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nuovi orizzonti

Un convegno e un nuovo centro studi rilanciano la lezione di Heidegger sullo stare al mondo

Costantino Esposito

All'università di Bari si terrà il 2/3 febbraio un incontro che inaugurerà un luogo nuovo per esercitare la critica heideggeriana. La riscoperta del filosofo che ha ricondotto la storia all'essere, all'esistenza

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Una delle mosse vincenti di Martin Heidegger – quella che ha lasciato maggiormente la sua traccia nel pensiero di fine Novecento e continua a segnarlo fino a oggi – è aver scavato nella terra dura dei concetti della tradizione metafisica, per arrivare a liberare, dal suo stesso interno, la vena acquifera di un nuovo senso per la parola “essere”. Più al fondo di ciò che sembrava già il fondo ultimo, la “sostanza” che permane di per sé, la presenza intemporale, il dato oggettivo, il soggetto pensante – al fondo di tutto questo, Heidegger ha provato a pensare e a dire l’essere del mondo e dell’esistenza come pura temporalità, come storia. Una storia che non è appena una sequenza di avvenimenti nel corso del tempo, ma è la “storicità” dell’esistenza e infine la storia dell’essere stesso. O meglio, ha pensato l’essere come la sua storia, come “evento”. 

 

L’interessante di questa mossa sta nel fatto che non si trattava della classica soluzione dello storicismo – idealista o marxista che fosse – basata sull’idea che tutto, e ogni cosa, si dà nella cornice e nelle condizioni relative del proprio tempo e come espressione del proprio tempo va compresa e risolta. La posta in gioco di Heidegger è più alta e più azzardata – come lo è sempre ogni genuino tentativo metafisico: non tanto riportare “l’essere” alla storia e in essa dissolverlo (come anche l’ermeneutica debolista di Gianni Vattimo ipotizzava), quanto al contrario ricondurre la storia all’essere, installarla per così dire nel darsi a noi del mondo, delle cose, del nostro stesso io. 

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In questo darsi della “realtà” (una parola non molto amata né molto usata da Heidegger) “accade” qualcosa che non è riducibile alle determinazioni oggettive con cui le cose e gli eventi si presentano, e che noi siamo chiamati ogni volta a impattare e a decifrare, a concettualizzare e a controllare. Questo dobbiamo sicuramente farlo, per poter vivere e stare al mondo, e per assumere il nostro ruolo nella grande narrazione culturale e politica della società. Ed è quello che fanno continuamente la cultura umanistica e la scienza esatta, la tecnica planetaria e i mezzi della comunicazione di massa. Ma ciò che rende proprio, “differente”, l’esserci umano rispetto agli altri enti è la comprensione che esso solo possiede – non a livello teorico, ma come apertura esistenziale – della “differenza” dell’essere stesso dall’ente. 

 

Certo, “l’essere” considerato in quanto tale rischia di risultare un’astrazione insopportabile, e tutto sembrerebbe risolversi affermando che esso non “è” altro che la mera presenza delle cose misurabili da parte di un soggetto che appresenta il mondo secondo le sue categorie. Ma la soluzione non regge, e non per partito preso, ma perché questa “differenza”, se da un lato sembra inafferrabile, dall’altro continua a chiamarci, ad appellarci, ad “appropriarci” a sé: Er-eignis etimologicamente è un evento di appropriazione di essere e uomo. Riuscire a intercettare e ad ascoltare questa “voce” che ci chiama a essere noi stessi è come la sorgente nascosta – la vena acquifera – da cui dipendono il nostro sguardo sul mondo, le nostre scelte e le nostre decisioni. È la più “poietica” e la più “politica” delle decisioni che sempre gli esseri umani sono chiamati a prendere di fronte al reale. 

 

Al tema dell’Ereignis è dedicato un convegno che si terrà presso il dipartimento dirium dell’Università di Bari, il 2 e 3 febbraio 2023. Ciò che rende particolarmente significativo questo appuntamento, oltre naturalmente al tema, è il fatto che esso coincide con il lancio di un nuovo Centro studi di critica heideggeriana, nato da alcuni docenti dell’Università di Bari, ma che vede la partecipazione di quasi quindici università italiane e della maggior parte degli specialisti heideggeriani che operano in esse. L’idea è quella di valorizzare il contributo continuo e intenso che la critica italiana ha dato e continua a dare alla ricerca internazionale sul pensiero heideggeriano.

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Per questo, a segnare la continuità di un impegno interpretativo nelle diverse generazioni di studiosi, il convegno vedrà la presenza da un lato di alcuni studiosi divenuti ormai punti di riferimento (Vitiello, Sini, Mazzarella, Samonà, Courtine, per citarne solo alcuni), e dall’altro di un gruppo assai nutrito di giovani ricercatori che hanno raccolto il testimone, non per chiudere, ma piuttosto per riaprire le questioni poste dal filosofo tedesco per il nostro tempo. Appunto, non un centro su Heidegger, quanto piuttosto di “critica heideggeriana”.

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