Quando è l'intellettuale laico, anziché l'omelia, a spiegare le Scritture
Da Cacciari a Recalcati, filosofi e psicanalisti riscoprono i testi biblici. Ne “I volti dell'avversario”, Roberto Esposito esplora le molteplici interpretazioni della lotta di Giacobbe, un episodio enigmatico che continua a sfidare e affascinare
Da quando i testi religiosi sono entrati in un cono d’ombra per la gente comune, un tempo educata da catechismo e celebrazioni domenicali a una certa dimestichezza con le letture bibliche e oggi completamente analfabeta in proposito, le Scritture sono diventate oggetto di riflessione e di studio per filosofi e psicanalisti come Cacciari, Recalcati, Agamben ed Esposito. I loro libri non hanno nulla a che vedere con la grande tradizione esegetica che cercava di discernere in questi scritti la volontà di Dio e il suo messaggio per il genere umano, ma piuttosto riflettono sulle origini della nostra tradizione culturale ebraico-cristiana. È un riconoscimento per la profonda conoscenza della natura umana che questi testi trasmettono, testimoniata innanzitutto dal fatto che i protagonisti, pur eroici per molti aspetti, non sono mai esenti da debolezze e difetti, non sono mai dei santini, anche se si sottintende sempre che siano dei modelli da seguire. Ma umani, che trovano con difficoltà la loro strada – o la perdono, come Davide – e conquistano con fatica la consapevolezza di sé.
La letteratura di commento disponibile – anche se si prende in considerazione solo quella laica (soprattutto se si apre questa ricerca anche all’arte) – è infinita per ogni episodio, ma viene da pensare che si sia accumulata soprattutto quella relativa a un brano (Genesi 32, 23-33) di difficile interpretazione, cioè la lotta di Giacobbe con un essere che la tradizione cristiana designa come un angelo. Viene da pensarlo leggendo il bellissimo libro di Roberto Esposito I volti dell’Avversario (Einaudi), che ripercorre con passione e acribia documentaria le interpretazioni accumulate nei secoli, con particolare attenzione a quelle meno prevedibili e più lontane dalla tradizione religiosa, provenienti dalla letteratura, dall’arte, dalla psicanalisi. Le domande che si sono poste gli interpreti sono sempre le stesse: è stata una vera lotta o un incontro animato? E lui, l’essere incontrato, era un demone o un angelo o addirittura Dio stesso? Oppure Satana, l’eterno avversario? O non piuttosto un doppio ambiguo di Giacobbe, uno sdoppiamento di sé che alla fine riconosce la complessità di cui è composto, fa pace con sé stesso e si assume la nuova identità e il nuovo nome, Israele, con il quale diviene il capostipite del popolo ebraico? Chi è il vero vincitore della lotta? L’uomo ferito o il misterioso avversario che all’alba se ne va? Di fronte a questa ricchezza di ipotesi, marginale rimane l’interpretazione più politica, per cui la lotta sarebbe quella fra Israele e i suoi i nemici.
La potenza di questo episodio sta proprio nel suo essere misterioso, poco chiaro. E che per questo – scrive Esposito – sfida il lettore perché “si rivolge direttamente a chiunque lo legga, interpellandolo personalmente, senza mediazioni”, in modo che ne tragga la sua personale interpretazione. Una collocazione del lettore, quindi, che presuppone un orientamento soggettivo, nel quale “l’opzione personale prevale sull’analisi oggettiva”. Proprio l’analisi oggettiva delle interpretazioni è invece quella che ci offre Esposito, ben consapevole che un lettore non può modificare un testo, ma un testo può modificare il lettore.
Ma allora perché il lettore-interprete Esposito, dopo avere ripercorso con sapienza ed eleganza quella fetta importante della tradizione occidentale che si è confrontata con l’episodio biblico, tace sulla sua personale interpretazione? Perché non espone e, se necessario, difende la risonanza che questa storia affascinante ha avuto su di lui? Allora perché non ci spiega il motivo per il quale l’ha scelta come centro delle sue riflessioni? In sostanza, perché non ci dice qual è la posta in gioco della sua lotta e chi è il suo avversario?