Giorgio De Chirico, “Le muse inquietanti”, 1917-18 (Olycom)

Il peso dell'assenza

Macché milioni e miliardi. il grande potere della matematica sta nello zero

Roberto Volpi

Storia di una rivoluzione: quella della numerazione posizionale, che ha permesso i calcoli più strabilianti. E poi il sistema decimale e quello binario, alla base della teoria dell’informazione

Potremmo dire di noi, per rimarcare la peculiarità del nostro essere sulla terra rispetto agli uomini di epoche trascorse, di vivere nel tempo della numerabilità. Magari non ce ne accorgiamo, tanto siamo abituati. Ma questo è. Tutto è per noi misurabile, numerabile, calcolabile. Tutto è rappresentabile in numeri. Anche l’intero universo. In un modo che lascia stupiti. “L’universo è incredibilmente più esteso di quanto avessero immaginato gli Antichi”, scrive l’astrofisico Jean-Pierre Luminet nel suo La segreta geometria del cosmo” (Raffaello Cortina Editore, 2004). Per arrivare subito al dunque: “Il numero complessivo di atomi contenuti nell’universo osservabile è stimato circa 10 elevato a 79”. Ma come, tutto qui? Tutti gli atomi (gli atomi, nientemeno!) contenuti in un universo di cento miliardi di galassie mediamente di cento miliardi di stelle di grandezza mediamente superiore a quella del sole racchiusi nell’espressione della sconcertante semplicità/sinteticità di 10exp79? 

John Donne, predicatore e poeta, che pure visse in ben altro tempo rispetto al nostro (1572-1631), in un suo insieme lucido e allucinato sermone declamò: “Gli uomini hanno calcolato quanti singoli granelli di sabbia colmerebbero il vasto spazio tra la Terra e il Firmamento; e constatiamo che poche righe di cifre bastano a indicare e rappresentare quel numero. Ma se ogni granello di sabbia fosse quel numero, moltiplicato ancora per quel numero, nondimeno quel tutto, quella ineffabile, inconcepibile grandezza non farebbe un minuto di questa eternità”.

Ecco, l’eternità di John Donne, così come quella che ciascuno di noi intende per eternità, diversamente dal resto non è misurabile. Come tutto ciò che è senza fine. I numeri non possono correre dietro all’infinito, non possono raggiungerlo – non a caso “concetto che corrompe e altera tutti gli altri”, a detta di Borges che l’infinito lo detestava. E c’è comunque da segnalare che a John Donne e a quelli del suo tempo occorrono “poche righe di cifre”, per quel che noi rappresentiamo, pur nella sua moltiplicata grandezza di tutti gli atomi dell’universo, con due numeri che stanno tra di loro collegati nella familiare espressione di una potenza: 10 (la base) e 79 (l’esponente). 

E già John Donne è fortunato, quanto a numerabilità, a cavarsela con poche righe di cifre. Quando Archimede nel terzo secolo avanti Cristo si provò a stimare la grandezza di una sfera immaginaria avente per diametro la distanza tra la terra e il sole non si servì di cifre, che non conosceva per non essere ancora state inventate nella loro rappresentazione scritta, ma di nomi di cifre. Ci arrivò – a suo modo, s’intende – ma appoggiandosi sulle “miriadi” (il più grande numero, corrispondente a 10.000, per cui i greci avevano un nome) e di “miriadi di miriadi”. Siamo lontani anni luce dalla nostra ineffabile, per dirla ancora con John Donne, notazione per potenze di 10. Una notazione di semplicità pari alla potenza sbalorditiva che ci consente di riassumere l’estensione dell’universo in due ordinari, usuali, familiari numeri: 10 e 79. 

Una notazione, ed eccoci al dunque, basata sull’uso dello zero.

Eccolo, il responsabile – l’agente primo e insostituibile – della numerabilità assoluta del nostro tempo: lo zero. E qui siamo non nell’ineffabile ma nell’ineffabile dell’ineffabile. Come afferrare matematicamente il niente, il vuoto, l’assenza? E come rappresentarlo in forma di numero? E come trattarlo, se numero, in quanto numero?

La catena del pensiero matematico (della creatività e dell’immaginifico matematico) che porta allo zero si snoda dall’India, dove appare nel VI secolo, al mondo arabo e da qui infine all’occidente. Fu in particolare il pisano Leonardo Fibonacci a far conoscere la numerazione posizionale fondata sullo zero in Europa nel suo “Liber abbaci” pubblicato nel 1202. Egli tradusse sifr, come lo chiamarono gli arabi, in zephirum, nome di un venticello gentile, da cui si ebbe il veneziano zevero e quindi l’italiano zero. Da allora sarà soprattutto l’occidente a lasciare che la potenza dello zero si sprigionasse letteralmente come un fuoco d’artificio che irradia i cieli e i destini dell’uomo, illuminandoli d’una luce limpidissima.

Dallo zero al calcolo, nel bene e nel male

A questo giornale ha collaborato a lungo un grande matematico e storico della scienza che scriveva benissimo: Giorgio Israel (1945-2015). Ho avuto l’onore di recensire proprio sul Foglio il suo ultimo libro “Pensare in matematica” (Zanichelli, 2012), scritto assieme alla moglie Ana Millán Gasca, dal quale ripesco volentieri questo brano che ci chiarisce come meglio non si potrebbe le idee sullo zero.

“Lo zero nella scrittura dei numeri può trovarsi in due posizioni, una intermedia (tra altri numeri) oppure alla fine. Queste due differenti posizioni riflettono due funzioni completamente diverse, quella di zero mediale e quella di zero operatore. Lo zero operatore è quel numero che si aggiunge ‘n’ volte ad una cifra e serve a trasformare quest’ultima in un valore ‘n’ volte più grande, secondo la base scelta. Ad esempio, considerando la base 10, se al numero 34 si aggiunge uno zero, diventa 340. Tale numero risulta essere dieci volte più grande di quello originario (il 34); aggiungendo un ulteriore zero, si ottiene 3400 vale a dire un numero cento volte più grande di 34. Per quanto riguarda lo zero mediale, esso riflette ‘un’assenza’. Se prendiamo ad esempio il numero 304, qui lo zero indica l’assenza delle decine (304 = 3 centinaia, 0 decine e 4 unità). Questa è la fondamentale differenza concettuale tra le posizioni dello zero. Lo zero posto a destra del numero moltiplica il numero per la base, posto in posizione intermedia indica un’assenza, un vuoto”.
Ecco messa a nudo l’anima di quella numerazione posizionale che, letteralmente centrata sullo zero, permetterà il “calcolo” nelle versioni più avanzate, come non fu mai permesso alle civiltà che non conobbero lo zero e la numerazione posizionale. Non lo conobbero i greci, non lo conobbero i romani, non lo conobbero gli occidentali fino a epoche assai recenti, il calcolo, nel senso pieno che non sapevano, non potevano calcolare in mancanza delle notazioni numeriche e dovendosi servire di lettere che rendevano anche la somma tra due semplici quantità un’operazione complessa. I ponti non crollano, i grattacieli svettano resistendo anche alle scosse di terremoto, le navi spaziali non ci ricadono sulla testa. E’ questione di calcolo, di calcoli. Anche che ordigni nucleari d’immane potenza si staglino minacciosi contro i cieli dell’umanità è questione di calcoli. Il vuoto dello zero – zephirum, lo zefiro, il vento leggero e quasi impalpabile, il soffio, nelle traduzioni latine – contribuisce a tutto, nel bene e nel male. Ma nel bene fortunatamente molto di più che nel male. Almeno fino a questo momento.

Il sistema numerico binario e il gatto di Erwin Schrödinger

Nel numero 304, per tornare all’esempio di Giorgio Israel, lo zero non sta propriamente per un vuoto, bensì per un’assenza: quella, nella fattispecie, delle decine. L’assenza delle decine, in un numero costituito da 3 centinaia e 4 unità, è rappresentata da un vuoto tra 3 e 4 che, dopo la sua invenzione, assume la forma dello 0. Ed è questo, precisamente, che cambia non soltanto le carte in tavola ma il gioco stesso, giacché il vuoto non è trattabile matematicamente, lo zero sì. Con lo zero, il calcolo non incontra limiti, può andare dove vuole, fin dove lo sospingono la necessità e la creatività umane. Ma quello del calcolo tradizionale fondato sul sistema numerico decimale (in base 10) non è più l’unico modo in cui si materializza e agisce la forza inarrestabile dello zero. Lo zero letteralmente reinventa algebra, matematica e scienza. Tutto puntando a una diversa ed estroversa, rivoluzionaria dimensione.

Dallo zero scaturisce come Minerva dal cervello di Giove un nuovo sistema numerico, oltre a quello decimale che ben conosciamo per adoperarlo quotidianamente: il sistema numerico binario. Diversamente da quello decimale il sistema numerico binario non appare mai; non appare nelle numerazioni delle pagine di un libro, nella successione dei numeri civici delle strade, nelle monete e nelle compravendite, nei resti al supermercato, nelle misurazioni di qualsivoglia tipo, pesi e volumi, lunghezze e aree: tutto è sotto le insegne del sistema numerico decimale, che accomuna nel mondo le modalità del misurare e del numerare. Il sistema numerico binario è altra cosa: tanto il sistema decimale è manifesto quanto il sistema binario è nascosto; tanto il sistema decimale è pervasivo quanto il sistema binario è mirato, nel senso che la sua applicazione lungi dall’essere universale è riservata e discreta, ma proprio per questo di sconvolgente efficacia. Quello binario è, mi si perdoni quel tanto di forzatura che c’è in una affermazione come la seguente, il sistema numerico del ramo più moderno e innovativo della matematica e più in generale della scienza: quello dell’informazione e della comunicazione. 

Il sistema numerico binario è un sistema numerico posizionale in base 2, ovvero che utilizza solo due simboli, indicati con 0 e 1, invece delle dieci cifre utilizzate dal sistema numerico decimale, ma, come in quest’ultimo, ciascuno dei due simboli ha un valore diverso a seconda della posizione che occupa. Nella quotidianità il sistema binario sarebbe un autentico disastro. Per rappresentare 5 occorre scrivere nel sistema binario 101. In questo numero il primo 1 vale 1; il secondo 1 (la terza cifra) vale 4. Lo zero è zero e tanto vale, ovunque si trovi, ma dalla sua posizione dipende il valore dell’1 successivo che gli sta a sinistra. Si lasci pure perdere la scrittura di numeri davvero grandi, che nel sistema binario diventa lunghissima e faticosa. Anche soltanto per avere 201 occorre scrivere nel sistema binario: 11001001. Un’impresa. E allora, da dove nasce la sua formidabile importanza – e il suo impiego altamente scientifico? Da due fattori, che rappresentano due vere e proprie qualità, le qualità del sistema numerico binario. La prima: la sua capacità di rappresentazione. Sì e no; vero e falso; acceso e spento; aperto e chiuso; vivo e morto; bianco e nero; destra e sinistra; giù e su; testa e croce, e ancora e ancora, se ne possono pensare a centinaia di queste modalità qualitative (modi di essere, di manifestarsi dei fenomeni) binarie contrapposte l’una all’altra e che si verificano con una stessa probabilità: 50 e 50. Ma se trasformate queste modalità qualitative semplicemente in 1 e 0, ecco che avete la possibilità di quantificare la qualità e calcolarla. Il qualitativo – che non lo è in sé – è calcolabile come il quantitativo – che lo è in sé. 

E a questo riguardo, come ignorare il gatto quantistico di Erwin Schrödinger? Scrive dunque il grande fisico austriaco pioniere dell’indeterminatezza: “Si rinchiuda un gatto in una scatola d’acciaio insieme alla seguente macchina infernale (che occorre proteggere dalla possibilità d’essere afferrata direttamente dal gatto): in un contatore Geiger si trova una minuscola porzione di sostanza radioattiva, così poca che nel corso di un’ora forse uno dei suoi atomi si disintegrerà, ma anche, in modo parimenti probabile, nessuno; se l’evento si verifica il contatore lo segnala e aziona un relais di un martelletto che rompe una fiala con del cianuro. Dopo avere lasciato indisturbato questo intero sistema per un’ora, si direbbe che il gatto è ancora vivo se nel frattempo nessun atomo si fosse disintegrato, mentre la prima disintegrazione atomica lo avrebbe avvelenato. La funzione dell’intero sistema porta ad affermare che in essa il gatto vivo e il gatto morto non sono degli stati puri, ma miscelati con uguale peso”. 

Detto in altro modo, più terra terra: secondo Schrödinger, visto che è impossibile sapere, prima di aprire la scatola, se il gas sia stato rilasciato o meno, fintanto che la scatola rimane chiusa il gatto si trova in uno stato indeterminato: è tanto vivo che morto (o anche: né vivo né morto). E’ solo aprendo la scatola che questa “sovrapposizione di stati” – gatto vivo, gatto morto – si risolverà, in un modo o nell’altro.

Il gatto sarà dunque vivo se nessun atomo della sostanza radioattiva si disintegra in un’ora; sarà morto in caso contrario. E’ il tipico esempio di numerazione binaria: 1 se il gatto è vivo; 0 se il gatto è morto. Il meccanismo – burlesco, come lo definì lo stesso Schrödinger (ma mica tanto, per il gatto) – è lo stesso che si verifica nel cervello di un essere umano migliaia di volte in un’unità minima di tempo: un impulso nervoso viene trasmesso da un neurone a un altro: trasmissione che andrà a buon fine, nel senso che l’impulso nervoso passa dal neurone di avvio al neurone di arrivo, o non andrà a buon fine e l’impulso nervoso non passa, viene stoppato. E di nuovo: 1 nel primo caso; 0 nel secondo. Il viaggio dell’impulso nervoso non necessariamente si ferma; prosegue, fin quando potrà o sarà necessario, per altri lidi, altri neuroni. Non è azzardato dire che dalla fisica quantistica al funzionamento del cervello una possibile chiave matematica per penetrare in senso generalmente culturale nei rispettivi domini e meccanismi è rappresentata dal sistema numerico binario. 

Ecco così spiegata la prima qualità che fa del sistema numerico binario uno strumento di formidabile importanza: la sua capacità di rappresentare meccanismi altamente complessi mediante la loro riduzione a operazioni di base semplicissime che si estrinsecano in alternative binarie.

La supervelocità di trasmissione di 1 e 0, nonostante uno spiritello dispettoso

La seconda qualità si innesta direttamente su questa capacità di rappresentazione, ne è in un certo senso la continuazione. Si tratta della velocità con cui questa rappresentazione si compie. La trasmissione di un impulso nervoso (1 passa; 0 non passa) è immediata. Non si può dire altrimenti: immediata. Ed è con questa immediatezza che si verifica nel nostro cervello. Secondo alcune stime, che pure non fanno che essere riviste al rialzo, il cervello di sapiens contiene cento miliardi di neuroni mediamente con 10 mila connessioni ciascuno per un totale di un milione di miliardi di connessioni. Una complessità difficile da immaginare che si struttura a partire dal più semplice dei meccanismi e dalla più semplice, perfino banale, loro rappresentazione matematica in 1 e 0, gli elementi del sistema numerico binario che proprio per essere due soltanto e per escludersi vicendevolmente – se si presenta l’1 non si presenta lo 0; se si presenta lo 0 non si presenta l’1 – hanno questa capacità di estrema velocità di trasmissione.

Una velocità tale che i computer – tutti i computer, dal pc che sto usando in questo momento a quelli della Nasa iper sofisticati – utilizzano il sistema numerico binario per manipolare e archiviare tutti i propri dati inclusi numeri, parole, video, grafici e note musicali: tutto trasformato in interminabili, monotone, a colpo d’occhio indistinguibili l’una dall’altra successioni di 1 e 0.  Pensiamo a un generico dispositivo – elettronico come un computer, ma anche biologico come appunto il cervello – come a una serie di interruttori, ognuno dei quali può alternare tra una posizione “on” e una posizione “off”.  Quando un interruttore è “on” – acceso o aperto – rappresenta 1 e quando l’interruttore è “off” – spento o chiuso – rappresenta 0. 

I dispositivi digitali eseguono operazioni matematiche accendendo (1) e spegnendo (0) interruttori binari. Più velocemente il computer (ma anche il cervello) può accendere e spegnere gli interruttori, più velocemente può eseguire i suoi calcoli. 

Quanto velocemente lo si può capire meglio con un esempio anch’esso a suo modo burlesco, sulla scia di quello di Schrödinger – ben altrimenti decisivo per la scienza. Un esempio che ci introduce assai sommariamente ma quel tanto che basta in questa sede alla teoria matematica dell’informazione. La teoria che sta alla base di tutto il sistema delle moderne comunicazioni e che si deve al genio di un giovane ingegnere della Bell Telephone, Claude E. Shannon, che pubblicò nel 1948 un articolo dal titolo “A mathematical theory of communication” (che uscì successivamente in volume nel 1949) che ne segna per così dire la data di nascita. Claude E. Shannon è senz’altro lo scienziato che con le sue intuizioni, scoperte e teorie più ha influenzato le nostre vite e il nostro modo di essere. Ma così va il mondo: Claude E. Shannon è conosciuto da pochi cultori di storia della scienza. Passiamo oltre. La teoria matematica dell’informazione fissa in bit l’unità di misura dell’informazione. Un bit – termine derivato per contrazione dalle parole inglesi BInary digiT, cioè “cifra binaria” – è la quantità minima d’informazione di una fonte d’informazione o informazionale: il risultato del lancio di una moneta corrisponde a un bit d’informazione (con la fonte d’informazione consistente proprio nel lancio della moneta). Il contenuto d’informazione di qualsiasi messaggio è esprimibile in bit, in numero di bit.

Ma ecco l’esempio. Supponiamo di avere di fronte a noi la bellezza di 1.073.741.824 strade possibili – un miliardo e quasi cento milioni di strade – per arrivare, come nei romanzi di avventura, al tesoro. Di questa quantità inverosimile di strade disponibili solo una è quella giusta, che ovviamente non conosciamo, le altre sono tutte ugualmente sbagliate. Impossibile percorrerle tutte. Per fortuna abbiamo al nostro fianco uno spiritello che sa qual è la strada. Solo che, come ogni spiritello che si rispetti, è dispettoso e tutto quello che si compiace di fare è rispondere con un Sì o con un No alle nostre domande – un modo di rispondere come si vede perfettamente binario. Impensabile chiedere al nostro spiritello una strada dopo l’altra se è quella giusta, una vita intera non ci basterebbe. Il metodo più semplice ed efficace per ottenere il risultato agognato è quello di procedere rivolgendogli domande di questa fatta: la strada giusta è compresa tra le prime 536.870.912 strade (la metà delle strade esistenti)? Infatti, quale che sia la risposta dello spiritello quel che ne ricaviamo è togliere dal novero delle possibilità la metà delle strade: le prime 536.870.912 strade se la risposta è no, le seconde 536.870.912 strade se la risposta è sì. Dopodiché chiederemo: la strada giusta è compresa tra le prime 268.435.456 strade (la metà delle strade che sono rimaste dopo quelle escluse)? E ancora lo spiritello, non volendo rispondere che con sì o no, toglierebbe di mezzo in un sol colpo 268.435.456 possibilità fasulle. E così via, per 30 domande consecutive di questa fatta – e infatti: 1.073.741.824 è uguale a 2 elevato a 30 (2exp30): 2 possibilità di risposta per 30 domande tutte dello stesso tipo.

Appena 30 domande a risposta binaria (Sì = 1; No = 0) rivolte a uno spiritello dispettoso – a cui però, diversamente dal gatto di Schrödinger, non succede niente di sgradevole – ci basteranno per arrivare con assoluta certezza alla strada, la sola, che porta al tesoro, nella selva altrimenti inestricabile di 1.073.741.824 strade.

Come fonte informazionale il nostro spiritello “vale” dunque 30 bit d’informazione, in conseguenza dell’insieme di risposte che fornisce: per ogni domanda una risposta, a ogni risposta 1 bit d’informazione. 

Figli di una logica binaria? 

Allo spiritello possiamo ora sostituire più realisticamente un comune pc, che ha bisogno di 30 passaggi di un impulso elettrico attraverso 30 porte o interruttori per estrarre dalla congerie inestricabile di quasi un miliardo e cento milioni di possibilità ugualmente probabili quella giusta che conduce all’obiettivo. Detto che impiegherebbe un tempo minimo (una frazione di secondo), si vede bene come il sistema numerico binario sia intrinseco alla logica e al funzionamento dei computer anche più moderni e potenti in quanto le caratteristiche fisiche dei circuiti digitali degli elaboratori elettronici rendono molto conveniente la gestione di due soli valori, rappresentati fisicamente da due diversi livelli di tensione elettrica. Così, non ci sarà mai un sistema numerico più adatto ed efficiente di esso, giacché non può esserci un sistema numerico consistente in un solo elemento e che la semplicità più estrema del calcolo è quella che si innesta sulla scelta tra i due stati/numeri: uno e zero. La sfida della supervelocità non si gioca su un diverso sistema numerico che potrebbe essere oggi o domani inventato ma sui superconduttori, materiali fondamentali per il progresso della tecnologia quantistica che a temperature estremamente basse possono condurre elettricità senza resistenza.

Ma ciò detto, e a conclusione, appare inevitabile una domanda: non è forse l’1 nel sistema numerico binario altrettanto importante dello 0? Indiscutibilmente. Ma allora, se agli altari dobbiamo elevare lo 0 altrettanto dobbiamo fare con l’1. E tutta questa bella sinfonia a gloria dello 0 va quantomeno suddivisa tra i due numeri, lo 0 e l’1, alla stessa stregua. Mica vero. Tralasciamo pure (è un modo di dire, non c’è da tralasciare alcunché – tutto il contrario, piuttosto) il posto assolutamente decisivo che lo 0 occupa nella numerazione posizionale, impossibile senza di esso, e per estensione nel calcolo, ch’è solo grazie allo 0 che non incontra più ostacoli e può espandersi in altezze e profondità altrimenti del tutto irraggiungibili. Anche solo per limitarci al sistema numerico binario, questo sistema ha avuto l’impulso decisivo, dopo che non sembrava avere sbocchi di sorta, grazie al matematico inglese George Boole che nel 1854 pubblicò “An investigation of the laws of thought”, opera fondamentale in cui espone le leggi dell’algebra booleana, ch’è appunto un sistema di logica matematica in cui le variabili possono assumere solo due stati: vero (1) o falso (0). Quest’opera, che ispirerà Claude E. Shannon e le grandi scuole di logica matematica del Novecento, oltre ad aprire la strada alla nascita del calcolatore elettronico, aveva bisogno dello zero. Senza lo zero, che arriverà buon ultimo, non sarebbe stata concepibile. Tutta una logica, una filosofia, un’algebra, una matematica – le più avanzate, quelle che ispirano e determinano gli sviluppi straordinari a cui abbiamo assistito e a cui ancora stiamo assistendo nel campo delle moderne comunicazioni – erano per così dire in attesa dello zero per cominciare a plasmare se stesse in un cammino durato secoli, e con esse noi uomini d’oggi. Siamo paradossalmente il prodotto di una logica binaria, che pure conduce a risultati complessi e raffinatissimi.

C’è di che riflettere – a voler abbandonare un attimo i severi sentieri della matematica – sul bipartitismo, sulle difficoltà del terzo polo e analoghe sottigliezze in democrazia. Non per vederne un’ascendenza nello zero, al bando le cattiverie, quanto piuttosto nell’algebra booleana, nella numerazione binaria, nel bit d’informazione di Shannon: tutto e solo, a stringere, una scelta e una lotta, e meglio ancora un susseguirsi di scelte e lotte binarie tra 0 e 1, sì e no, aperto e chiuso, vero e falso. Perché scegliere si deve. Da che parte stare. Sul crinale non sembra esserci posto.

Di più su questi argomenti: