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La strada di Mps verso la privatizzazione è ancora piena di sofferenze

Mariarosaria Marchesano

La cessione appena avvenuta di 1,8 miliardi di crediti deteriorati alla Illimity Bank di Corrado Passera non è certo sufficiente a creare le condizioni per re-privatizzare la banca senese diventata pubblica nel 2016

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Milano. Tra il 2015 e il 2016 l’ipotesi di costituire una bad bank pubblica per far confluire i crediti deteriorati delle banche italiane fu fortemente osteggiata dalla Commissione europea, tant’è che il governo Renzi dovette trovare una strada alternativa con il fondo Atlante. Da allora, il sistema bancario italiano ha fatto passi in avanti nel rafforzamento patrimoniale riuscendo comunque a ripulire i bilanci dai crediti deteriorati e il Mef ha acquisito e trasformato la Sga – la ex bad bank del Banco di Napoli – in una società che oggi si chiama Amco e opera a condizioni di mercato nel settore dei non perfoming loan (npl) con a capo una manager bancaria di lungo corso (ex Unicredit) come Marina Natale.

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Milano. Tra il 2015 e il 2016 l’ipotesi di costituire una bad bank pubblica per far confluire i crediti deteriorati delle banche italiane fu fortemente osteggiata dalla Commissione europea, tant’è che il governo Renzi dovette trovare una strada alternativa con il fondo Atlante. Da allora, il sistema bancario italiano ha fatto passi in avanti nel rafforzamento patrimoniale riuscendo comunque a ripulire i bilanci dai crediti deteriorati e il Mef ha acquisito e trasformato la Sga – la ex bad bank del Banco di Napoli – in una società che oggi si chiama Amco e opera a condizioni di mercato nel settore dei non perfoming loan (npl) con a capo una manager bancaria di lungo corso (ex Unicredit) come Marina Natale.

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Le resistenze dell’Europa sono state in gran parte superate e l’intervento di Amco è stato decisivo già in diversi salvataggi bancari – l’ultimo quello di Carige – attraverso l’acquisto di pacchetti di npl in competizioni aperte, però, anche a operatori privati. Questa premessa è utile per capire come mai nel caso del Monte dei Paschi di Siena la quadratura del cerchio sia così difficile da trovare. La cessione appena avvenuta di 1,8 miliardi di crediti deteriorati alla Illimity Bank di Corrado Passera non è certo sufficiente a creare le condizioni per re-privatizzare la banca senese diventata pubblica nel 2016. Mps si deve liberare di almeno altri 10-11 miliardi di sofferenze per tornare appetibile sul mercato entro il 2021. E, anche stavolta, è il prezzo il vero nodo della trattativa che il Mef – azionista con il 67 per cento del capitale – sta conducendo da alcuni mesi con la Commissione europea. Secondo il calcolo di alcuni analisti, nell’ipotesi in cui la cessione delle sofferenze alla società Amco avvenisse a un valore medio del 30-35 per cento rispetto al prezzo nominale dei crediti – nella banca senese si creerebbe un buco di bilancio pari a 1-1,5 miliardi, il che complicherebbe l’eventuale aggregazione con un altro soggetto bancario (chi si fa carico di questo costo?).

 

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D’altro canto, il Monte di stato deve tornare sul mercato entro l’anno prossimo e l’unica concessione fatta finora da Bruxelles è stata quella di consentire lo slittamento a inizio 2020 del piano in cui il Mef deve spiegare come intende dismettere la sua partecipazione. Ma prima occorre risolvere il rebus delle sofferenze. Archiviata l’ipotesi di uno spin off, resta il fatto che la Commissione europea non può accettare che la società pubblica paghi a Mps un prezzo più elevato rispetto a quello sborsato, ad esempio, per comprare le sofferenze di Carige (pari a circa il 35 per cento del valore nominale). Certo, molto dipende dalla qualità e dalla tipologia dei crediti (forti differenze di prezzo dipendono dalle garanzie sottostanti e dall’identità dei debitori, se sono cittadini privati o imprese), ma quello che interessa ai funzionari della Dg Competition è che in questa operazione non si crei un’alterazione della concorrenza con un aiuto di stato mascherato da un prezzo che sia troppo favorevole alla banca senese. E’ vero anche che, rispetto a quattro anni fa, lo scenario di fondo è cambiato. Le condizioni di salute delle banche italiane sono migliorate e la nuova Commissione Ue potrebbe guardare con maggior favore a operazioni di consolidamento nel settore, soprattutto dopo aver dato il via libera al salvataggio di alcune banche tedesche con soldi pubblici. Qualche motivo per essere ottimisti, insomma, c’è, anche considerando anche che Mps ha accelerato il percorso di de-risking e raggiunto gli obiettivi del piano di ristrutturazione. Piuttosto, l’effetto collaterale di questa operazione sarebbe l’esplosione del portafoglio crediti di Amco, che, conti alla mano, passerebbe dagli attuali 24 miliardi a 35 miliardi di euro di sofferenze. Seppure ancora lontano dai giganti del settore, la società del Mef diventerebbe, per dimensioni, uno dei primi operatori di npl in Europa. Difficile immaginare che possa anche continuare a lungo a svolgere un ruolo di cuscinetto nei salvataggi bancari mantenendo inalterate le condizioni della concorrenza.

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