasferendo in Olanda la sede legale (e non quella fiscale) allo scopo di usufruire del cosìddetto “voto plurimo” che rafforza il peso delle maggioranze – sia l’aspettativa degli azionisti di minoranza di partecipare alla gestione. Dopo che lo scorso febbraio la società ha annunciato il trasferimento, un numero di soci che rappresenta il 4 per cento del capitale del produttore di Spritz ha chiesto di poter esercitare il diritto di recesso ad un prezzo (fissato dalla legge) di 8,3 euro per azione che è nettamente più elevato rispetto ai valori di mercato attuali, pari a circa 6,8 euro. Insomma, il Covid e i cali di Borsa degli ultimi mesi ci hanno messo lo zampino e adesso la società per portare a termine la sua decisione di spostare la sede legale in Olanda dovrebbe sborsare una cifra (385 milioni) molto più elevata di quanto aveva messo in conto e comunque sproporzionata rispetto all’obiettivo.

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Ora, nessuno può sapere quanti di questi soci di minoranza vogliono uscire perché allettati dalla possibilità di incassare una ricca plusvalenza e quanti, invece, cercano di ostacolare il trasferimento che per loro vorrebbe dire avere minore possibilità di incidere sulla gestione aziendale. Probabilmente, si tratta di un mix di ragioni e sarà poi il board di Campari a fare una scelta nelle prossime settimane anche in base a come andrà la Borsa.

 

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In ogni caso, questa storia fa emergere un nervo scoperto del sistema italiano, che, come ricorda l’ex commissario Consob, Salvatore Bragantini, in un colloquio con il Foglio, ha già rafforzato nel 2015 i diritti di voto dei soci presenti da più di due anni nel capitale, ma con un risultato ritenuto da alcuni insufficiente rispetto a quanto è consentito in paesi come l’Olanda (qui è possibile la decuplicazione dei diritti di voto) o come negli Stati Uniti, dove addirittura non ci sono limiti alla possibilità di moltiplicare il peso decisionale dei soci di riferimento, vedi i casi di Google e Facebook. “Personalmente, resto convinto che il potere di gestione in un’azienda debba discendere direttamente dall’impegno patrimoniale ed essere a questo rapportato, mentre la moltiplicazione dei diritti di voto va in senso contrario – dice al Foglio Bragantini, che nella sua carriera ha avuto numerosi incarichi in consigli di amministrazione in gruppi e società finanziarie e sul tema della governance è sempre stato un attento osservatore – D’altro canto, capisco l’esigenza di rendere più attrattiva l’Italia per i capitali che, altrimenti, si spostano dove trovano maggiore convenienza. Bisogna, però, fare molta attenzione a non comprimere i diritti delle minoranze perché il risultato sarebbe controproducente: alcuni fondi comuni potrebbero allontanarsi dall’Italia perché si diffonde la percezione di un capitalismo percepito come incline a rifuggire dalla disciplina del mercato. In tal caso il prezzo per trattenere le aziende sarebbe pagato con la fuga degli investitori istituzionali. Questi in Italia portano risorse e un contributo di cultura finanziaria anche internazionale”. E allora, come si fa a contemperare queste esigenze? Il governo pensa di introdurre alcune modifiche del diritto societario nel prossimo decreto semplificazione perché ritiene che in questo particolare momento di debolezza dell’Italia c’è bisogno di creare terreno fertile per nuovi investimenti e fermare la fuga all’estero delle imprese. “Mi pare che si stia continuando a ragionare su come rendere più flessibili le regole societarie, magari con appropriate salvaguardie per le minoranze. Certo, sarebbe molto più difficile, ma anche più utile a tutti noi, rendere rapida ed efficiente la burocrazia. Un obiettivo meno ambizioso, e concretamemte fattibile, sarebbe semplificare la gestione del contenzioso societario. Ciò ridurrebbe i tempi delle controversie, che a mio parere possono nuocere alla vita delle aziende molto più di qualche confronto troppo verboso tra maggioranze e minoranze in consiglio di amministrazione”.

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