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Autolesionismo demografico

Redazione

L’Istat dice che la caduta della natalità subirà un'accelerazione nel periodo post-Covid. Scenderemmo a 396 mila nascite in un anno, dieci anni fa erano 560 mila. Ma dare la colpa alla pandemia è ridicolo. Sono trent’anni che l’Italia non fa figli

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“La morte che ci minaccia oggi sotto forma di pandemia è la stessa morte con cui l’Europa, con la sua demografia in caduta libera, flirta da molto tempo”. Ci voleva un filosofo come Rémi Brague per ribaltare il tavolo della discussione. Oggi l’Istat ha detto che la caduta della natalità potrebbe subire un’ulteriore accelerazione nel periodo post-Covid. “Recenti simulazioni, che tengono conto del clima di incertezza e paura associato alla pandemia in atto, mettono in luce un suo primo effetto nell’immediato futuro; un calo che dovrebbe mantenersi nell’ordine di poco meno di 10 mila nati, ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021”. Scenderemmo a 396 mila nascite in un anno, sotto la soglia psicologica delle 400 mila. Dieci anni fa erano ancora 560 mila. Quarant’anni fa, 800 mila. 

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“La morte che ci minaccia oggi sotto forma di pandemia è la stessa morte con cui l’Europa, con la sua demografia in caduta libera, flirta da molto tempo”. Ci voleva un filosofo come Rémi Brague per ribaltare il tavolo della discussione. Oggi l’Istat ha detto che la caduta della natalità potrebbe subire un’ulteriore accelerazione nel periodo post-Covid. “Recenti simulazioni, che tengono conto del clima di incertezza e paura associato alla pandemia in atto, mettono in luce un suo primo effetto nell’immediato futuro; un calo che dovrebbe mantenersi nell’ordine di poco meno di 10 mila nati, ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021”. Scenderemmo a 396 mila nascite in un anno, sotto la soglia psicologica delle 400 mila. Dieci anni fa erano ancora 560 mila. Quarant’anni fa, 800 mila. 

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Dare la colpa al Covid-19 sarebbe un facile alibi assolutorio. Sono trent’anni che in Italia le nascite crollano, che i governi si susseguono e che svicoliamo la denatalità. “Tutto è iniziato in Italia nel 1995”. Si apriva così un saggio pubblicato cinque anni fa da Joseph Chamie, uno dei massimi demografi al mondo e già direttore del fondo dell’Onu per la demografia. Quell’anno, in tempi ancora molto fortunati per l’economia italiana, sulla stampa americana uscivano articoli dal titolo: “Un mondo senza italiani? Che orrore” (su Usa Today a firma del politologo americano Ben Wattenberg). Wattenberg si diceva commosso da un incontro a Roma con una donna di 76 anni, l’invidia delle amiche perché ha un nipotino, uno.

 

“L’Italia, il paese più vecchio del mondo con una natalità che è sprofondata, prefigura la demografia di domani nei paesi ricchi”, scriveva il quotidiano francese Libération. A vario grado ci avrebbero raggiunto tutti in basso, dagli Stati Uniti alla Francia, perché la denatalità è grande un fenomeno di invecchiamento e stanchezza occidentali.

  

Il campanello d’allarme dell’Istat non può essere l’invito a lasciarsi andare a un declino sempre più scivoloso. Ci sproni invece a investire in strutture per la maternità come fanno i tedeschi o in una tassazione “alla francese” che premia chi fa figli, per citare due casi. Non fare niente, sperare in un miracolo demografico italiano, sarebbe autolesionistico.

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