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Altri guai per Alitalia

Renzo Rosati

Stop, please. Di Maio e la pressione pericolosissima a Fs per comprare la nostra compagnia di bandiera

Roma. Daniele Discepolo, commissario di Alitalia ultimo nominato da Luigi Di Maio, ha lanciato alle Fs quello che è stato presentato come un ultimatum: “O si danno da fare e ci presentano una richiesta di proroga dell’offerta supportata da documenti inoppugnabili oppure rinuncino. La gestione commissariale non può andare avanti all’infinito con decisioni da prendere, dal leasing degli aerei alle rotte”. Nello schema governativo le Ferrovie dovrebbero rilevare il 30 per cento, unica azienda pubblica rimasta a manifestare disponibilità; Poste, Fincantieri, Leonardo e Cdp si sono sfilate. Tra i privati si sta sondando Atlantia, proprio quella che Cinque stelle minacciavano di revoca delle concessioni dopo il crollo del ponte Morandi. Manca il partner industriale straniero: Delta interverrebbe solo per il 15 per cento a garanzia dell’attuale collaborazione commerciale che coinvolge anche Air France-Klm. EasyJet ha abbandonato il tavolo. Lufthansa sarebbe forse disposta a tornarvi con una flotta ridotta da 118 a 75 aerei e dipendenti da 11 mila a 8 mila. Ma anche per i vertici Fs, pur nominati dal governo gialloverde, è arduo impegnare in Alitalia l’intero utile di 553 milioni del 2018: che oltre a dare dividenti al Tesoro dovrebbe finanziare il rinnovo del servizio ferroviario a cominciare dal trasporto locale che i grillini sbandierano come priorità.

 

Dunque la stessa ri-nazionalizzazione si presenta più ardua del previsto, perfino se il ministero dell’Economia intervenisse in proprio: i denari pubblici verrebbero sacrificati a un progetto nel quale manca chi sa far volare gli aerei poiché nessun altro vettore mondiale vuole esserne parte. Come documenta Andrea Giuricin, economista dei sistemi di trasporto dell’università Milano Bicocca, nel 2018 Alitalia è all’ultimo posto tra le 12 maggiori compagnie aeree europee per margini economici: il rapporto utili/ricavi è negativo del 13,1 per cento, mentre le altre guadagnano (le maggiori a doppia cifra) e solo una, Eurowings, è in perdita del 5,5. Ciò significa che ogni 100 euro fatturati Alitalia ne perde più di 13: “Se si facesse un’analisi costi-benefici come per la Tav – dice Giuricin – risulterebbe che la nazionalizzazione comporterà miliardi di debiti e centinaia di milioni di perdite a danno dei contribuenti”. Appena a ottobre scorso Di Maio parlava di “tantissimi privati interessati ad Alitalia”, il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli annunciava “buone notizie entro fine mese e la riassunzione di tutti i dipendenti in cassa integrazione”.

 

Più che un ultimatum alle Fs quello dei commissari suona come grido di dolore per il governo: senza denari pubblici la compagnia andrà in liquidazione, al migliore offerente. Magari la stessa Lufthansa, alle sue condizioni. Che l’Alitalia non sia strategica per gli italiani lo dice l’evidenza di un traffico turistico e business nei nostri scali a livelli record, nonostante la crisi della compagnia. Che il governo sappia rinunciare a qualche migliaio di voti alla vigilia delle elezioni è tutt’altro discorso.