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Resistenza oggi è guardarsi dall’impulso al conformismo che rende gregari

Alfonso Berardinelli

Dov’è e che cos’è oggi fascismo? In quali forme, con quali prospettive e quali scopi? Su quali ambienti e quali forze può contare? Massa e autoritarismo, con visita a Horkheimer e Adorno

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Fascismo, resistenza, resistenza al fascismo. “Ora e sempre resistenza!”. Sì, ma quale resistenza e a quale fascismo? Al fascismo del 1943-45? Come si fa a resistere oggi a quel fascismo e nazifascismo di ieri?

Il numero di Internazionale 28 aprile/4 maggio, che apro solo ora, pubblicava in apertura una bella foto su due pagine con il titolo “Corteo resistente. Bologna, Italia, 25 aprile 2023”. Un corteo vivacissimo e spensierato, coloratissimo e festoso di giovani, più sorridente che riflessivo e combattivo, a dimostrare che la resistenza antifascista e la lotta per la liberazione sono tuttora giovani, di massa e trasmettono allegria.

Ma rinascono come festa o come lotta? Mi chiedo a chi piace fantasticare in questo modo su una lotta antifascista tuttora in corso. Dov’è e che cos’è oggi fascismo? In quali forme, con quali prospettive e quali scopi? Su quali ambienti e quali forze può contare? Vediamo: dosi di fascismo ci sono qua e là. Nella criminalità organizzata, nel bullismo, nel sadismo sottopelle che circola, nel persistente antisemitismo, nelle tifoserie calcistiche, in ogni tipo di razzismo, nei corpi di polizia e nell’esercito ogni volta in cui sia insufficiente l’educazione civica, in certe palestre di arti marziali, in molti aspetti dell’estetica di massa, e infine in chi abbia nostalgia del fascismo storico e lo ritenga degno di essere restaurato, almeno in parte e ogni volta che serve.

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Il “fascismo nella democrazia”, anche se non è propriamente cioè esplicitamente politico, è però “sociologico”, culturale, caratteriale, psichico, di mentalità. E’ un elemento nella formazione o malformazione dell’io sociale? E’ un dato che facilmente si associa alla psicologia della folla? Ai comportamenti di gruppo e di massa? Al costume di certe categorie professionali? O a un malinteso, atavico, isterico senso dell’identità religiosa e nazionale: simile all’istinto territoriale degli animali, dalle formiche alle scimmie?

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Guardo quei bei giovani da happy hour e da movida che ridono e fanno festa; che magari cantano “Bella ciao” e dimenticano che le sue ultime parole, le più giustamente commoventi e memorabili, sono: “morto per la libertà”. Ecco, mi chiedo che cosa può avere a che fare quel corteo con i partigiani, la resistenza, il nazifascismo da combattere, a più di settant’anni di distanza dagli eventi storici e in un mondo che è sia profondamente che superficialmente mutato. Quanti ragazzi c’erano in quel corteo che avevano letto una storia della resistenza, Giorgio Bocca o Claudio Pavone, e si siano chiesti contro che cosa lottare e resistere oggi con un impegno analogo, anche solo vagamente, mentalmente analogo a quello di coloro che scrissero le righe raccolte in Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana? Connettere presente e passato storico è una delle cose moralmente più difficili, perché non si tratta solo di memoria, di sua autenticità e consistenza, ma del modo in cui si vede e si vive il presente. Oggi in Europa è senza dubbio Resistenza quella degli ucraini a Putin.

Ma per rinfrescarmi un po’ le idee vado a fare una breve visita a Max Horkheimer e Theodor Adorno, che di fascismo psicosociale se ne intendevano. In un loro saggio dedicato alla “mentalità fascista” leggo queste righe: “Secondo Freud, il problema della psicologia di massa è strettamente legato al nuovo genere di afflizione psicologica caratteristica di un’epoca che per ragioni economico-sociali testimonia il declino dell’individuo e la sua conseguente debolezza. Se non si interessava ai mutamenti sociali, Freud ricercava però, entro i confini dell’individuo, le tracce della profonda crisi dell’individuo stesso e della sua volontà di cedere senza interrogativi alle prepotenti sollecitazioni esterne”.

Il problema è capire che cosa c’è nell’inconscio dell’individuo che tramuta gli individui in massa. Il Novecento, che comunemente gli storici tendono a definire “il secolo delle masse”, potrebbe essere anche definito il secolo della crisi, della debolezza degli individui e del loro bisogno di credersi forti in massa. E’ in gruppo e in massa che l’individuo libera più facilmente i suoi istinti inconsci e primitivi. E’ così che si passa da emozioni violente alle azioni violente. E’ così che la demagogia sviluppa il proprio potere ipnotico. Lo studio della “personalità autoritaria”, che occupò per anni Adorno, Horkheimer e l’intero Istituto della ricerca sociale, mise a fuoco la radice individuale da cui ha origine il masochismo gregario necessario a quella trasformazione degli individui in masse senza la quale il fascismo, i fascismi, non si spiegano.

Invece che recitare una resistenza antifascista da selfie, sarebbe meglio, credo, confrontarsi con il “totalitarismo” morbido dei comportamenti di massa attuali, cioè con il cieco impulso a un conformismo che rende gregari, che indebolisce gli individui e li cancella come individui capaci di giudicare prima di adeguarsi coattivamente a quello che “fanno tutti”.

Questo ricorso alle teorizzazioni sul fascismo e la struttura psichica che ne permette la nascita potrà apparire eccessivamente sottile, sospettoso e inopportunamente sofisticato se applicato a ogni attuale comportamento di massa. Ma la trasformazione dell’antifascismo e la celebrazione della Resistenza 1943-45 in una bella festa, è probabile che non dica niente sulla reale capacità di resistere individualmente alle massificazioni di oggi. Se si tratta di essere “resistenti”, bisogna chiedersi più precisamente a che cosa resistere e se si è capaci di farlo anche a costo di restare da soli o in pochi.

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