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Imprese per salvare l’Italia

Pasquale Lucio Scandizzo e Giovanni Tria

La ripresa? Scommettere sulle filiere produttive, non su sostegni generici ai redditi

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Ripetere che dopo il contagio da coronavirus e il suo impatto sull’economia globale nulla sarà come prima è un esercizio inutile, anche se oggi ampiamente praticato. Il fatto che il futuro continui a sorprenderci mal si concilia infatti con affermazioni apodittiche e, d’altra parte, non è vero che, senza politiche preordinate corrette, i mercati, la società e i governi di per sé correggeranno nella giusta direzione i comportamenti in un processo di apprendimento condizionato da quanto oggi accade. I processi darwiniani sono infatti molto lunghi, difficilmente prevedibili e spesso molto dolorosi per chi ne subisce le conseguenze negative. Dopo la crisi del 2008, molte politiche sono cambiate e ora sappiamo che molti cambiamenti di policy sono stati sbagliati. Ma soprattutto il mondo è molto cambiato da allora e solo in piccola parte a causa della crisi del 2008. Molto di più è cambiato per il progresso tecnologico e per l’evoluzione dell’economia globalizzata e dell’ulteriore crescita demografica globale sulla quale è difficile dire quanto abbia influito la grande crisi finanziaria. Molto più utile, quindi, è valutare programmi alternativi da adottare oggi. Sappiamo che l’impatto economico del contagio dipenderà dalla sua estensione nello spazio e durata nel tempo, d’altra parte entrambe queste caratteristiche dipendono a loro volta dalla durata e dall’estensione del blocco delle attività economiche finalizzato ad attuare la strategia del “distanziamento sociale” e dalle misure di politica economica che possono essere messe in campo per mitigarne gli effetti recessivi sia nel breve che nel lungo termine. Ciò significa che la riduzione della durata e dell’estensione del contagio e la mitigazione degli effetti relativi hanno un costo economico che deve essere confrontato con il beneficio atteso, sia in termini di salute pubblica e vite umane sia in termini di più rapida ripresa economica dopo la fine dell’emergenza. L’efficacia delle misure di policy inoltre dipende criticamente dalla loro tempestività, perché mai come in questa occasione, ci troviamo di fronte a fenomeni per cui i ritardi o gli errori di timing nell’intervento pubblico possono non solo mancare di migliorare la situazione, ma causare danni permanenti e progressivi. Queste premesse implicano che l’azione di policy debba essere rivolta a due obiettivi contemporanei: minimizzare il danno del blocco delle attività economiche e minimizzare l’estensione e la durata del blocco necessario a frenare il contagio. I due obiettivi richiedono due strumenti distinti. Per quanto riguarda il primo obiettivo, si deve partire dal fatto che il blocco delle attività economiche conseguente al contrasto del contagio determina essenzialmente uno shock negativo di offerta che poi determina, come conseguenza dell’arresto della produzione di redditi, una caduta della domanda. L’effetto recessivo è amplificato dal fatto che lo shock di offerta interessa progressivamente gran parte dei paesi avanzati ed emergenti e quindi blocca parte del commercio mondiale e determina un crollo della domanda globale sia nell’immediato, sia, a causa della sua progressività, nelle aspettative economiche delle imprese e dei mercati. Per impedire una recessione prolungata e la distruzione di capacità produttiva, gli Stati non devono quindi solo sostenere la domanda aggregata con un generico stimolo fiscale, ma devono disegnare lo stimolo fiscale in modo da veicolare liquidità e pagamenti direttamente nelle filiere e compensare, di conseguenza, in modo selettivo i redditi persi da imprese e famiglie lungo la catena produttiva. In altre parole, per stimolare la domanda è necessario sostenere l’offerta, utilizzandola come veicolo primario di immissione di liquidità e di pagamenti compensativi nel sistema produttivo e, quindi, come veicolo primario di distribuzione di redditi. Si tratta di una situazione senza veri precedenti, perché, anche nel caso della spesa per investimenti pubblici, l’impulso antirecessivo è sempre stato anzitutto un incremento di domanda di beni capitali. In questo caso, invece, le filiere produttive debbono essere il canale principale di uno stimolo di mantenimento che ne impedisca il collasso e quindi mantenga la domanda e l’occupazione a livelli adeguati lungo tutta la catena del valore. Se una impresa che esporta deve bloccare la sua produzione e perde fatturato, ciò si ripercuote sulla sua capacità di alimentare la domanda dei suoi fornitori, pagare salari, distribuire profitti e far fronte al pagamento di interessi e obbligazioni. Per evitare il suo fallimento o un suo indebolimento finanziario e produttivo è necessario quindi mettere in campo una serie di misure in grado da un lato di fornirle liquidità e dall’altro di compensarle, almeno in parte, del fatturato perso in modo che possa continuare far fronte ai suoi impegni di pagamento e non perdere la sua capacità produttiva. Si tratta, in altri termini, di affrontare un problema di solvibilità e non solo di liquidità. Un sostegno generico ai redditi delle famiglie non otterrebbe lo stesso scopo per vari motivi, tra cui il probabile incremento di risparmio precauzionale, ma soprattutto perché esso non si tradurrebbe automaticamente in maggior domanda per le imprese colpite e quindi in un aiuto alla loro sopravvivenza. Le forme ventilate di aiuto diretto alle famiglie determinerebbero quindi un processo di ripresa molto lento perché guidato da una riallocazione di redditi e con un processo di selezione delle imprese e attività economiche differenziato per settori. Il rischio è che soffrirebbero maggiormente proprio le imprese più integrate nelle filiere produttive internazionali o rivolte alla domanda estera, che oggi sono esposte ai contraccolpi sia del blocco delle attività in Italia sia del blocco delle attività nei paesi partner commerciali e produttivi. Questi interventi, strettamente mirati a far fronte allo shock di offerta, non vanno peraltro confusi con la necessità di approntare programmi importanti di investimenti pubblici infrastrutturali e di rafforzamento del capitale umano e sociale, che sono necessari per aumentare il tasso di crescita futuro. Ad esempio, l’accelerazione della costruzione di un ponte, di una autostrada o di un’altra opera pubblica, anche se importante per la ripresa complessiva dell’economia, non rimette in piedi un’impresa esportatrice in difficoltà economica a causa del blocco causato dalla pandemia.

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Ripetere che dopo il contagio da coronavirus e il suo impatto sull’economia globale nulla sarà come prima è un esercizio inutile, anche se oggi ampiamente praticato. Il fatto che il futuro continui a sorprenderci mal si concilia infatti con affermazioni apodittiche e, d’altra parte, non è vero che, senza politiche preordinate corrette, i mercati, la società e i governi di per sé correggeranno nella giusta direzione i comportamenti in un processo di apprendimento condizionato da quanto oggi accade. I processi darwiniani sono infatti molto lunghi, difficilmente prevedibili e spesso molto dolorosi per chi ne subisce le conseguenze negative. Dopo la crisi del 2008, molte politiche sono cambiate e ora sappiamo che molti cambiamenti di policy sono stati sbagliati. Ma soprattutto il mondo è molto cambiato da allora e solo in piccola parte a causa della crisi del 2008. Molto di più è cambiato per il progresso tecnologico e per l’evoluzione dell’economia globalizzata e dell’ulteriore crescita demografica globale sulla quale è difficile dire quanto abbia influito la grande crisi finanziaria. Molto più utile, quindi, è valutare programmi alternativi da adottare oggi. Sappiamo che l’impatto economico del contagio dipenderà dalla sua estensione nello spazio e durata nel tempo, d’altra parte entrambe queste caratteristiche dipendono a loro volta dalla durata e dall’estensione del blocco delle attività economiche finalizzato ad attuare la strategia del “distanziamento sociale” e dalle misure di politica economica che possono essere messe in campo per mitigarne gli effetti recessivi sia nel breve che nel lungo termine. Ciò significa che la riduzione della durata e dell’estensione del contagio e la mitigazione degli effetti relativi hanno un costo economico che deve essere confrontato con il beneficio atteso, sia in termini di salute pubblica e vite umane sia in termini di più rapida ripresa economica dopo la fine dell’emergenza. L’efficacia delle misure di policy inoltre dipende criticamente dalla loro tempestività, perché mai come in questa occasione, ci troviamo di fronte a fenomeni per cui i ritardi o gli errori di timing nell’intervento pubblico possono non solo mancare di migliorare la situazione, ma causare danni permanenti e progressivi. Queste premesse implicano che l’azione di policy debba essere rivolta a due obiettivi contemporanei: minimizzare il danno del blocco delle attività economiche e minimizzare l’estensione e la durata del blocco necessario a frenare il contagio. I due obiettivi richiedono due strumenti distinti. Per quanto riguarda il primo obiettivo, si deve partire dal fatto che il blocco delle attività economiche conseguente al contrasto del contagio determina essenzialmente uno shock negativo di offerta che poi determina, come conseguenza dell’arresto della produzione di redditi, una caduta della domanda. L’effetto recessivo è amplificato dal fatto che lo shock di offerta interessa progressivamente gran parte dei paesi avanzati ed emergenti e quindi blocca parte del commercio mondiale e determina un crollo della domanda globale sia nell’immediato, sia, a causa della sua progressività, nelle aspettative economiche delle imprese e dei mercati. Per impedire una recessione prolungata e la distruzione di capacità produttiva, gli Stati non devono quindi solo sostenere la domanda aggregata con un generico stimolo fiscale, ma devono disegnare lo stimolo fiscale in modo da veicolare liquidità e pagamenti direttamente nelle filiere e compensare, di conseguenza, in modo selettivo i redditi persi da imprese e famiglie lungo la catena produttiva. In altre parole, per stimolare la domanda è necessario sostenere l’offerta, utilizzandola come veicolo primario di immissione di liquidità e di pagamenti compensativi nel sistema produttivo e, quindi, come veicolo primario di distribuzione di redditi. Si tratta di una situazione senza veri precedenti, perché, anche nel caso della spesa per investimenti pubblici, l’impulso antirecessivo è sempre stato anzitutto un incremento di domanda di beni capitali. In questo caso, invece, le filiere produttive debbono essere il canale principale di uno stimolo di mantenimento che ne impedisca il collasso e quindi mantenga la domanda e l’occupazione a livelli adeguati lungo tutta la catena del valore. Se una impresa che esporta deve bloccare la sua produzione e perde fatturato, ciò si ripercuote sulla sua capacità di alimentare la domanda dei suoi fornitori, pagare salari, distribuire profitti e far fronte al pagamento di interessi e obbligazioni. Per evitare il suo fallimento o un suo indebolimento finanziario e produttivo è necessario quindi mettere in campo una serie di misure in grado da un lato di fornirle liquidità e dall’altro di compensarle, almeno in parte, del fatturato perso in modo che possa continuare far fronte ai suoi impegni di pagamento e non perdere la sua capacità produttiva. Si tratta, in altri termini, di affrontare un problema di solvibilità e non solo di liquidità. Un sostegno generico ai redditi delle famiglie non otterrebbe lo stesso scopo per vari motivi, tra cui il probabile incremento di risparmio precauzionale, ma soprattutto perché esso non si tradurrebbe automaticamente in maggior domanda per le imprese colpite e quindi in un aiuto alla loro sopravvivenza. Le forme ventilate di aiuto diretto alle famiglie determinerebbero quindi un processo di ripresa molto lento perché guidato da una riallocazione di redditi e con un processo di selezione delle imprese e attività economiche differenziato per settori. Il rischio è che soffrirebbero maggiormente proprio le imprese più integrate nelle filiere produttive internazionali o rivolte alla domanda estera, che oggi sono esposte ai contraccolpi sia del blocco delle attività in Italia sia del blocco delle attività nei paesi partner commerciali e produttivi. Questi interventi, strettamente mirati a far fronte allo shock di offerta, non vanno peraltro confusi con la necessità di approntare programmi importanti di investimenti pubblici infrastrutturali e di rafforzamento del capitale umano e sociale, che sono necessari per aumentare il tasso di crescita futuro. Ad esempio, l’accelerazione della costruzione di un ponte, di una autostrada o di un’altra opera pubblica, anche se importante per la ripresa complessiva dell’economia, non rimette in piedi un’impresa esportatrice in difficoltà economica a causa del blocco causato dalla pandemia.

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Occorre mettere in campo una serie di misure per le imprese, in grado di fornirle liquidità e in grado di compensarle del fatturato perso

Per lo stesso motivo, neppure un intervento di helicopter money diretto al sostentamento generalizzato delle famiglie potrebbe sostituire un intervento diretto dello Stato per consentire la sopravvivenza delle imprese e di tutte le attività produttive. Un fatto importante sarebbe in tal senso un coordinamento internazionale, perché lo shock di offerta non è affrontabile solo a livello nazionale, proprio per le forti interdipendenze delle moderne economie. Benché le conseguenze possano essere diverse per le diverse economie, la pandemia attuale genera infatti uno shock di offerta simmetrico che colpisce e minaccia di colpire in modo simile, anche se con conseguenze diverse, l’intero sistema di produzione globale, con effetti imprevedibili sulle catene del valore, l’organizzazione produttiva, la logistica e i commerci. Misure di sostegno produttivo alle imprese, coordinate a livello internazionale, consentirebbero di evitare le conseguenze nefaste di una caduta globale del commercio internazionale, aumentando la fiducia degli operatori e dei mercati e quindi anche le capacità del sistema di risollevarsi al di là dell’aiuto pubblico necessario nel breve termine. La tempestività delle misure di sostegno a questo riguardo è anche essenziale. Quanto prima si interviene infatti, tanto minori saranno i danni che è necessario riparare e tanto più rapidamente le imprese potranno far fronte alla emergenza e generare risorse proprie per risollevarsi e far ripartire il ciclo positivo di crescita. Al contrario, se le misure ritardassero, il passare del tempo renderebbe i danni sempre più persistenti e, in molti casi, irreversibili, con il fallimento di molte imprese nelle filiere produttive più critiche e, soprattutto, nella frontiera della tecnologia e dell’innovazione ove la fragilità degli operatori è maggiore. Il coordinamento internazionale consentirebbe anche di evitare politiche di beggar thy neighbor volte a favorire le proprie imprese a danno di quelle di altri paesi e d’altra parte non sembra augurabile affidare ad una pandemia, e alla cronologia casuale della sua diffusione nel mondo, un processo di selezione competitiva tra le imprese che operano sui mercati internazionali. Questa azione di contrasto alla recessione globale sarà tanto più efficace quanto più diffusa nel mondo e richiede che lo sforzo finanziario degli Stati sia della misura necessaria a caricarsi del debito addizionale che il settore privato non è in grado di sostenere per compensare le entrate perse a causa della pandemia. L’ordine di grandezza del maggior debito pubblico da mettere in conto a questo fine deve essere quindi commisurato all’entità della riduzione di Pil prevista, ma è necessario sottolineare ancora una volta che sia l’indebitamento, sia la caduta del PIL saranno più elevati quanto più si aspetterà prima di agire, e di agire in modo coordinato a livello europeo ed extraeuropeo.

 

 

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Poiché si tratta di aumentare i debiti complessivi a causa di un maggior deficit non strutturale, ma dovuto a una necessità una tantum, questa linea d’azione dovrebbe essere seguita da tutti gli Stati, anche da quelli con più alto debito come, tra i paesi europei, l’Italia. La politica monetaria, concertata a livello internazionale, dovrà essere accomodante dello sforzo fiscale degli Stati impedendo un innalzamento dei tassi di interesse. Su questo si dovrà contare sull’impegno del FMI e delle altre istituzioni multilaterali, il cui ruolo di coordinamento e di iniziativa in questa contingenza appare essenziale.

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Gli stimoli fiscali vanno utilizzati anche per orientare la riconversione di alcune attività divenute strategiche per la nostra salute

In Italia, l’intervento immediato di sostegno alle attività produttive dovrebbe commisurarsi alla riduzione di valore aggiunto subito da ciascuna impresa e attività economica (artigiani, lavoro autonomo, professionisti) rispetto al periodo corrispondente del 2019 così come certificato dai dati della fatturazione elettronica. Una volta stabiliti i requisiti ed il metodo di calcolo della compensazione, per evitare le lentezze burocratiche si può affidare al sistema bancario l’anticipazione immediata delle somme in base alla certificazione del divario di valore aggiunto dietro garanzia dello Stato e con un meccanismo successivo di verifica e conguaglio con le imprese attraverso il meccanismo dei crediti (o debiti) di imposta.

 

Riteniamo che non ci sia altra via d’uscita, l’alternativa è solo tra agire immediatamente e impedire la distruzione diffusa di capacità produttive e attività economiche e l’intervenire in ritardo dopo una prolungata recessione distruttiva e con un costo sociale ed economico, anche in termini di debito pubblico, molto più elevato.

 

Il secondo strumento immediato di intervento, diretto a minimizzare il blocco delle attività economiche e ad accelerare la loro progressiva riapertura, è quello di concentrare risorse pubbliche non solo nella cura dei malati, ma nel mettere in atto un sistema di mappatura universale dei contagiati e nella ricerca di test in grado di identificare la parte della popolazione che a seguito del contagio sviluppa progressivamente immunità. Ciò consentirebbe di utilizzare gli immuni per ridurre progressivamente il grado di chiusura delle attività, e quindi il suo costo economico, senza rischiare di allargare il contagio o di ritardarne la fine. Si tratterebbe, in questo modo, di utilizzare meglio, cioè ex post e in sicurezza, l’effetto denominato “immunità di gregge”.

 

Importante anche l’idea (vedi Roman Frydman and Edmund Phelps, in Sole24Ore 28 marzo) che gli stimoli fiscali oltre che essere diretti a imprese che mantengono l’occupazione, e quindi la capacità produttiva, possano essere utilizzati per orientare con stimoli specifici riconversione di attività in direzione del soddisfacimento di quell’offerta di beni, come medicinali e attrezzature sanitarie, ma anche infrastrutture di cura e ricerca avanzata che la pandemia ha mostrato di essere prodotti in modo insoddisfacente. Si tratta di produzioni che nel loro insieme determinano l’offerta di un bene pubblico globale come la salute delle popolazioni e costituiscono- lo stiamo scoprendo ora- una frontiera ineludibile dell’impegno degli Stati per la protezione dei cittadini e la sostenibilità delle economie.

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