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Lo stallo della meritocrazia

L'Italia è ferma e molto indietro rispetto ad altri paesi europei in fatto di capacità di scegliere e fare emergere i migliori individui e così rinnovare la classe dirigente. Cosa dice (in grafici) rapporto 2016 del Forum della Meritocrazia e Università Cattolica.
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Roma. Quando Michael Young, sociologo inglese tendenza laburista e imprenditore, coniò il termine “meritocrazia” negli anni 50 non aveva certo in mente l’Italia come esempio di un paese dove le chance di successo sono distribuite in base al talento e alle capacità anziché per censo, classe o appartenenza a corporazioni influenti. Tuttavia il “padre” della meritocrazia avrebbe probabilmente un sussulto a leggere i risultati dell'indagine annuale sullo stato della meritocrazia in Italia condotta dai ricercatori dell’Università Cattolica e dal Forum della Meritocrazia per produrre l’indice “Meritometro”. Il Meritometro è il primo indicatore quantitativo, elaborato in Italia, di sintesi e misurazione dello “stato del merito” del paese, con possibilità di raffronto a livello europeo e aggiornamento periodico dei dati.

 

Rispetto a 12 paesi europei considerati (Finlandia, Norvegia, Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, Germania, Gran Bretagna, Austria, Francia, Polonia, Spagna) l’Italia riamane in ultima posizione nel 2016, praticamente ferma (più 0,06 per cento) al 2015.

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Dice il rapporto: “L’Italia ha il triste primato di essere ultima nel ranking riguardante tutti i pilastri. Le maggiori differenze rispetto alla media europea si riscontrano nei pilastri della trasparenza, delle regole, della libertà e delle pari opportunità”. E sta accumulando un certo divario rispetto agli altri stati membri dell'Ue: il nostro paese, rispetto al 2015, si conferma in un’ultima posizione nel ranking europeo, con un punteggio di 23,4 con più di 40 punti di distacco dalla Finlandia (67,7), 20 dalla Francia (41,5) e quasi 30 dalla Germania (52,3); punteggio inferiore di oltre 16 punti della Polonia (39,6) e 12 punti della Spagna (35,1).


 

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Secondo Nicolò Boggian, direttore generale del Forum della Meritocrazia, così rischiamo di perdere le partite più critiche del XXI Secolo, in primis quella dell’attrazione di talenti, che si intreccia con la crisi demografica e la necessità di innovazione del welfare per contemperare le esigenze di giovani e anziani. L’opinione del Forum, spiegata oggi sul Sole 24 Ore, è che il governo Renzi in questo ambito abbia fatto alcune manovre positive: la riforma del lavoro, valutata positivamente dalle agenzie internazionali; il miglioramento nelle pari opportunità; la creazione dell’Autorità Anticorruzione che ha motivato un miglioramento del giudizio dell'agenzia Transparency International sulla corruzione percepita in Italia. Poi ci sono altre riforme da giudicare nell’esito: la "Buona scuola", la riforma scolastica, è ad esempio contradditoria perché la svolta in senso meritocratico impressa con la volontà di assegnare un ruolo da manager al preside d'istituto mal si concilia con la contestuale assunzione di 68 mila insegnanti precari; il sistema scolastico ha poi tassi di abbandono a livelli elevati; la giustizia civile e quella penale sono lente e farraginose; la Pubblica amministrazione ancora giudica l’operato dei suoi stessi dirigenti con controlli pro-forma e sanzioni lievi per non dire assenti.

 

 

L'auto-perpetuazione delle élite, ovvero la condivisione oligopolistica del potere secondo criteri familistici o clientelari, in una parola "nepotismo", secondo Boggian, "sta diminuendo perché chiunque provi a fare una nomina e non ci mette attenzione, qualità, oggettività e trasparenza se ne pente amaramente e in fretta: se un'azienda non è guidata da un manager considerato competetente il mercato la censura immediatamente". Nel privato, si sa, il mercato ha funzione catartica e fa selezione, ma non si può dire lo stesso nel pubblico. "Ci sono criteri di valutazione nel pubblico – dice Boggian al Foglio – ma la valutazione deve essere credibile quando si analizza la performance di un dipendente statale. E questo non c'è perché l'organizzazione pubblica ha dimostrato di non avere interesse alcuno a censurare un suo membro organico. Anche da questo governo ci si aspetta che introduca un vero principio di terzietà nella valutazione dei dipendenti".

 

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