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L’unico vero antidoto a Quota 100 si chiama Ape Volontario

Francesco Del Prato e Matteo Paradisi

È lo strumento migliore per la flessibilità pensionistica: sostenibile, strutturale, di mercato e non impatta sul bilancio

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Il 31 dicembre è ufficialmente scaduto Ape volontario, una misura varata in via sperimentale dal governo Renzi per permettere il prepensionamento, sotto certe condizioni, dei lavoratori italiani. In effetti, è legittimo non ricordarsene, visto che questa misura sembra completamente scomparsa dai radar del dibattito pubblico, in favore della sua “cugina sovranista” Quota 100. Ape volontario è entrato in vigore a maggio 2017, ed è stato monitorato dall’Inps per un solo anno: da quando il primo governo Conte si è insediato non se ne sa più nulla. Da allora non ci sono dati sul numero di domande, di accettazioni, sulla composizione della platea e sugli importi richiesti e versati. Nulla. Ed è strano descrivere una misura come “sperimentale” senza poi fornire i dati per capire come procede l’esperimento. Anche il tempismo è sospetto, visto che i dati si fermano proprio a maggio 2018 – un mese prima del giuramento del governo gialloverde. A oggi, una valutazione complessiva della misura resta impossibile.

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Il 31 dicembre è ufficialmente scaduto Ape volontario, una misura varata in via sperimentale dal governo Renzi per permettere il prepensionamento, sotto certe condizioni, dei lavoratori italiani. In effetti, è legittimo non ricordarsene, visto che questa misura sembra completamente scomparsa dai radar del dibattito pubblico, in favore della sua “cugina sovranista” Quota 100. Ape volontario è entrato in vigore a maggio 2017, ed è stato monitorato dall’Inps per un solo anno: da quando il primo governo Conte si è insediato non se ne sa più nulla. Da allora non ci sono dati sul numero di domande, di accettazioni, sulla composizione della platea e sugli importi richiesti e versati. Nulla. Ed è strano descrivere una misura come “sperimentale” senza poi fornire i dati per capire come procede l’esperimento. Anche il tempismo è sospetto, visto che i dati si fermano proprio a maggio 2018 – un mese prima del giuramento del governo gialloverde. A oggi, una valutazione complessiva della misura resta impossibile.

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A differenza di Quota 100, Ape volontario non costa allo stato neanche un euro, perché si basa su un prestito ai lavoratori erogato da intermediari finanziari e restituito direttamente dall’Inps, decurtando l’assegno pensionistico futuro. Il prestito copre il periodo di prepensionamento, e alle casse pubbliche non costa un centesimo in più rispetto alla pensione già maturata dal lavoratore. Anche al lavoratore stesso il finanziamento costa poco: anticipare il pensionamento di 2 anni comporta la rinuncia di circa il 2 per cento del montante maturato alla data della domanda. Per esempio, per anticipare di due anni una pensione mensile di 1.000€ euro netti, un lavoratore rinuncia a 22€ euro al mese per i successivi 20 anni, rispetto a quanto gli sarebbe spettato senza anticipo.

 

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Quota 100, al contrario, costa – e non poco – soprattutto nel breve periodo: non è un caso che sia stata pensata come una misura a termine (e non “sperimentale” come Ape volontario), con scadenza al 2021. È più attrattiva per il lavoratore, che non deve chiedere prestiti – per quanto poco costosi – ma richiede un enorme esborso pubblico nel breve periodo. E questo rende Quota 100 impossibile da rinnovare, in un contesto in cui in bilancio si fanno sforzi titanici, anche solo per rimandare clausole di salvaguardia pronte a esplodere da un momento all’altro.

 

A prescindere dallo strumento, la flessibilità in uscita dal mercato del lavoro conviene, e renderla strutturale è utile. Innanzitutto, per i lavoratori che ne beneficiano, che guadagnano la libertà di scegliere se anticipare di qualche anno la propria pensione. Poi, è utile per i lavoratori più giovani, che potranno sostituire chi si prepensiona, con effetti positivi sia sulle carriere individuali, sia sulla domanda di lavoro e, quindi, sull’occupazione. In certi casi, il prepensionamento serve anche alle casse dello stato, che grazie al taglio sull’assegno pensionistico riesce addirittura a risparmiare qualcosa in un orizzonte temporale sufficientemente lungo. 

 


Le istituzioni hanno smesso di monitorare e promuovere una misura che aveva molti pregi rispetto all’insostenibile Quota 100. I difetti sono la scarsa informazione e l’eccessiva burocrazia, ma c’è un soluzione: lasciare agli intermediari finanziari la promozione dell’Ape. Si potrà così ottenere flessibilità a costo zero per lo stato 


 

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Viste le condizioni delle nostre finanze pubbliche non è allora il caso di sottovalutare l’utilità di misure giuste e utili a costo zero, come Ape volontario. Proprio perché non costa, è più semplice rendere strutturale quest’ultimo che Quota 100. Oltretutto, il problema si riproporrà giocoforza a breve, alla scadenza di Quota 100 nel 2021, quando non esisterà più uno strumento che risponda alla domanda di flessibilità. Allora ci sarà di nuovo il rischio di ritrovarsi con un’altra misura di spesa che somiglia più a uno spot elettorale che a un intervento ben realizzato: rinnovare Ape volontario in modo strutturale ci metterebbe al riparo da questa possibilità. In effetti, bisogna chiedersi se vogliamo garantire una giusta flessibilità in uscita a tutti i futuri pensionandi, o darne moltissima a quelli di oggi – che agli occhi di un politico votano a breve. Chi difende Quota 100 dice di voler difendere i lavoratori: perché solo alcuni, allora? Se c’è la possibilità di rendere strutturale e sostenibile uno strumento che risponde a una domanda di anticipo pensionistico, perché non farlo? Il sospetto è che mance e slogan facciano più rumore delle misure pensate per restare. E non è un caso, allora, che di Ape volontario si senta parlare ormai molto poco.

 

I dati disponibili dicono però che Ape volontario ha avuto poche domande nei primi mesi. Come si spiega, in un paese in cui la domanda di prepensionamento è alta – come testimonia l’attenzione spasmodica che la politica dedica al tema? In un lavoro edito dall’Istituto Bruno Leoni, oltre a spiegare come funziona Ape volontario e perché la flessibilità in uscita sia vantaggiosa, abbiamo ipotizzato che parte di questo problema dipenda da una scarsa informazione e da una burocrazia pesante e complicata nell’accesso alla misura. Per questo motivo, nel proporre di rendere finalmente strutturale un intervento utile e a costo zero, abbiamo suggerito di lasciare che gli intermediari finanziari promuovano direttamente lo strumento: così facendo si eliminano, almeno in parte, gli ostacoli all’accesso. Del resto, perché non sfruttare l’incentivo di chi eroga il prestito a cercare una clientela, offrendo un servizio profittevole? Gli intermediari hanno la rete, il know-how e l’interesse a farsi promotori attivi di uno strumento, in un regime di concorrenza. Ovviamente, è lecito aspettarsi che una parte del “costo di rete” sia scaricata sul lavoratore. In una simulazione estremamente conservativa, abbiamo mostrato che si tratta di cifre irrisorie – ad esempio non più di 6 euro al mese su una pensione netta di 1.000 euro.

 

È chiaro che la questione diventa allora politica: chi ha pregiudizi anti-mercato non lascerà mai che una delle principali opzioni al prepensionamento sia gestita da istituzioni finanziarie private e in concorrenza. Tuttavia, non riusciamo a trovare un singolo argomento contro l’ipotesi di rendere Ape volontario strutturale, e di lasciarne la promozione e la coordinazione a privati. Ne gioverebbero i lavoratori più stanchi, i loro colleghi più giovani, le casse statali, il profilo di responsabilità finanziaria dell’Italia in Europa, il dibattito pubblico e la politica, che darebbe un segnale di lungimiranza e visione.

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