L’orchestra della grande truffa di Banca di Vicenza e Veneto Banca
Non basta sbattere il mostro in prima pagina. Il sistema bancario veneto è una matrioska orrenda: storie di “sghei”, omertà e ipocrisia.
Milano. Se fosse la sceneggiatura di un film si potrebbe intitolare “il silenzio è dolo”. Quella lunga catena di violazioni, connivenze, omertà sottotraccia, servilismo fantozziano e obbedienza ipocrita al grado gerarchico del capoufficio che, mescolati insieme, hanno prodotto il crac degli ex super campioni di territorio: le mitiche Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
Se non si parte dalla psicologia del microcosmo e dai vizi della provincia italiana, dove tutti si conoscono, bevono il caffè al bar e il primo comandamento è autoassolversi sempre e comunque, si capisce nulla di questa gigantesca distruzione di valore economico, capitale sociale, fiducia e reputazione.
In Italia siamo abituati a sbattere il mostro in prima pagina senza imparare la lezione. Mai un’autopsia sul cadavere, mai un funerale per capire; si digerisce tutto con cinismo e leggerezza. Che poi sono il pendant perfetto del moralismo giustizialista dilagante. Gianni Zonin (e per larghi tratti Vincenzo Consoli) è stato per anni Dio in terra veneta, potentissimo e riverito, ma da solo non avrebbe potuto compiere questo po’ po’ di sfacelo. “Il cadavere della vecchia Popolare Vicenza porta alla luce un devastante concorso di colpe e di silenzi che risulta difficile attribuire solo all’ispirazione, prima arrogante poi maldestra, del presidente/padrone e di due o tre stretti colonnelli”, spiega Fabio Bolognini, blogger brillante ed esperto di sistemi bancari.
“Alla distruzione della Vicenza hanno contribuito i comportamenti disinvolti del vertice ma anche la diffusa incapacità manageriale e i silenzi assordanti dentro e fuori la banca”, continua Bolognini.
A differenza di quanto è successo in Banca Marche, Carife o Banca Etruria dove un ristretto numero di operazioni avventate ha devastato il patrimonio, “a Vicenza se lo sono mangiati in anni di decisioni sbagliate, condivise da un numero rilevante di dipendenti e controllori”, in una via di mezzo tra volenterosi carnefici e banalità del male (questa volta, e fortunatamente, non di Hitler e del nazismo, bensì del credito).
Già, e adesso? Adesso il vero tema è che Veneto Banca sarà il copia incolla della Vicenza. Gli ultimi dati resi noti sono devastanti e il disastrato bilancio della stagione a guida Vincenzo Consoli, il Gianni Zonin di Montebelluna, è lì da vedere. L’attività commerciale della banca è ferma, sta perdendo depositi, le sofferenze esplodono, i crediti deteriorati sono più di due volte il patrimonio e c’è una leadership da barzelletta, come si è visto anche giovedì durante l’infuocata assemblea dei soci che ha ribaltato l’attuale vertice eleggendo un nuovo cda, chiamato a varare l’aumento di capitale da un miliardo di euro. “Scommettiamo che nessuno vorrà le sue azioni? Non riusciranno a collocarle ai soci bruciati dal recente passato né agli investitori istituzionali”, prosegue Bolognini. Dopo la Vicenza, probabilmente salterà anche questa quotazione. “Credo che a Roma lo diano già per scontato. D’altronde se andassero a fare un road show del titolo Veneto Banca, chi troverebbero interessato?”. Tanto più dopo le incredibili parole dell’attuale ad Cristiano Carrus: “Andiamo in Borsa perché disperati…”. Come dire, un’ottima operazione di marketing…
La morale che si può trarre da queste baruffe è duplice. La prima è che i veneti hanno fregato i veneti. Qui non ci sono napoletani o “foresti” in combutta per spremere l’operoso nord-est. Si sono rovinati con le loro mani perdendo le ultime due banche di stazza, dopo l’inabissamento dell’Antonveneta finita a Siena. La seconda, continua Bolognini, è che “la mission di Atlante, fare la holding delle banche rotte, arrivati a questo punto è sicuramente necessaria ma è figlia di un gravissimo ritardo delle autorità nazionali, di governo e di vigilanza, tipico italiano”. Siamo un paese abituato a far marcire le cose, che arriva sempre all’ultimo minuto confidando nello stellone. “Un aumentino di capitale qui, un rappezzo dei soci là, e tutto si aggiusta. Ogni tanto riesce il miracolo come con Expo, ma con la finanza è più difficile”, conclude Bolognini. Per questo andava fatta la bad bank 3-4 anni fa sul modello spagnolo, per evitare di aprire la scatola e continuare a trovare problemi, come un’orrenda matrioska…