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il ritratto

Rocco Scotellaro, un intellettuale fra classe contadina e modernità

Giacomo Giossi

I “taccuini” dello scrittore raccontano la sua idea di unità nazionale. Appunti da rileggere per ragionare sul senso di un fare politico e poetico ancora oggi sorprendente

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Nel giugno del 2023 per i cento anni dalla nascita, e a settanta della morte, di Rocco Scotellaro si è tenuto fra Tricarico e Matera un convegno internazionale di studio a lui dedicato. Il convegno ha affrontato le molte sfaccettature di un intellettuale capace di segnare, pur nella sua breve esistenza, la vita politica e culturale italiana. Da quel convegno sono così, in un certo senso, germinate una serie di pubblicazioni tra cui il prezioso volume curato da Franco Vitelli e Giulia Dell’Aquila, Taccuini 1942-1953, pubblicato da Quodlibet che ha anche portato in libreria sia gli atti del convegno, Rocco Scotellaro.

Un intellettuale contadino scrittore oltre la modernità, sia il soggetto cinematografico I fuochi di San Pancrazio, pubblicato per la prima volta a cura di Sebastiano Martelli che ne ha ricostruito filologicamente i frammenti dal trattamento fino alla sceneggiatura. Ma è nei Taccuini organizzati da Vitelli e Dell’Aquila che è possibile ancora oggi cogliere la forza costruttrice di un intellettuale che seppe coniugare politica e poesia all’infuori di alcuna risibile retorica. Sostenuto da figure come Carlo Levi, Manlio Rossi-Doria e Franco Fortini, Scotellaro ebbe la capacità di dare voce al movimento contadino esemplificandone l’anima antica, ma anche e soprattutto la sua insita capacità modernizzatrice. Esponente del partito socialista, vicino a Francesco De Martino, Scotellaro aveva una visione chiara del progresso come luogo della partecipazione della collettività. Senza negare le ambizioni individuali così come la natura e il contesto sociale, Scotellaro lavorò attivamente sia intellettualmente, sia politicamente per ottenere una cultura diffusa che non negasse l’origine contadina, ma che le permettesse anzi di avere una voce in un momento di radicale emancipazione economica di tutto il paese, ma in cui chiaramente il sud rischiava di restare invischiato all’interno di vecchie logiche di sussistenza feudale.

I Taccuini rendono al meglio il senso di un discorso politico che vive della concretezza quotidiana, dei bisogni dei cittadini (Scotellaro fu sindaco di Tricarico dal 1946 al 1950), ma anche la necessità di tradurre una cultura millenaria in una voce comprensibile alla modernità e questo avviene grazie ad un’attività culturale densa e a uno scambio vivace con i principali intellettuali dell’epoca. Un movimento che si tradurrà da un lato con lo sforzo per la riforma agraria, dall’altro con una produzione poetica che ancora oggi vive nelle pagine delle librerie. Quello che muove Scotellaro è infatti una forma di concreto fare che va anche ben oltre un’idea rivoluzionaria all’epoca fortemente presente nella sinistra. Così come mai venne sedotto dal Partito comunista, così non ebbe mai passione per uno sguardo che fosse solo puramente teorico e incapace di incidere nella realtà e nel quotidiano. In soli trent’anni Rocco Scotellaro fu al centro di un’idea del meridione innovativa e coesiva, partecipata e comunitaria. Annota nei suoi appunti del 1952: “Non voglio conoscere nulla che non sia nella natura. Carrettino dell’ortolano. Una Cultura europea non avrà significato se non si avrà una cultura nazionale. Può esistere collaborazione tra le esperienze poetiche”. Ed è proprio attorno alla parola collaborazione che Scotellaro immagina un percorso di unità che per essere d’intenti deve essere prima ancora poetica, ovvero un’affinità di vedute verso l’umano e il suo incedere nella storia in quanto elaborazione di un futuro possibile. I Taccuini sono un testo fondamentale per comprendere proprio attraverso quella idea di storia il senso di un fare politico e poetico ancora oggi sorprendente.

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