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La pazza idea di un Iri europeo

Redazione

In una fase straordinaria servono strumenti non ordinari anche per le industrie

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Dopo la crisi sanitaria e la recessione economica bisognerà ricostruire e non si tratterà semplicemente di una ripresa dopo una parentesi. Tutti i paesi europei sottolineano l’esigenza di salvaguardare gli asset essenziali, i cosiddetti campioni nazionali, ma sarebbe utile che questo obiettivo fosse condiviso, per non diventare elemento di nuove tensioni interne all’Europa, e gestito da adeguate strutture. Per questo forse non è del tutto folle pensare a un Istituto per la ricostruzione dell’Europa, sul modello, naturalmente adeguato alla situazione attuale, dell’Iri. Si dirà che un sistema di partecipazioni pubbliche al capitale delle imprese contrasta con i princìpi del libero mercato, ma forse non è proprio così: se in questa fase sono le istituzioni pubbliche a dover fornire gli strumenti finanziari per salvaguardare le imprese, soprattutto nei settori più colpiti dalla crisi, dal turismo ai trasporti aerei all’energia, è ragionevole che la destinazione di questi apporti venga controllata da chi li fornisce. La geometria del sistema economico europeo è solo finanziaria, ma la sfida della ricostruzione è soprattutto industriale. Naturalmente ci si può limitare a sospendere le norme che inibiscono gli aiuti di stato e veder sorgere di fatto una dozzina di Iri nazionali. Però in questo caso la competizione sarà tra le aziende di singoli paesi e i colossi cinesi o americani. Una gestione europea, manageriale e non burocratica e soprattutto convergente degli aiuti avrebbe invece il vantaggio di rendere più sostenibile la competizione con le potenze extraeuropee e di limitare quella interna al continente. Sarebbe un’inversione del paradigma classico dell’Unione, ma ormai è evidente che un sistema che si basava sull’aspettativa di una crescita ininterrotta e lineare non è in grado di affrontare le fasi di crisi, che la storia ci dimostra che sono sempre possibili. E’ un problema nuovo e richiede strumenti e mentalità nuovi. In un’epoca straordinaria servono misure non ordinarie.

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Dopo la crisi sanitaria e la recessione economica bisognerà ricostruire e non si tratterà semplicemente di una ripresa dopo una parentesi. Tutti i paesi europei sottolineano l’esigenza di salvaguardare gli asset essenziali, i cosiddetti campioni nazionali, ma sarebbe utile che questo obiettivo fosse condiviso, per non diventare elemento di nuove tensioni interne all’Europa, e gestito da adeguate strutture. Per questo forse non è del tutto folle pensare a un Istituto per la ricostruzione dell’Europa, sul modello, naturalmente adeguato alla situazione attuale, dell’Iri. Si dirà che un sistema di partecipazioni pubbliche al capitale delle imprese contrasta con i princìpi del libero mercato, ma forse non è proprio così: se in questa fase sono le istituzioni pubbliche a dover fornire gli strumenti finanziari per salvaguardare le imprese, soprattutto nei settori più colpiti dalla crisi, dal turismo ai trasporti aerei all’energia, è ragionevole che la destinazione di questi apporti venga controllata da chi li fornisce. La geometria del sistema economico europeo è solo finanziaria, ma la sfida della ricostruzione è soprattutto industriale. Naturalmente ci si può limitare a sospendere le norme che inibiscono gli aiuti di stato e veder sorgere di fatto una dozzina di Iri nazionali. Però in questo caso la competizione sarà tra le aziende di singoli paesi e i colossi cinesi o americani. Una gestione europea, manageriale e non burocratica e soprattutto convergente degli aiuti avrebbe invece il vantaggio di rendere più sostenibile la competizione con le potenze extraeuropee e di limitare quella interna al continente. Sarebbe un’inversione del paradigma classico dell’Unione, ma ormai è evidente che un sistema che si basava sull’aspettativa di una crescita ininterrotta e lineare non è in grado di affrontare le fasi di crisi, che la storia ci dimostra che sono sempre possibili. E’ un problema nuovo e richiede strumenti e mentalità nuovi. In un’epoca straordinaria servono misure non ordinarie.

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