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Imprese antipopuliste

Giuseppe De Filippi

Chi è Carlo Bonomi, il nuovo capo di Confindustria con un vaccino da trovare e con un mandato da brividi

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Roma. Vittoria netta quella di Carlo Bonomi nella video-designazione del nuovo presidente di Confindustria, a dispetto di sondaggi un po’ pateticamente pilotati fino al giorno prima. E prima volta di un passaggio, diretto o indiretto, dalla guida di Assolombarda a quella della confederazione nazionale. Sono due aspetti non semplicemente cronachistici perché danno il tratto della presidenza che prenderà l’avvio operativo con l’assemblea del 20 maggio. Il primo segnale è quello della compattezza, dopo una serie di elezioni recenti in cui il mondo imprenditoriale aveva interiorizzato forme di bipolarismo politico, per la verità in versione impoverita, arrivando a scontri testa e testa (davvero, non come dicevano i sondaggi di cui sopra per questa occasione) e soprattutto a divisioni poco sensate per chi deve rappresentare sì interessi di categoria ma anche tentare di accreditarsi come interlocutore forte nazionale per governo e sindacati.

 

Dopo gli scontri elettorali, va riconosciuto, le presidenze recenti, sia quella di Giorgio Squinzi sia quella di Vincenzo Boccia, erano riuscite a recuperare uno spirito unitario. E questa volta gli imprenditori hanno preferito giocare di anticipo e creare un consenso vasto su Bonomi, forse rinforzandolo nella stretta finale sotto la pressione dell’emergenza sanitaria. La prova data in Assolombarda evidentemente ha convinto, proprio sotto questo aspetto cruciale, cioè nella gestione di un ampio schieramento interno senza annacquare le posizioni politiche e i rapporti con gli altri poteri. “La politica ci ha esposto a un pregiudizio fortemente anti industriale che sta tornando in maniera importante in questo paese” – ha detto appena designato, ancora nel chiuso del consiglio generale – “non pensavo di sentire più l’ingiuria che le imprese sono indifferenti alla vita dei propri collaboratori. Sentire certe affermazioni da parte del sindacato mi ha colpito profondamente, credo che dobbiamo rispondere con assoluta fermezza”. 

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E poi, direttamente per Palazzo Chigi, “vanno benissimo i comitati di esperti, ma la loro proliferazione dà il senso che la politica non ha capito, non sa dove andare. Abbiamo un comitato a settimana, senza poteri, senza capire dove si vuole andare. E il tempo è nostro nemico, rischia di disattivare la nostra presenza nelle catene del valore aggiunto mondiale”.

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Chiaro e forte, si direbbe. Di carattere ne ha, e lo ha dimostrato. Le contestazioni alla politica governativa nel Conte 1, insistenti e puntute, erano arrivate, dalla Assolombarda di Bonomi, tanto al reddito di cittadinanza quanto a quota 100. Nessuna sponda leghista, insomma, e nessuna ossessione solo anti grillina. Ma un principio costante di attenzione alle politiche del lavoro e dell’impresa e alle scelte di finanza pubblica, oltre alla linea rigorosamente filoeuropea e favorevole all’integrazione commerciale, lo ha ricordato anche ieri, e contro la vulgata attuale che vorrebbe un ritorno al nazionalismo, dicendo che “dopo 11 anni dalla crisi del 2008 noi non avevamo ancora raggiunto il pil pre-crisi. Ora si è aperta una nuova voragine e questa voragine sarà tremenda perché arriva su un paese strutturalmente ancora debole. Il mondo che si aprirà sarà globalizzato e la soluzione non può essere quella di richiudersi nei proprio confini”.

 

Ha lottato all’inizio della sua corsa per riuscire a portare il modello economico e produttivo lombardo a diventare quello di riferimento per tutta la Confindustria. Con tutte le cautele del caso. Quando ha proposto la sua candidatura sapeva benissimo che non era mai avvenuto il passaggio di cariche da Milano a Roma. E sapeva anche che avrebbe dovuto superare qualche diffidenza e qualche antipatia verso la forza e, diciamo così, l’autoconsiderazione dell’imprenditoria milanese (con qualche antipatizzante anche tra gli altri lombardi). Ci si è messo con impegno e ha conquistato fiducia con un lavoro anche diretto e personale, mostrando più doti relazionali e politiche di quelle che alcuni avrebbero saputo immaginare. La sua storia, nato a Crema nel 1966, è molto associativa ma non completamente imprenditoriale, e anche questa è una prima volta nella serie di presidenze confindustriali. Ha cominciato come dirigente in Toscana, per poi diventare imprenditore nel settore biomedicale, con la sua Synopo e altre aziende collegate. Adesso, da presidente designato, deve tenere assieme uno spirito di confronto tosto verso il governo e verso i sindacati con le speciali e drammatiche esigenze di questi giorni dolorosi. “Non è il momento di gioire – ha detto ieri – dobbiamo affrontare una sfida tremenda e dobbiamo metterci al più presto nelle condizioni operative per affrontarla con la massima chiarezza ed energia”.

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