Il palazzo della Borsa a Milano. Foto Imagoeconomica

La lettera che svela i pericoli del rischio Italia

Claudio Cerasa

Che succede se si ferma Milano? La Borsa giù e gli investitori che sospendono i deal. Contro il presentismo del governo

Prima ancora della temperatura dello spread, dei valori dei Btp, dei rendimenti dei Bot, delle polemiche con Juncker, dei rimbrotti della Bce, degli avvertimenti del Fondo monetario, delle preoccupazioni dell’Inps, degli allarmi di Bankitalia, per capire cosa sta succedendo nell’Italia populista occorre allontanarsi per un attimo da Palazzo Chigi, prendere un Frecciarossa verso Milano, farsi due passi nella nostra capitale finanziaria e mettere insieme due storie che ci spiegano per quale motivo il primo grande cambiamento prodotto dal governo del cambiamento coincide con un sentimento pericoloso che per un paese come l’Italia rischia di essere letale: l’attentato al nostro futuro. Il primo dato è noto ed è quello della Borsa di Milano. Il 7 maggio, poche settimane prima della nascita del governo, l’indice Ftse-Mib era a 24.544 punti e la Borsa italiana aveva da poco festeggiato il suo primato in Europa in termini di capitalizzazione (più 23 per cento nel 2017 rispetto al 2016). Ieri l’indice Ftse-Mib ha chiuso invece a 19.255, perdendo il 19,2 per cento rispetto al suo valore di maggio, che in termini di capitalizzazione vuol dire circa 120 miliardi di euro (dati Ubs). E cosa vuol dire quando una Borsa perde di valore? E cosa vuol dire quando diverse società – è successo negli ultimi giorni con la bolognese Furla, con Sigaro Toscano e con Liu Jo – rinviano a data da destinarsi le proprie quotazioni? Significa che le persone disposte a investire sul futuro di aziende quotate in un certo paese diminuiscono ogni giorno di più.

   

La seconda notizia è legata invece a una storia poco nota relativa a una lettera di dodici righe che diversi fondi di investimento stanno inviando ad alcune aziende italiane, con le quali avevano firmato un accordo per concludere alcuni affari. Nei contratti relativi a grandi operazioni finanziarie, capita spesso che vi siano clausole che permettono di sospendere il deal per mutate condizioni politiche del paese all’interno del quale si dovrebbe svolgere l’operazione e la notizia di questi giorni non è la presenza nei contratti di quella clausola ma è la scelta di usarla, la clausola, per sospendere alcune operazioni. Il Foglio è venuto in possesso dello stralcio di una lettera inviata da un importante fondo di investimento a un’importante azienda italiana e quella lettera è la stessa che molte aziende stanno inviando ai potenziali soci italiani.

   

“Egregi Signori. Allo stato attuale, non abbiamo avuto dai nostri investitori l’autorizzazione a portare avanti la chiusura del nostro accordo. Molti investitori sono preoccupati per lo sviluppo politico italiano e la loro strategia di allocazione delle risorse risente di tutto questo. L’atteggiamento della comunità degli investitori è di osservare l’evolversi della situazione politica. Rispetto alle nostre intenzioni sul deal per noi non è cambiato nulla ma sfortunatamente per il momento non siamo autorizzati a portare avanti l’operazione e non possiamo darvi alcuna indicazione su quando potremmo provare a chiudere l’affare. Qualora doveste decidere di portare avanti la nostra operazione con un altro investitore, cosa che capiremmo, vi chiediamo solo gentilmente di informarci per tempo in modo da poter apportare gli aggiustamenti necessari al nostro accordo”. Nelle ultime settimane, a causa dell’incertezza generata dalla traiettoria scelta dal governo del cambiamento, molte operazioni immobiliari, e non solo, sono saltate o sono state rinviate nel tempo, come lascia intendere anche questa comunicazione. Secondo una delle più importanti società di mercato immobiliare del mondo, la Cushman & Wakefield, in Italia nel 2018 ci sarà un calo tra il 10 e il 30 per cento nel volume di operazioni rispetto al 2017, e il timore sull’Italia di “several investors” è lo stesso timore registrato a ogni asta in cui lo stato è costretto a mettere a bilancio milioni di euro in più per pagare gli interessi sui Btp (interessi in più messi a bilancio nell’asta dell’11 ottobre: 728,1 milioni di euro). Il punto è sempre lo stesso. Il rischio Italia. Il rischio di un paese che non si preoccupa dei suoi debiti. Il rischio di un paese che smonta le riforme che gli hanno permesso di tornare a essere affidabile. Il rischio di un paese dove ogni politica messa in campo è finalizzata a occuparsi solo del presente. Milano è una città in salute che come molte altre grandi città italiane ha spalle larghe per gestire anche situazioni difficili. Ma se l’incapacità del governo dovesse avere un impatto anche su Milano a pagarne non sarebbe solo una città, ma purtroppo sarebbe l’intera Italia. Occhio.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.