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La fine di Re Mida

Eugenio Cau

Masayoshi Son, il tycoon di Softbank, è in guai seri: ama troppo la sharing economy

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Milano. Per un momento, qualche anno fa, Masayoshi Son è sembrato Re Mida. Tutto ciò che toccava si trasformava in oro, il suo investimento di 20 milioni di dollari in Alibaba quando ancora era una startup semisconosciuta si rivelò preveggente e fruttò a Masayoshi Son (Masa per gli amici) e alla sua Softbank, il gigante tecnologico giapponese, un valore di oltre 100 miliardi. Come Re Mida, Masa era abituato a maneggiare ricchezze inverosimili. Nel 2017, con denari sauditi ed emiratini, aveva messo in piedi il Vision Fund, un fondo d’investimento dal valore abnorme di 100 miliardi di dollari, con cui Masa intendeva finanziare il futuro della tecnologia mondiale. Negli ultimi tre anni Masa e il suo Vision Fund hanno investito generosamente in aziende innovative e startup tecnologiche, prendendosi rischi e facendo scelte audaci, in perfetto stile Masa. I problemi avevano già cominciato a vedersi qualche mese fa. Alcuni investimenti arrischiati erano al limite, e c’era stato lo scivolone di WeWork (ci torniamo). Poi è arrivato il coronavirus, e i campanelli d’allarme si sono trasformati in un disastro. Ieri Softbank ha presentato i suoi risultati trimestrali e sono catastrofici: la società giapponese ha perso 12,7 miliardi di dollari nel corso dell’anno fiscale che si è concluso il 31 marzo 2020. E’ la prima volta in 15 anni che Softbank fa registrare un passivo (sì, Masa era davvero Re Mida). Nello stesso periodo dell’anno precedente Softbank aveva annunciato profitti per 19,6 miliardi.

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Milano. Per un momento, qualche anno fa, Masayoshi Son è sembrato Re Mida. Tutto ciò che toccava si trasformava in oro, il suo investimento di 20 milioni di dollari in Alibaba quando ancora era una startup semisconosciuta si rivelò preveggente e fruttò a Masayoshi Son (Masa per gli amici) e alla sua Softbank, il gigante tecnologico giapponese, un valore di oltre 100 miliardi. Come Re Mida, Masa era abituato a maneggiare ricchezze inverosimili. Nel 2017, con denari sauditi ed emiratini, aveva messo in piedi il Vision Fund, un fondo d’investimento dal valore abnorme di 100 miliardi di dollari, con cui Masa intendeva finanziare il futuro della tecnologia mondiale. Negli ultimi tre anni Masa e il suo Vision Fund hanno investito generosamente in aziende innovative e startup tecnologiche, prendendosi rischi e facendo scelte audaci, in perfetto stile Masa. I problemi avevano già cominciato a vedersi qualche mese fa. Alcuni investimenti arrischiati erano al limite, e c’era stato lo scivolone di WeWork (ci torniamo). Poi è arrivato il coronavirus, e i campanelli d’allarme si sono trasformati in un disastro. Ieri Softbank ha presentato i suoi risultati trimestrali e sono catastrofici: la società giapponese ha perso 12,7 miliardi di dollari nel corso dell’anno fiscale che si è concluso il 31 marzo 2020. E’ la prima volta in 15 anni che Softbank fa registrare un passivo (sì, Masa era davvero Re Mida). Nello stesso periodo dell’anno precedente Softbank aveva annunciato profitti per 19,6 miliardi.

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Il Vision Fund, nel frattempo, è andato ancora peggio: Softbank aveva previsto che le perdite sarebbero ammontate a 16,7 miliardi di dollari, in realtà sono state 17,7 miliardi. Poco prima dell’annuncio delle perdite clamorose, Jack Ma, il fondatore di Alibaba, ha fatto sapere di avere rinunciato al suo posto nel consiglio di amministrazione di Softbank. Qualche settimana fa aveva fatto la stessa cosa anche Tadashi Yanai, il fondatore e presidente di Uniqlo, il gigante dell’abbigliamento, amico e consigliere di Masa.

 

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I grandi problemi di Softbank si trovano in una strategia di investimento che ha puntato troppo sulla sharing economy. I guai sono cominciati l’anno scorso con WeWork, l’azienda di coworking che gestiva un business immobiliare (affitti grandi spazi in centro città, li ristrutturi, li subaffitti ad aziende e singoli lavoratori) che però si spacciava per un business tecnologico ad alto tasso di crescita e di innovazione grazie al carisma del ceo Adam Newmann. Masa si era fatto incantare da Newmann, e dei 100 miliardi del Vision Fund ne aveva destinati ben nove a WeWork. La quotazione dell’azienda era andata fuori mercato, ma poi un paio di mosse sbagliate da parte di Newmann aveva fatto scoppiare la bolla, e Softbank aveva perso un sacco di soldi.

 

Masa però non ha mai smesso di credere che la sharing economy fosse il futuro. Ha investito somme ingenti in Uber, Oyo, che è una specie di Airbnb indiano, Didi, Doordash, Grab, Rappi e così via. Tutte aziende con una caratteristica in comune: un business nella sharing economy in grande crescita che però non generava profitti. Softbank ha sommerso queste aziende di denaro, in alcuni casi distorcendo il mercato in cui operavano, ma quando è arrivato il coronavirus la scommessa di Masa è crollata. Prendiamo Uber, che soltanto dieci giorni fa aveva annunciato il licenziamento di 3.700 dipendenti. Le condizioni dell’azienda sono così precarie che ieri il Wall Street Journal ha dato la notizia che saranno licenziate ulteriori 3.000 persone, saranno chiusi 45 uffici in giro per il mondo e rivisti alcuni programmi strategici, come quello di sviluppare l’auto che si guida da sola. Scommettere sulla sharing economy è sempre stato rischioso. Con il coronavirus è diventato letale.

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