(LaPresse) 

10 marzo 1937 - 26 marzo 2023

Addio a Maria Kodama, moglie e custode della memoria di Borges

Maurizio Stefanini

Il loro sodalizio, prima intellettuale e poi affettivo, era durato 33 anni. Lei è stata gli occhi e le mani dello scrittore, rimasto cieco a 56 anni. Ha curato la sua eredità intellettuale come presidente di una Fondazione internazionale

“Me lo aveva presentato un amico di mio padre quando avevo 12 anni. Fin da piccola io volevo studiare letteratura, volevo scrivere. E questo signore, grande ammiratore di Borges, pensò fosse importante per una ragazza che voleva studiare letteratura poter avere per lo meno un'approssimazione con un uomo da lui considerato geniale. In seguito reincontrai Borges quando avevo ormai 16 anni, e lì iniziammo a studiare l'antico anglo-sassone, per passare poi all'islandese. Alla fine, fu la stessa vita a tessere tutta una storia molto ricca e meravigliosa”.

 

Così María Kodama-Schweizer, nota come María Kodama, mi aveva raccontato la sua storia con Jorge Luis Borges, una volte che le avevo fatto una lunga intervista nel 1999, durante le celebrazioni per il centenario della nascita dello scrittore. Domenica è morta per un cancro all’età di 86 anni, dal momento che era nata a Buenos Aires il 10 marzo del 1937. In realtà i due si erano sposati legalmente, a Asunción in Paraguay, solo il 26 aprile 1986: 50 giorni prima della morte di lui, avvenuta a Ginevra il 14 giugno 1986. Ma già negli anni ’70 avevano celebrato un rito nuziale in Islanda con un sacerdote neopagano che cercava di rivivere la religione vichinga, e comunque il loro sodalizio, prima intellettuale e poi affettivo, era durato 33 anni. In particolare, era stata lei i suoi occhi per leggere e studiare, e anche le sue mani, per scrivere i testi da lui dettati. Coautrice con lui di una breve antologia di traduzioni dall'antico anglosassone uscita nel 1978, era divenuta la sua inseparabile compagna già dal viaggio negli Stati Uniti del 1975, subito dopo la morte della madre novantanovenne di lui, che era stata gli occhi del figlio in precedenza. Un altro loro libro firmato assieme era stato un Atlante sui loro viaggi in giro per il mondo, con le impressioni di lui assieme agli appunti e alle fotografie di Kodama.

   

“Ma non imparò mai il Braille?”, le avevo chiesto. “Borges restò completamente cieco per leggere e per scrivere all'età di 56 anni”, mi aveva raccontato. “Ma poiché la cosa era avvenuta gradualmente, la madre aveva intanto iniziato lei a leggergli, e anche tante altre persone lo facevano. Poiché diceva di essere pigro per queste cose, non apprese mai il Braille”. Sembra incredibile al lettore normale che una persona priva di vista, bisognosa di qualcuno che gli leggesse e gli scrivesse, possa aver prodotto opere con un tale bagaglio di citazioni e interconnessioni come fece il cieco Borges... “Il fatto è che Borges era veramente una persona eccezionale. Alla mostra sui suoi libri che è stata fatta a Venezia (per il centenario, ndr), ci sono ad esempio alcuni testi con note scritte di suo pugno in cui si vede una concentrazione e una maturità di giudizi che sembrerebbero fatti dallo scrittore già affermato. È una persona che non legge per leggere, ma che segue il filo di quello che sta leggendo e mantiene nella sua testa, memorizza. Ma poiché Borges aveva l'abitudine di firmare e mettere la data in cui leggeva il libro, scopriamo che queste note le aveva scritte in realtà un ragazzo di 17 anni. Veramente, di che tremare dall'emozione”.

  

Esecutrice testamentaria dello scrittore, in tutti questi anni ne ha curato il legato intellettuale come presidente di una Fondazione internazionale Jorge Luis Borges creata due anni dopo la sua morte. Non senza qualche polemica. Figlia di una madre di origini tedesco-svizzere, inglesi e spagnole e di un padre di origine giapponese, il dna orientale le dava non solo una vaga somiglianza fisica con Yoko Ono, ma suggeriva anche in qualche modo un parallelo con l’analogo ruolo che l’altra illustre vedova ha esercitato rispetto all’eredità di John Lennon, anch’esso a volte contestato. Nel 2009 aveva così fatto causa allo scrittore Pablo Katchadjian per “El Aleph engordado”: un testo in cui erano state aggiunto 5.600 parole all'originale borgesiano, pubblicato in una piccola edizione di appena 200 copie. L’aveva persa. Nel 2019 era stata protagonista di un'altra polemica con lo stesso presidente argentino Alberto Fernández, quando aveva rifiutato l'iniziativa di creare un “Museo Borges” con manoscritti donati dall'imprenditore Alejandro Roemmers, ma che secondo lei erano stati rubati da una domestica.

 

Ma effettivamente María Kodama era la persona che Borges lo aveva conosciuto meglio, ed era sempre una miniera di aneddoti. Di lei ricordo pure, ad esempio, il racconto di quella volta in cui loro due si trovavano in un mercato marocchino ad ascoltare un cantastorie che raccontava a un pubblico attento una lunga storia, in cui ricorreva la parola “Borges”. “Curioso!”, disse lui. “In arabo c’è una parola uguale al mio cognome! Chiedi che significa?”. “Borges significa Borges”, gli spiegarono. Chissà se sapendo della presenza dell’illustre visitatore, ma il cantastorie si era messo a sceneggiare il suo racconto “La ricerca di Averroè”: storia di un famoso equivoco del filosofo della Spagna islamica medievale, che commentando i testi di Aristotele non capisce cosa siano la commedia e la tragedia dal momento che la cultura araba dell’epoca non conosce il teatro, e ascoltando a una cena con amici il racconto di un viaggiatore sul teatro cinese conviene con loro che si tratta di una stranezza, senza capire di aver avuto davanti agli occhi la chiave del mistero su cui si stava scervellando. María Kodama spiegava che allora entrambi pensarono a come la cecità aveva costretto Borges a tornare a quella fase di oralità ancora perpetuata da quel cantastorie, e che era stata agli albori della letteratura fin dai tempi di Omero. Non a caso, secondo la tradizione, anche lui un poeta cieco.

  

Nel 2021 aveva scritto l’autobiografia “María Kodama. Schiava della libertà” in cui aveva raccontato dell'invidia che la decisione dello scrittore di nominarla erede della sua opera ha suscitato negli “amici” e la sua insistenza nel volersi sposare. Prima di morire, aveva anche pubblicato un libro sul caudillo argentino ottocentesco Juan Manuel de Rosas. Curiosamente, proprio un personaggio che per Borges era stato una bestia nera, e che lei aveva invece in qualche modo riabilitato.

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