PUBBLICITÁ

Intesa-Ubi, il problema dei “pattisti” non è il virus ma Bpm che si defila

Mariarosaria Marchesano

Fin dalle prime ore in cui è stata annunciata l’offerta pubblica di scambio, l’arrocco dei soci storici ha scatenato le fantasie del mercato su un possibile rilancio del prezzo da parte di Intesa Sanpaolo

PUBBLICITÁ

Milano. Certe parole non vengono pronunciate a caso. Se l’amministratore delegato di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, nel giorno in cui ha presentato il nuovo piano industriale, dice che spera di partecipare “a un consolidamento che venga da molte banche di media dimensione che si uniscono piuttosto che da un’operazione ostile”, significa che sta escludendo ogni possibilità di allearsi con il fronte dei soci storici di Ubi Banca, bergamaschi o bresciani che siano, per contrastare l’offerta pubblica di scambio di Intesa Sanpaolo. Magari, Castagna a suo tempo ci ha pensato, eccome, a un matrimonio con la banca di Victor Massiah, e magari tra i due c’è stato anche uno scambio di vedute, ma poi non se n’è fatto più nulla e, sembra voler dire il numero uno di Bpm, non è il caso di riparlarne ora, nel momento forse più delicato dell’affare Intesa-Ubi. Il fronte del “no” all’offerta di Intesa Sanpaolo potrebbe, infatti, consolidarsi se anche il terzo patto di sindacato, quello bresciano in cui è presente la famiglia del presidente emerito di Intesa, Giovanni Bazoli, si esprimesse a sfavore come hanno già fatto gli altri due, il Car e il patto dei Mille. In questo caso salirebbe sotto il 30 per cento la percentuale di azionisti di Ubi Banca contrari alle nozze con il gruppo Intesa rendendo più concreta la possibilità di mettere il bastone tra le ruote all’operazione.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Milano. Certe parole non vengono pronunciate a caso. Se l’amministratore delegato di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, nel giorno in cui ha presentato il nuovo piano industriale, dice che spera di partecipare “a un consolidamento che venga da molte banche di media dimensione che si uniscono piuttosto che da un’operazione ostile”, significa che sta escludendo ogni possibilità di allearsi con il fronte dei soci storici di Ubi Banca, bergamaschi o bresciani che siano, per contrastare l’offerta pubblica di scambio di Intesa Sanpaolo. Magari, Castagna a suo tempo ci ha pensato, eccome, a un matrimonio con la banca di Victor Massiah, e magari tra i due c’è stato anche uno scambio di vedute, ma poi non se n’è fatto più nulla e, sembra voler dire il numero uno di Bpm, non è il caso di riparlarne ora, nel momento forse più delicato dell’affare Intesa-Ubi. Il fronte del “no” all’offerta di Intesa Sanpaolo potrebbe, infatti, consolidarsi se anche il terzo patto di sindacato, quello bresciano in cui è presente la famiglia del presidente emerito di Intesa, Giovanni Bazoli, si esprimesse a sfavore come hanno già fatto gli altri due, il Car e il patto dei Mille. In questo caso salirebbe sotto il 30 per cento la percentuale di azionisti di Ubi Banca contrari alle nozze con il gruppo Intesa rendendo più concreta la possibilità di mettere il bastone tra le ruote all’operazione.

PUBBLICITÁ

 

 

PUBBLICITÁ

Fin dalle prime ore in cui è stata annunciata l’offerta pubblica di scambio, l’arrocco dei soci storici ha scatenato le fantasie del mercato su un possibile rilancio del prezzo da parte di Intesa Sanpaolo e anche se questa possibilità è stata scartata in modo categorico dal ceo Carlo Messina, è tornata a suggestionare gli ambienti finanziari complice proprio la tempesta di Borsa scatenata dal coronavirus. Il ragionamento che sta alla base di quest’ipotesi è il seguente: sia il prezzo del titoli di Intesa sia quello di Ubi hanno subito forti perdite, un po’ come tutto il settore bancario, che appare depresso dalle prospettive di deterioramento economico e del perdurare di tassi negativi che impattano sulla profittabilità. La conseguenza è che si è di fatto modificato il “rapporto di concambio” che sta alla base dell’offerta pubblica di scambio concepita da Intesa Sanpaolo. L’operazione, infatti, non prevede il pagamento di un prezzo in denaro ma uno scambio di carta: per ogni 10 azioni di Ubi, Intesa è disposta metterne sul piatto 17 delle proprie, con un premio del 27 per cento rispetto all’ultimo valore di Borsa di Ubi antecedente all’annuncio del 17 febbraio. Ebbene, questa valutazione che non convinceva i soci storici della banca di Massiah già prima della bufera del coronavirus, potrebbe risultare ancora meno allettante oggi che entrambe le banche hanno perso terreno in Borsa (ma in proporzione Ubi di più). Di qui nasce l’idea che pur di espugnare il fronte dei “pattisti”, Intesa potrebbe aumentare il prezzo andando incontro così alla richiesta di una maggiore valorizzazione del patrimonio netto della banca di Massiah.

 

 

Più di un analista consultato dal Foglio, però, ritiene molto improbabile che ciò possa accadere e questo per due motivi. Il primo è che, nonostante l’arrocco dei soci storici, il cui fronte bresciano, peraltro, non sembra così compatto, l’offerta di Intesa continua ad avere ottime possibilità di andare in porto così come è stata concepita perché gode del favore del mercato. Proprio ieri un’analisi del Santander ha detto che con i recenti cali di Borsa si è creata l’opportunità di comprare uno dei titoli (Intesa Sanpaolo) con il ritorno sul capitale più attrattivo d’Europa e l’operazione recentemente annunciata (quella con Ubi) potrebbe portare a sinergie più alte del previsto. Se questo è il sentiment, aumentano le probabilità che Intesa raggiunga la percentuale di capitale necessaria per controllare l’assemblea dei soci che dovrà varare la fusione con Ubi.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Il secondo motivo riguarda la scarsità di alternative per i soci storici. Le affermazioni di ieri di Castagna sembrano escludere del tutto la possibilità di un coinvolgimento di Bpm – soprattutto considerando che l’unico modo per contrastare la mossa di Intesa sarebbe una costosa contro-offerta per la banca milanese – e ancor meno appare praticabile un accordo con una banca pubblica come Mps, vincolata dagli impegni assunti con la Commissione europea al tempo della nazionalizzazione (2016) tra i quali, cosa che non sempre viene fatta rilevare, c’è il divieto di fare acquisizioni.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ