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Assonime ha una buona idea per una riforma fiscale non populista

Renzo Rosati

In Italia c'è “un sistema fiscale poroso, distorsivo e instabile, che ha perso competitività ed efficienza”. Linee guida per cambiarlo

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Roma. Se la cura per rimettere in sesto l’economia è un doppio intervento per sbloccare i cantieri e riformare da capo a piedi il sistema fiscale, sul primo punto sono tutti d’accordo, sulle tasse ognuno vede l’interesse proprio. Ma da questo è nato un patchwork fiscale non più sostenibile e iniquo che premia più il patrimonio che i redditi, gli anziani e non i giovani, trascura merito e demografia, costa molto e rende poco. Una proposta globale di riforma è elaborata da Assonime, l’associazione tra le società italiane per azioni: che a differenza di altri organismi ha meno orti da difendere, per esempio sull’Iva. Si tratta di linee-guida da tradurre in norme dettagliate.

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Roma. Se la cura per rimettere in sesto l’economia è un doppio intervento per sbloccare i cantieri e riformare da capo a piedi il sistema fiscale, sul primo punto sono tutti d’accordo, sulle tasse ognuno vede l’interesse proprio. Ma da questo è nato un patchwork fiscale non più sostenibile e iniquo che premia più il patrimonio che i redditi, gli anziani e non i giovani, trascura merito e demografia, costa molto e rende poco. Una proposta globale di riforma è elaborata da Assonime, l’associazione tra le società italiane per azioni: che a differenza di altri organismi ha meno orti da difendere, per esempio sull’Iva. Si tratta di linee-guida da tradurre in norme dettagliate.

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La premessa è che “negli ultimi anni il sistema fiscale italiano ha subìto una significativa erosione delle basi imponibili dei diversi tributi. Anno per anno sono state aumentate le tax expenditures, riducendo il gettito delle imposte sul reddito personale e sul reddito societario; è stata abolita l’Imu sulla prima casa e sono stati esclusi dall’imponibile Irap i costi del lavoro. Nella tassazione del reddito d’impresa sono aumentati i trattamenti differenziati per settori di attività. L’aumento dei trattamenti differenziati ha riguardato anche l’Irpef: le componenti del reddito di lavoro dipendente previste dalla contrattazione di secondo livello e legate a incrementi della produttività sono assoggettati all’aliquota agevolata del 10 per cento; ai lavoratori autonomi entro una certa soglia di ricavi è stata assicurata l’aliquota al 15. Il risultato complessivo è un sistema fiscale poroso, distorsivo e instabile, che ha perso competitività ed efficienza”. Intanto cosa fare per l’Iva? Assonime propone “una razionalizzazione portando al 5 per cento l’attuale aliquota super ridotta del 4 consentita in deroga alla disciplina europea. Le aliquote sarebbero solo tre: il 5, il 10 e il 22. Sarebbe opportuno rivedere beni e servizi che beneficiano dell’aliquota ridotta, aggiornando norme risalenti agli anni 80, per assoggettare alla stessa aliquota beni e servizi simili e limitare l’agevolazione ai soli meritevoli, ad esempio perché inerenti alla salute e all’ambiente. Appaiono discutibili aliquote Iva più basse per favorire i consumi dei meno abbienti e incentivare determinati settori. L’aliquota Iva ridotta per i beni di prima necessità non favorisce solo le fasce più basse di contribuenti; quanto al sostegno a settori, va accordato con riferimento a interessi di natura pubblica e non di categoria. Nel complesso si potrebbe prevedere un obiettivo di aumento del gettito Iva nell’ordine dei 10 miliardi. Le risorse potrebbero essere destinate alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi sulle imprese” mentre “i meno abbienti potrebbero essere compensati attraverso interventi diretti di sostegno”.

 

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Quanto all’Irpef “ha perduto le caratteristiche di imposta progressiva sul reddito complessivo. Dalla base imponibile sono stati espunti, dal 1973, i redditi di capitale; poi i canoni di locazione assoggettati alla cedolare secca, i premi di risultato dei lavoratori dipendenti tassati al 10 per cento; i redditi degli autonomi sotto una certa soglia tassati al 15 per cento. L’Irpef presenta ormai elementi di iniquità dovuti a molteplici trattamenti differenziati ed è ampiamente evasa. I contribuenti che dichiarano un reddito superiore a 55 mila euro sono meno del 4,5 per cento; circa il 45 per cento dichiara meno di 15 mila. Il riordino passa per una revisione delle tax expenditures che ammontano a circa il 4 per cento del Pil (di più, secondo il Fondo monetario internazionale): vi si ritrovano incentivi obsoleti e di scarsa efficacia che disperdono risorse e producono effetti distorsivi sulla produzione. Nell’Irpef le aliquote nominali ed effettive variano in modo discontinuo intorno ai 30 mila euro: l’aliquota nominale aumenta di 11 punti percentuali, dal 27 al 38 per cento, tra il secondo e terzo scaglione. La marginale rimane troppo elevata su redditi medio-bassi, già attorno al 40 per cento oltre 28 mila euro”. Quanto alle imposte sulle imprese (Ires) la ricetta è netta: “Limitare deduzioni e crediti di imposta a obiettivi chiari e predeterminati, essenzialmente ricerca e sviluppo, innovazione, efficienza ambientale. E introdurre un plafond unico di spese deducibili, determinato in percentuale del reddito, in relazione al quale ciascuna impresa potrebbe scegliere le spese da dedurre tra quelle previste. Altrimenti proprio le imprese che fanno ricerca, anziché essere incentivate, rischiano di essere penalizzate più delle altre”. Probabilmente la proposta più scomoda sta alla fine: “L’obiettivo della neutralità richiede che tutti i frutti del capitale – attività finanziarie, immobili, dividendi – siano tassati con la stessa aliquota, idealmente intorno al 20 per cento. Il mantenimento del regime di favore attualmente accordato ai titoli di Stato (tassati ad aliquota del 12,5) aggrava la distorsione a danno dell’investimento in attività produttive; un allineamento della tassazione al 20 per cento non avrebbe significative ripercussioni sui prezzi, visto l’attuale basso livello dei rendimenti”. Aleggia tra l’altro la reintroduzione dell’imposte sulla prima abitazione. L’Italia è tra i pochissimi paesi che ne è esente. Ridurre e semplificare le tasse sui redditi compenserebbe questo sacrificio?

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