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E se fosse l’Italia il rischio globale più serio del 2020?

Claudio Cerasa

Dazi rinviati, guerre armate congelate, Brexit sotto controllo, economie in ripresa. Le minacce per l’economia globale diminuiscono e la mina vagante rischia di essere il nostro paese

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E se l’instabilità cronica fosse a suo modo una nuova forma di stabilità? Nella giornata di ieri e in quella di oggi alcuni tra i più importanti economisti del mondo appartenenti ai paesi del G20 si sono dati appuntamento in Olanda per provare a mettere insieme alcune idee relative al futuro dell’economia mondiale. L’appuntamento in questione è quello legato a una sessione di conferenze organizzate dal Bellagio Group e con grande sorpresa di alcuni tra i partecipanti alla due giorni olandese la notizia del 2020 è che nonostante i venti di guerra, i venti protezionistici, le battaglie commerciali, le minacce dei dazi e le incertezze della Brexit, i prossimi dodici mesi promettono di essere quelli in cui i più importanti paesi del pianeta si renderanno conto che la stagione delle grandi paure ormai è alle spalle. Il mondo sembra essere ogni giorno a un passo da una qualche crisi che potrebbe rimettere in discussione gli equilibri che governano il nostro benessere ma alla fine dei conti, nonostante tutto, le cose vanno in un modo diverso. Tra Iran e Stati Uniti continua a esserci tensione ma l’impressione che anche questa tensione sarà passeggera tende a essere prevalente al punto da non aver creato né una corsa al petrolio (ieri a New York le quotazioni hanno perso il 4,5 per cento, scendono sotto i 60 dollari al barile e bruciano tutti i guadagni accumulati durante le prime ore di tensione fra Stati Uniti e Iran) né una crisi di panico a Wall Street (ieri l’S&P 500 è arrivato a un nuovo record storico, il Dow Jones è salito ancora, il Nasdaq pure).

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E se l’instabilità cronica fosse a suo modo una nuova forma di stabilità? Nella giornata di ieri e in quella di oggi alcuni tra i più importanti economisti del mondo appartenenti ai paesi del G20 si sono dati appuntamento in Olanda per provare a mettere insieme alcune idee relative al futuro dell’economia mondiale. L’appuntamento in questione è quello legato a una sessione di conferenze organizzate dal Bellagio Group e con grande sorpresa di alcuni tra i partecipanti alla due giorni olandese la notizia del 2020 è che nonostante i venti di guerra, i venti protezionistici, le battaglie commerciali, le minacce dei dazi e le incertezze della Brexit, i prossimi dodici mesi promettono di essere quelli in cui i più importanti paesi del pianeta si renderanno conto che la stagione delle grandi paure ormai è alle spalle. Il mondo sembra essere ogni giorno a un passo da una qualche crisi che potrebbe rimettere in discussione gli equilibri che governano il nostro benessere ma alla fine dei conti, nonostante tutto, le cose vanno in un modo diverso. Tra Iran e Stati Uniti continua a esserci tensione ma l’impressione che anche questa tensione sarà passeggera tende a essere prevalente al punto da non aver creato né una corsa al petrolio (ieri a New York le quotazioni hanno perso il 4,5 per cento, scendono sotto i 60 dollari al barile e bruciano tutti i guadagni accumulati durante le prime ore di tensione fra Stati Uniti e Iran) né una crisi di panico a Wall Street (ieri l’S&P 500 è arrivato a un nuovo record storico, il Dow Jones è salito ancora, il Nasdaq pure).

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Lo stesso in fondo vale per il commercio globale. La promessa di Donald Trump di alzare barriere commerciali con la Cina a colpi di dazi ha creato un sentimento di insicurezza economica nel corso di tutto il 2019 ma nonostante ciò, come documentato da uno studio pubblicato a metà dicembre dal Dhl Global Forwarding e dalla Nyu Stern School of Business, i flussi internazionali di capitali e del commercio hanno subìto solo una leggera flessione e “il mondo risulta oggi più connesso che in quasi tutti gli altri momenti della storia, senza segni di un’ampia inversione di tendenza della globalizzazione”. L’instabilità cronica è diventata a suo modo una nuova forma di stabilità e l’appuntamento fissato per la prossima settimana alla Casa Bianca tra il presidente degli Stati Uniti e i massimi vertici mondiali della Cina (15 gennaio) per discutere di accordi commerciali potrebbe essere l’occasione per spazzare via le nubi di pessimismo sul 2020: le guerra militari per il momento sembrano essere rimandate e lo stesso sembra valere anche per le guerre commerciali.

 

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L’altro forte elemento di tensione che ha generato insicurezza nel corso del 2019 è stato ovviamente il complicato percorso relativo alla Brexit ma – per quanto possa essere paradossale – la vittoria alle elezioni di un brexiteer come Boris Johnson ha contribuito a creare un clima di stabilità che probabilmente non sarebbe stato creato da un remainer come Jeremy Corbyn: il Regno Unito uscirà dall’Unione europea come richiesto dagli elettori ma l’uscita potrebbe avvenire in un modo più ordinato rispetto alle previsioni più funeste (ieri persino il Guardian, giornale progressista, ha ospitato un commento non ostile di un columnist di peso come Martin Kettle per ricordare che “chiunque pensi di sapere chi è davvero Boris Johnson potrebbe essere sorpreso”). Il 2019 è stato anche l’anno della grande paura per l’affermazione del populismo in Europa (che nel frattempo, nonostante una crescita modesta ha continuato a macinare posti di lavoro su posti di lavoro, a novembre il tasso di disoccupazione è arrivato al 7,5 per cento, e non era così basso dal 2008) ma la sconfitta dei nazionalisti alle europee prima (a maggio) e lo splendido trasformismo antinazionalista messo in scena in Italia (agosto) hanno portato il populismo antisistema lontano dal governo (e l’esperienza di governo di Podemos, in Spagna, con i socialisti chissà che non inneschi anche lì un processo difficile ma non impossibile di normalizzazione dello sfascismo). 

 

La caratteristica principale della stagione delle grandi instabilità è quella di aver reso incompatibile con la realtà ogni osservatore intenzionato a prevedere quale possa essere l’andamento del mondo. Ma se si prova ad allargare leggermente lo sguardo sulle instabilità generali che potrebbero mettere le economie mondiali in una qualche condizione di difficoltà futura non si potrà fare a meno di riconoscere che l’unica instabilità capace di creare incertezza nel breve termine anche in campo economico arriva da un paese europeo che non ha ancora trovato il giusto antidoto per allontanare il più possibile i pieni poteri dalle mani dei politici antieuropeisti. Senza guerre commerciali, senza guerre militari, senza nazionalismi egemoni, senza Brexit traumatiche, l’Italia tornerà a essere al centro delle preoccupazioni globali. E anche per questa ragione verrebbe da dire alla nostra classe dirigente specializzata nel cercare alibi esterni per giustificare i nostri guai che mai come oggi il futuro dipende solo da noi.

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