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Da Siena a Bari, la banca d’investimento in sedicesimo del M5s

Maria C. Cipolla

Doveva essere Mps, ora l’investment bank statale di Di Maio sarà la Bpb. Non è nata, ma rischia già il downgrade

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Milano. Le parole sono importanti, diceva qualcuno. Ma a venti giorni dal decreto per il salvataggio in extremis, e dopo anni di traccheggiamento, della Banca Popolare di Bari (Bpb) nessuno ha ben capito cosa significhino quelle utilizzate a più riprese dal capo politico del M5s Luigi Di Maio sulla trasformazione dell’istituto pugliese in una banca di investimento per il Mezzogiorno e stampate sulla Gazzetta ufficiale. “Se si deve fare un intervento”, aveva dichiarato Di Maio il 15 dicembre, “quella banca va nazionalizzata, torna agli italiani e cominciamo a fare una banca pubblica per gli investimenti per aiutare le imprese sul territorio. Noi ci prendiamo la banca e cominciamo a prestare i soldi alle imprese oneste sul territorio”.

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Milano. Le parole sono importanti, diceva qualcuno. Ma a venti giorni dal decreto per il salvataggio in extremis, e dopo anni di traccheggiamento, della Banca Popolare di Bari (Bpb) nessuno ha ben capito cosa significhino quelle utilizzate a più riprese dal capo politico del M5s Luigi Di Maio sulla trasformazione dell’istituto pugliese in una banca di investimento per il Mezzogiorno e stampate sulla Gazzetta ufficiale. “Se si deve fare un intervento”, aveva dichiarato Di Maio il 15 dicembre, “quella banca va nazionalizzata, torna agli italiani e cominciamo a fare una banca pubblica per gli investimenti per aiutare le imprese sul territorio. Noi ci prendiamo la banca e cominciamo a prestare i soldi alle imprese oneste sul territorio”.

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La banca ce la siamo presa, ma il decreto approvato dal Consiglio dei ministri si limita ad assegnare 900 milioni di euro “in favore di Banca del Mezzogiorno – Mediocredito Centrale s.p.a. affinché questa promuova, lo sviluppo di attività finanziarie e di investimento, anche a sostegno delle imprese nel Mezzogiorno, da realizzarsi mediante operazioni finanziarie, anche attraverso il ricorso all’acquisizione di partecipazioni al capitale di società bancarie e finanziarie, di norma società per azioni”. In compenso la norma si intitola proprio “Misure urgenti per il sostegno al sistema creditizio del Mezzogiorno e per la realizzazione di una banca di investimento”: una definizione che, ricordano i sindacati, nel testo unico bancario nemmeno esiste. Due settimane dopo anche il ministro del Sud e della Coesione sociale, Giuseppe Provenzano ha ribadito: ”Dobbiamo superare il tabù dell’intervento pubblico se questo significa (...) tutelare i risparmi della Popolare di Bari oltre a favorire la nascita di una banca pubblica per gli investimenti”. E che cosa voglia dire in concreto vorrebbero saperlo in primis le organizzazioni dei lavoratori che, se tutto va bene, dovranno affrontare un piano di ristrutturazione lacrime e sangue. Domanda il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni: “Vogliono fare una banca che serve le imprese pubbliche del Sud?, dovrebbero dirlo. O vogliono finanziare le pmi? Già ce ne sono tante. Visto che nel nostro ordinamento le banche di investimento non esistono, ogni banca può essere a diversi gradi una banca di investimento. Dovrebbero spiegarlo, ma non lo sa nessuno. E nel dettaglio tecnico dovrebbe spiegarlo Banca d’Italia che per ora non si è espressa”. Una Mediobanca del Sud non è possibile, chiosa Sileoni. E a pensare che il punto di partenza sia un istituto zombie come quello di Bari – già a fine 2017 il Texas ratio, cioè il rapporto tra crediti deteriorati e patrimonio netto, era al 146,6 per cento – è difficile anche solo pensarlo.


Secondo Fitch e S&P l’operazione mette a rischio la solidità di Mediocredito, mentre Moody’s sta valutando un downgrade della Banca del Mezzogiorno. Nel migliore dei casi, visto che ancora non si sa cosa si possa trovare scoperchiando i conti della banca degli Jacobini, sarà una via crucis 


Eppure nello spiegare la supposta differenza con altri salvataggi bancari, nel giorno del varo del decreto salva Bari Di Maio aveva sottolineato come“per Mps non si è avviato il processo di banca pubblica degli investimenti”. Il riferimento del ministro degli Esteri è al contratto tra Lega e Cinque stelle su cui era stato costruito il governo Conte I. Alla voce banca senese l’accordo prevedeva che lo stato “provveda alla ridefinizione della mission e degli obiettivi dell’istituto di credito in un’ottica di servizio”. Quella breve riga, e quella formula “ottica di servizio”, aveva causato un’impennata dello spread e la ripetuta sospensione delle quotazioni di Mps in Borsa e infine una chiusura in profondo rosso a -8,86 per cento. Eppure, evidentemente senza rammentarsi dei risultati, con formule differenti e con dimensioni ridotte, passando dalla fu terza banca italiana alla prima del Meridione, i progetti una volta cuciti addosso a Monte Paschi di Siena dai gialloverdi sembrano essersi, sotto il nuovo esecutivo, reinsediati a Bari.

 

Per ora quello che è certo è che sulla banca dissestata – quasi 2 miliardi di crediti deteriorati e centinaia di milioni di euro di perdite sul bilancio del 2019, almeno 200 secondo le indiscrezioni dell’ottimista Sole 24 Ore – è intervenuto il Fondo tutela dei depositi, cioè le altre banche, con un’iniezione di liquidità di 310 milioni di euro che ha salvato di fatto depositi pari a un valore di 4,5 miliardi. E dovrebbe intervenire soprattutto il Mediocredito centrale per una ricapitalizzazione totale fino a 1,4 miliardi. Del resto Mediocredito centrale Banca del Mezzogiorno ha già come mission quella “di sostenere, principalmente nel Mezzogiorno, le Pmi mediante l’erogazione di finanziamenti e la gestione di fondi di garanzia pubblici”, come si legge nel bilancio dell’Agenzia del Mise. E finora lo ha fatto senza una rete diffusa sul territorio passando da Poste a Invitalia. Ma con un patrimonio netto di 265milioni di euro a fine 2018 si trova ora coinvolto in un’operazione che, secondo le tre principali agenzie di rating Fitch, Standard & Poor’s e Moody’s, ne potrebbe mettere a rischio la solidità finanziaria e quindi la solvibilità. Se le prime due hanno lanciato l’allarme già il 21 dicembre sugli effetti dell’integrazione tra la società di Invitalia e la Popolare di Bari, il giudizio di Moody’s vergato l’ultimo giorno dell’anno è particolarmente affilato perché basato sulle nude cifre: “Secondo le relazioni finanziarie pubbliche, Bpb aveva 1,2 miliardi di prestiti in sofferenza a giugno 2019, quasi la metà delle attività totali della Banca del Mezzogiorno e quattro volte il suo patrimonio netto tangibile”, ricorda per esempio l’agenzia nella nota con cui annuncia di aver messo la banca sotto valutazione per un possibile declassamento. E ovviamente non è un caso che nel suo dare il via libera al salvataggio di Bari l’istituto abbia condizionato il suo intervento a tutta una serie di paletti, in particolare sulla definizione di un piano industriale che porti alla redditività. Ma nel migliore dei casi, visto che ancora non si sa cosa si possa trovare scoperchiando i conti della banca degli Jacobini e prendendo ad esempio il confronto con Mps, cioè la prima protagonista scritturata per il ruolo di banca di investimento, potrebbe esserci una lunga via crucis. Siena dopo il salvataggio perse un miliardo solo nei primi quattro mesi.

 

Così mentre la piccola banca di sviluppo che c’è rischia il downgrade, viene da confidare che le parole non siano proprio importanti, ma servano semplicemente a non chiamare con il suo nome il Salva banche 2.

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