Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, in Parlamento (Foto LaPresse)

Un fake Tria sui conti

Luciano Capone

Il ministro dell’Economia gioca con i numeri della manovra. Ma le tasse aumentano, e le clausole Iva anche

Roma. La questione fiscale, a lungo centrale nella campagna elettorale e nelle promesse dei due partiti di governo che hanno promesso una riduzione delle tasse, è completamente assente dal confronto politico e dal dibattito pubblico. Ma, come dimostrano i sondaggi, è ancora un argomento molto sentito. Ne ha parlato recentemente Giovanni Tria in un’intervista rilasciata al Corriere della sera.

 

Ma il ministro dell’Economia, nello sforzo di nascondere gli effetti sui contribuenti della “manovra del popolo”, si è prodotto in una serie di affermazioni non vere e anche tra di esse contraddittorie. Quando gli viene fatto notare che nel 2019 aumenteranno le tasse e in particolare quelle sulle imprese (di circa 8 miliardi), il ministro invita “a fare un confronto fra la pressione fiscale a legislazione vigente e quella programmatica dopo la legge di bilancio. E quest’ultima è diminuita”. Tria spiega meglio il concetto: “La legislazione vigente fino all’anno scorso comportava l’innesco di una clausola di salvaguardia di aumento dell’Iva di 12,5 miliardi”, pertanto è vero che ci sarà un “piccolo aumento” della pressione fiscale ma sarà inferiore a quanto sarebbe stato secondo l’impostazione di bilancio voluta dal governo precedente e dal suo predecessore Pier Carlo Padoan: “Rispetto alla pressione fiscale senza manovra, che comprende l’aver trovato 12,5 miliardi per coprire quelle clausole disinnescate, abbiamo ridotto la pressione fiscale”. E poi aggiunge “nell’arco del triennio è diverso, le tasse diminuiscono”.

 

Le affermazioni sono quindi due: la pressione fiscale aumenta meno di quanto sarebbe successo senza la manovra (e in questo senso “diminuisce”); e le tasse diminuiscono nell’arco del triennio. Sono vere? Per rispondere basta seguire il suggerimento del ministro Tria e confrontare le previsioni con e senza manovra. Secondo il Documento programmatico di Bilancio scritto a novembre da Tria, con la vecchia legislazione – che includeva l’aumento di 12,5 miliardi dell’Iva, ma anche la riduzione di varie imposte sulle imprese – la pressione fiscale sarebbe aumentata dal 41,9 per cento del 2018 al 42,2 per cento del 2019. Dopo la cosiddetta “manovra del popolo”, la pressione fiscale sarà più alta o più bassa di questo 42,2 per cento? Sarà più alta. E lo dice proprio Tria nell’Aggiornamento del quadro macroeconomico pubblicato dal Mef dopo l’approvazione della legge di Bilancio: nel 2019 la pressione fiscale salirà al 42,3 per cento. Lo 0,4 per cento in più rispetto al 2018 e lo 0,1 per cento in più rispetto alla legislazione precedente: una stima analoga, che prevede solo per il prossimo anno un aumento dell’imposizione di 4 decimali, è stata fatta dall’Ufficio parlamentare di Bilancio. Quindi su questo punto Tria dice una cosa non vera.

 

Ma anche l’affermazione secondo cui “nell’arco del triennio le tasse diminuiscono” è falsa, anzi è più falsa dell’altra. Perché nella legge di Bilancio il governo ha approvato per il biennio 2020-21 un aumento dell’Iva pari a circa 52 miliardi. A parte che, sempre secondo l’Upb, al netto di questi aumenti la pressione fiscale salirebbe ancora al 42,8 per cento nel 2020 per poi scendere al 42,5 nel 2021 (un livello comunque superiore al 2019), non si possono in ogni caso escludere dal calcolo le cosiddette clausole di salvaguardia. Insomma, non vale che il governo dica: “Noi non aumenteremo l’Iva”. Primo, per un motivo banale di equilibrio di finanza pubblica: se le clausole sull’Iva, pari a 1,2 punti di pil il 2020 e 1,5 punti il 2021, non venissero attivate il deficit salirebbe oltre il 3 per cento (che significherebbe procedura d’infrazione certa, ovvero ciò che il governo ha cercato in ogni modo di evitare).

 

E il secondo motivo è di ordine di coerenza nel ragionamento di Tria. Perché se nella previsione della pressione fiscale per il 2019 il ministro dell’Economia considera l’attivazione delle clausole di salvaguardia del governo precedente, allora deve considerare pure le sue che solo per l’anno prossimo sono di 23 miliardi (circa il doppio dei 12,5 miliardi di quest’anno) e per il 2021 di oltre 28 miliardi. Pertanto, considerando l’aumento dell’Iva, che al momento è legge dello stato, nel triennio la pressione fiscale supererà il record del 43,8 per cento toccato sotto il governo Monti in tutt’altro contesto economico.

 

Insomma, il quadro è questo: il governo Gentiloni-Padoan aveva lasciato in eredità pressione fiscale al 41,9 per cento e 12,5 miliardi di clausole Iva per l’anno successivo, mentre dopo la manovra del governo Conte-Tria la pressione fiscale cresce fino al 42,3 per cento nel 2019 e le clausole salgono a 23 miliardi per l’anno seguente. Quindi sono gli stessi dati ufficiali pubblicati dal Mef a smentire il ministro Tria. Non è vero che la pressione fiscale diminuisce quest’anno e diminuirà nel triennio, ma è vero l’esatto contrario: la pressione fiscale aumenterà di circa mezzo punto nel 2019 e aumenterà molto di più nell’arco del triennio. Si possono avere idee diverse sulla politica economica del governo fatta di aumento delle tasse per incrementare la spesa assistenziale, ma bisogna avere rispetto dei dati. E il ministro dell’Economia dovrebbe difendere la prima senza manipolare i secondi.

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali