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La prossima crisi italiana non è più questione di se ma di quando

Renzo Rosati

Venerdì Standard&Poor’s potrebbe declassare il giudizio sul nostro debito. Intanto Salvini e Di Maio parlano di 25 aprile e si fanno i selfie

Roma. Secondo Bloomberg, la maggiore fonte di informazione e anticipazione di umori degli investitori mondiali, “tutti sappiamo che la prossima crisi finanziaria dell’Italia è in arrivo, è solo una questione di quando”. Dunque non più solo di quel “se” che il governo gialloverde aveva prima aizzato (quando, ipotizzando di non onorare i debiti verso la Banca centrale europea, produsse il raddoppio dello spread) e poi si è illuso di esorcizzare: come se il differenziale tra Btp e Bund andasse bene così come è, anzi meglio se i titoli italiani rendono di più.

  

 

Ieri lo spread ha marcato un rialzo del 3,95 per cento a 270 punti, due volte e mezzo quello della Spagna e oltre il doppio del Portogallo. La Grecia non è lontana: il rendimento dei suoi titolo pubblici è al 3,2 per cento, in discesa da quando a fine 2018 la Bce ha sospeso gli acquisti del Quantitative easing. Anche i titoli portoghesi e spagnoli rendono meno rispetto a gennaio, solo l’Italia è in controtendenza: i Btp pagavano il 2,5 per cento al 31 dicembre, oggi pagano il 2,7. Gli altri paesi europei già definiti Pigs, acronimo di Portogallo-Irlanda-Grecia-Spagna, ma anche “maiali”, sono considerati dai mercati non più infetti, nel caso della Grecia avviati alla guarigione. L’Italia non solo è entrata tra i Pigs ma si avvia a esserne unica esponente.

 

Non più questione di se, ma di quando. Il quando potrebbe arrivare venerdì 26, se Standard&Poor’s declasserà il giudizio sul nostro debito, oggi classificato BBB con previsione negativa, un gradino sopra quello spazzatura che lo renderebbe non acquistabile dai fondi istituzionali? Possibile, ma anche l’agenzia di rating potrebbe (come Fitch) aspettare l’esito delle elezioni europee e un diverso scenario politico. Peraltro S&P’s a ottobre, lasciando la tripla B ma peggiorando l’outlook, prevedeva allora una crescita italiana allo 0,7 per cento, oggi la immagina allo 0,1.

 

Di nuovo c’è solo che anche il governo dopo avere fatto galoppare fantasia, promesse e feste dal balcone, oggi si è allineato a quell’unico decimale. Ma non solo. Se in epoca di non esaltante normalità dei governi del Pd agenzie e mercati si limitavano a tener d’occhio il debito e lamentarsi della sua lentissima discesa, oggi gli investitori entrano nel merito delle misure simbolo dell’esecutivo gialloverde. Un report di Moody’s boccia quota 100 “che comporta un aggravio di 18 miliardi nel 2019-2021 sottraendo al pil l’1,2 per cento. Ancora più grave in un paese che ha la seconda maggiore spesa previdenziale d’Europa, il 15 per cento, dopo la Grecia (16). E ha la terza età media più alta del mondo, 46 anni, rispetto ai 41 della Francia”. Quota 100 è bocciata pure da S&P che giudica dannoso anche il reddito di cittadinanza, “che mette a rischio la sostenibilità dei conti e può disincentivare la ricerca del lavoro”. Ma non sono solo le parole delle agenzie di rating perché parlano anche gli investimenti e il lavoro. Gli ultimi dati di fusioni e acquisizioni (M&A) in Europa, appena pubblicati da Kpmg, soffrono di un ribasso quasi generalizzato, che però per l’Italia assume i contorni della patologia: l’indice italiano, in costante salita fino al 2018 quando toccò il massimo per numero e il secondo risultato in valore dal 2007, nei primi tre mesi 2019 risulta in calo del 58 per cento rispetto a un anno fa, il che ridimensiona le performance finanziarie della Borsa.

 

Specularmente la cassa integrazione rilevata dall’Inps segna nello stesso periodo un più 6,1 per cento, con situazioni parossistiche a Roma (7,7 milioni di ore e aumento del 115 per cento), Torino (6,9 milioni di ore), Taranto (5,6 milioni di ore e aumento record del 752 per cento), Genova (2,5 milioni e aumento del 390). Alla faccia del “boom delle assunzioni”. In questa situazione Matteo Salvini con il mitra e Luigi Di Maio in muta da sub si accapigliano sul 25 aprile e su un sedicente decreto crescita, da un decimale di pil.