Facce dispari

Roberto Mantovani: notti, sconfitte e medaglie del tassista Bologna 5

Francesco Palmieri

E' diventato un personaggio del romanzo Léon di Carlo Lucarelli. "Leggeva le mie storie su Twitter e mi contattò, sicché siamo diventati amici". Dei suoi colleghi al volante dice: "Beceri e indegni, difensori di privilegi egoistici e fautori di ridicole battaglie”

Se i risvolti di copertina descrivono più o meno bene un’opera, le pagine dei ringraziamenti ne svelano il backstage con dettagli talora curiosi (qualcuno prima o poi compilerà un’antologia dei “grazie” più originali). Un esempio è la scoperta di Roberto Mantovani, il tassista Bologna 5 personaggio del romanzo Léon di Carlo Lucarelli, che esiste davvero con lo stesso nome e la stessa sigla. Anzi, nella finzione interpreta solo “una versione ridotta di sé stesso”, perché nella vita “è molto più incredibile, eccezionale e fantastico di quanto l’abbia descritto io”, oltre a essere con la compagna Annabella “una delle persone più simpatiche, positive e generose che io conosca”.

Ringraziamento raddoppiato perché, aggiunge Lucarelli, Mantovani lo ha introdotto al “magico mondo dei taxi” e a scoprire “cose di Bologna che non conoscevo”. Medaglia al merito civico, promotore di una raccolta fondi che ha fruttato più di ottomila euro alla Casa delle donne bolognese cui ha anche dedicato la livrea dell’autovettura, Mantovani è attivo su Twitter e lo è stato per radio, raccontando le storie della notte e il suo impegno contro razzismo e omofobia (per cui ha subìto anche minacce di morte). Tassista dispari nella categoria, punta il dito contro la quota di colleghi “beceri e indegni, difensori di privilegi egoistici e fautori di ridicole battaglie”.

 

Perché ha scelto questo lavoro?
È un’avventura che ha compiuto sette anni il primo aprile scorso. Guidavo un carro attrezzi e quando persi il lavoro, non avendo specifici titoli, realizzai che la vita più adatta a me era quella del tassista. Così comprai una licenza pagandola anche un po’ di più perché volevo Bologna nella sigla. Sono nato in questa città nel ’69 e ci ho sempre vissuto. Più passa il tempo più ne sono innamorato e m’identifico nei suoi valori.

Quali sono?
È ospitale, generosa e sorridente. Mentre alcune grandi città italiane nutrono fra loro un sentimento d’astio, tutti vogliono bene a Bologna. Non ho mai sentito qualcuno che le manifestasse avversione.

 

Come mai preferisce il turno di notte?
Il prediletto è dalle 17 alle 5: se sono in forma lavoro dodici ore di fila. La notte è meglio perché non mi annoio e vengo a contatto con una variegata umanità di cui mi piace interessarmi. Possono capitare clienti reduci da un pronto soccorso o che hanno perso tutto al Bingo, quelli euforici o quelli sfatti all’uscita da un locale. Ne assorbo gli umori, m’intristisco per i drammi o mi rallegro con loro. Venti, venticinque corse a notte. Un’altalena emotiva. Lucarelli leggeva le mie storie su Twitter e mi contattò, sicché siamo diventati amici e mi ha aiutato anche a raccogliere il denaro per la Casa delle donne.

Perché il suo account è @RobertoRedSox?
Sono appassionato di baseball. Durante un viaggio negli Stati Uniti m’innamorai dei Boston Red Sox perché erano la squadra più sfigata. Purtroppo devo aver portato fortuna: nel 2004, da quando cominciai a seguirne le vicende, ricominciarono a vincere dopo 86 anni.

E lei dice “purtroppo”?
Perché una vittoria ogni tanto ci sta, ma vincere troppo non è bello: si diventa antipatici. La sconfitta rivela maggiori qualità. C’è la tristezza all’uscita dallo stadio che ha un valore immenso. È troppo facile affezionarsi ai vincenti, ma la vera passione si esprime quando la tua squadra è in difficoltà. Finché seguivo il calcio ho sempre tifato Bologna.
 

Il club l’ha assecondata abbastanza.
Gli anni migliori erano quando si lottava fino all’ultima giornata per evitare la retrocessione. Per me valeva più di uno scudetto.

RobertoRedSox gioca anche a baseball.
Quelle sono le volte che lavoro di giorno. La nostra è una squadra amatoriale battezzata Bandigas, da bandiga, parola dialettale che significa una gran festa con una bella mangiata: vocabolo gioioso.

Cosa ha fatto per meritare una medaglia al valore dal sindaco?
In pandemia, durante il lockdown, misi Bologna 5 a disposizione gratuita della cittadinanza. Recapitavo panni da lavare, portavo la spesa, ritiravo le medicine in farmacia per chiunque lo chiedesse. Ogni tanto provavano ad allungarmi una mancia, categoricamente respinta.

Sempre?
Confesso di aver ceduto una volta, a una signora che mi offrì un sacchetto di tortellini. Rifiutarli a Bologna è un’offesa personale.

Cosa sta progettando?
Forse un’altra iniziativa per la Casa delle donne, perché dopo la pandemia i casi di violenza sono aumentati. Poi sto provando a scrivere un libro sul mondo dei taxi. Giacché sono diventato un simbolo positivo della categoria, vorrei che migliorasse. A Bologna c’è un tassismo di alto livello per qualità professionale e umana, ma non è così in tutta Italia, anzi neanche siamo una categoria a guida nazionale. Eppure crediamo di avere la forza per sostenere ridicole battaglie come quella contro il Pos. I miei colleghi sono andati in piazza a protestare contro Uber mentre alcune cooperative hanno deciso di lavorarci assieme. Soffriamo di un illogico rifiuto della modernità, di una mentalità che tutela anche gli impresentabili. Procedendo di questo passo, il rischio è che saremo annientati dal progresso.