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Sulla crescita restiamo ultimi in Europa. La (brutta) fotografia dell'Italia scattata dal Fmi

Luca Roberto

Il Fondo monetario internazionale riconosce gli sforzi del governo che hanno migliorato la fiducia dei mercati nei confronti del nostro paese. Ma non basta. Quindi smonta quota 100 e reddito di cittadinanza 

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Nonostante il rinnovato clima di fiducia intorno al paese legato ai progressi sul fronte delle entrate fiscali e nella gestione prudenziale dei conti pubblici, l'Italia è il paese che cresce meno in Europa da qui ai prossimi cinque anni. Lo dice il rapporto consuntivo annuale curato dal Fondo Monetario Internazionale sul nostro paese, secondo cui il pil italiano nel 2020 farà segnare una crescita dello 0,5 per cento, e un incremento di pochi decimali aggiuntivi per gli anni seguenti. Una performance non proprio esaltante, se si considera che – come scrive il Fmi –, “la materializzazione di choc contrari potrebbe portare a uno scenario molto più debole”.

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Nonostante il rinnovato clima di fiducia intorno al paese legato ai progressi sul fronte delle entrate fiscali e nella gestione prudenziale dei conti pubblici, l'Italia è il paese che cresce meno in Europa da qui ai prossimi cinque anni. Lo dice il rapporto consuntivo annuale curato dal Fondo Monetario Internazionale sul nostro paese, secondo cui il pil italiano nel 2020 farà segnare una crescita dello 0,5 per cento, e un incremento di pochi decimali aggiuntivi per gli anni seguenti. Una performance non proprio esaltante, se si considera che – come scrive il Fmi –, “la materializzazione di choc contrari potrebbe portare a uno scenario molto più debole”.

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Il settore che funziona meglio, stando al rapporto, è sicuramente quello bancario, in cui si è assistito a “un considerevole miglioramento della capitalizzazione e della qualità degli attivi”, comprovato dal dimezzamento, in un arco temporale di tre anni, del volume dei non perfoming loans. Anche se, mette in guardia il Fondo, la redditività delle banche, soprattutto di quelle di piccola e media taglia, rimane troppo bassa rispetto agli standard europei.

 

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Sul capitolo pensioni, il Fmi riconosce gli sforzi profusi dalle istituzioni italiane per riformare il sistema e assicurare una sostenibilità sul lungo termine del bilancio pubblico, anche se “è importante preservare l'indicizzazione dell'età di pensionamento all'aspettativa di vita, assicurare l'equità attuariale per i pensionamenti anticipati e aggiustare i parametri pensionistici per assicurarne la convenienza”. Tradotto: il meccanismo introdotto da quota 100 dovrebbe essere smontato e ricalibrato per non impattare troppo sull'intero sistema previdenziale, andando a detrimento delle nuove generazioni. Uno strumento che per altro ha favorito l'innalzamento dell'indebitamento pubblico, cresciuto in confronto alle aspettative: se nella nota di aggiornamento al def del governo rossogiallo il rapporto deficit-pil si attestava al 2,2 per cento, secondo il Fmi nel 2020 crescerà al 2,4 per cento.

 

E se per quota 100 il problema sta nella sua insostenibilità e iniquità intergenerazionale, sull'inefficacia del reddito di cittadinanza, l'altra misura introdotta dal primo governo Conte, pesa il fatto di essere stato concepito con “benefici ben al di sopra rispetto ai parametri di riferimento internazionali”, oltre alla caratteristica di non essere pensato per favorire i nuclei più numerosi. Tutte storture che secondo il Fondo monetario dovrebbero essere prontamente corrette per “evitare disincentivi al lavoro e condizioni di dipendenza assistenzialistica”.

 

Il rapporto, tenendo fede a una tradizione “consultiva” nei confronti del governo, traccia un percorso affinché l'Italia sfrutti tutto il suo potenziale inespresso. A partire da una riduzione vera del cuneo fiscale, molto superiore a quella recentemente approvata, che possa essere compensata da “un significativo allargamento della base imponibile”, a partire dalla rimodulazione dell'Iva e dalle tasse sugli immobili, che favorisca le famiglie con reddito medio-basso. Se si intraprendessero, poi, una serie di riforme come la liberalizzazione dei mercati e la decentralizzazione della contrattazione salariale, l'Italia potrebbe crescere del 6-7 per cento nel prossimo decennio.

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