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Non solo veto. La moratoria sul bail-in come arma negoziale

Marco Cecchini
Tre anni dopo, l’entrata in vigore della direttiva Brrd (Bank recovery and resolution directive) non ha portato fortuna ai corsi delle aziende di credito, anche se non è stata l’unico fattore dietro le turbolenze di Borsa.
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Roma. Era il 20 dicembre 2013. Tre anni dopo, l’entrata in vigore della direttiva Brrd (Bank recovery and resolution directive) non ha portato fortuna ai corsi delle aziende di credito, anche se non è stata l’unico fattore dietro le turbolenze di Borsa. La Banca centrale europea non condivide la richiesta di una revisione o di una sospensione della direttiva Brrd avanzata dalla Banca d’Italia e da alcuni circoli accademici italiani, nonché da alcune recenti “improvvisate” mozioni di parlamentari. E’ il paradosso della normativa sul bail-in: tutti ne riconoscono i limiti ma pochi sembrano disposti a sfidare a viso aperto i suoi agguerriti difensori. I grandi banchieri, non senza qualche rimpianto per il di più che si sarebbe potuto e dovuto fare a tempo debito, sul punto non si espongono.

 

Carlo Messina, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, secondo istituto italiano e uno dei più solidi europei, ribadisce che la richiesta di eventuali modifiche “è compito della politica: noi quando era il momento abbiamo manifestato la nostra contrarietà al bail-in in tutte le sedi, ora il contesto è questo e non ci poniamo il problema delle modifiche”. Dietro queste parole c’è forse il timore che esponendosi si possa prestare il fianco a qualche “maligna” lettura dei mercati. Ma c’è anche la consapevolezza della solidità del sistema italiano del credito, troppo spesso liquidato come fragile da analisti frettolosi.

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Le otto maggiori banche italiane quotate hanno a bilancio crediti deteriorati per 247 miliardi di euro lordi (114 coperti da accantonamenti), il valore delle garanzie reali che li assistono è di 213 miliardi. Ciò che fa dire a Messina che il rischio sofferenze sul mercato italiano è “pari a zero”.

 

Resta il fatto che l’accordo (“storico” disse il ministro dell’Economia dell’epoca, Fabrizio Saccomanni) raggiunto all’Ecofin a fine 2013 è nato incompleto e squilibrato. E’ stata una vittoria della Germania che non vuole condividere i rischi dell’Unione bancaria senza assicurazioni sulla solidità delle banche dei paesi del sud Europa. Berlino non sembra disposta a rimettere in discussione le regole esistenti. I fautori della sospensione non contestano il principio che a pagare per i salvataggi bancari non debbano più essere i contribuenti, ma sottolineano come senza alcuni correttivi, vedi la creazione del Fondo unico di tutela dei depositi, il meccanismo rischia di minare la fiducia del pubblico nel sistema. Pochi, a parte l’Abi che si è schierata a fianco del governatore Visco, sembrano disposti a seguire Banca d’Italia.

 

Addio revisione/sospensione dunque? Non è detto. Secondo alcune fonti contattate dal Foglio l’ipotesi potrebbe rientrare in campo nell’ambito della trattativa riservata in corso sul cosiddetto “lodo Weidmann”, ovvero sull’iniziativa della Bundesbank e del governo tedeschi per rivedere in senso restrittivo i criteri di valutazione contabile dei titoli sovrani, che oggi sono “risk free”: una batosta per le banche italiane.

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[**Video_box_2**]L’impressione è che i toni del confronto a muso duro tre Italia ed Europa fatti propri da Matteo Renzi, anche con la minaccia di apporre il veto alle proposte tedesche fatta al Senato, debbano lasciare il posto a un approccio pragmatico, basato sullo scambio di concessioni in funzione dei rispettivi interessi, riservando l’arma “letale” del veto come extrema ratio. Se la Germania ha interesse a rivedere il trattamento contabile dei titoli pubblici (o porre un tetto al loro possesso da parte delle banche) per spezzare il legame tra debito sovrano e istituti di credito, che è una potenziale fonte di contagio finanziario, l’interesse dell’Italia è a completare l’Unione bancaria costruendo la terza gamba rappresentata dal Fondo unico di tutela dei depositi la cui assenza causa incertezza e timore tra i risparmiatori. La richiesta di una sospensione o revisione della Brrd potrebbe essere usata al negoziato come merce di scambio. In tal modo la riduzione dei rischi di instabilità ottenuta ponendo un argine al volume di titoli pubblici nei portafogli bancari sarebbe compensata da una maggiore mutua condivisione dei medesimi grazie al Fondo unico di garanzia sui depositi. La discussione è aperta.

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