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Con la globalizzazione se ne esce prima

Redazione

Uscire dalla convalescenza seguendo l’esempio delle grandi aziende

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A Prato 250 aziende del distretto tessile protestano per non avere ottenuto l’uscita dal lockdown, a differenza di GucciLab, il laboratorio della maison di proprietà del gruppo francese Kering. “Ci sono figli e figliastri” dicono, rifiutando la mediazione del governatore Enrico Rossi per far ripartire chi esporti almeno il 25 per cento della produzione. In questa vicenda c’è il succo della scommessa post pandemia: più globalizzazione, meno miniaturizzazione. Molti si immaginano il domani come fotocopia del dov’era e com’era, garantita da fondi pubblici ed europei (purché non Mes). E’ una visione che oscilla tra la nostalgia retrò – in spiaggia come negli anni 60, in aereo come ai tempi dei Super Constellation – ed eterna tentazione statalista. Le garanzie pubbliche sono necessarie, ovvio. Ma poi, se alla convalescenza non vogliamo aggiungere le endemiche debolezze dello stato aggravate dai revanchismi autarchici, la vera ripresa non potrà che essere affidata al mercato.

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A Prato 250 aziende del distretto tessile protestano per non avere ottenuto l’uscita dal lockdown, a differenza di GucciLab, il laboratorio della maison di proprietà del gruppo francese Kering. “Ci sono figli e figliastri” dicono, rifiutando la mediazione del governatore Enrico Rossi per far ripartire chi esporti almeno il 25 per cento della produzione. In questa vicenda c’è il succo della scommessa post pandemia: più globalizzazione, meno miniaturizzazione. Molti si immaginano il domani come fotocopia del dov’era e com’era, garantita da fondi pubblici ed europei (purché non Mes). E’ una visione che oscilla tra la nostalgia retrò – in spiaggia come negli anni 60, in aereo come ai tempi dei Super Constellation – ed eterna tentazione statalista. Le garanzie pubbliche sono necessarie, ovvio. Ma poi, se alla convalescenza non vogliamo aggiungere le endemiche debolezze dello stato aggravate dai revanchismi autarchici, la vera ripresa non potrà che essere affidata al mercato.

 

Le aziende già riaperte si chiamano Fincantieri, Luxottica, Ansaldo, Electrolux, Rolls-Royce; Fca e il comparto auto sono pronti come i fornitori italiani di Céline e Dior, Loro Piana, le ceramiche emiliane. Nomi e settori di processi produttivi e commerciali globali. C’è un importante dato di ieri: l’indice Zew di fiducia dell’economia tedesca è risalito a sorpresa da meno 49,5 punti a più 28,2: la Germania, che solo la politica dipinge come nemico e non come partner economico, si aspetta una ripartenza più rapida; il che offre il traino all’Italia. Certo che i negozi di quartiere e lo spirito d’iniziativa di tanti imprenditori e artigiani hanno alleviato i disagi di questi due mesi. Ma i teorici del piccolo è bello dovrebbero chiedersi perché il settore più problematico della fase due siano i trasporti e quei servizi locali ostinatamente sottratti al mercato, e ora a corto di fondi, tecnologie, buoni accordi sindacali. La riapertura è una grande opportunità: purché si dia all’economia la spallata già necessaria prima, quando non si è assecondata fino in fondo Industria 4.0 (c’è bisogno di altro per capire l’importanza della super-rete?). Pretendiamo di essere più integrati, globalizzati, informatizzati; non solo nelle ottime maratone di Lady Gaga.

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