Gina Lollobrigida e Vittorio De Sica in "Pane, amore e fantasia", commedia del 1953 diretta da Luigi Comencini

1927-2023

Che bella era la “Lollo”, diva naturale di un'Italia più simpatica della nostra

Alberto Mattioli

Veniva da un paese che usciva stremato dalla guerra e sognava l’abbondanza: già alla famosa Miss Italia del 1947 fu un trionfo di signorine grandi forme. L’entertainment si accendeva contrapposizioni nette, come il derby Lollo-Loren

Certo, la Lollo veniva da un’Italia che usciva stremata e affamata dalla guerra e sognava l’abbondanza, proprio quella fisica, carnale, ghiandolare. Così, passata ’a nuttata, già alla famosa Miss Italia del 1947 fu un trionfo di signorine grandi forme: in un colpo solo, Lucia Bosè, Gianna Maria Canale, Eleonora Rossi Drago, Silvana Mangano e, appunto, Gina Lollobrigida, così diverse dalle bellezze nervose e sportive del fascio. Non erano ancora tempi di scomuniche politicamente corrette né di accuse di sessismo: alle miss si chiedevano le misure, non cosa pensassero della condizione della donna; il sogno, confessatissimo, era quello del cinema, o almeno dei fotoromanzi, non di fare il magistrato (fateci caso: tutte le miss attuali vogliono diventare giudice) o di impegnarsi per qualche causa ambientalista. Lo sfondo era ancora contadino, ruspante, alla fine ingenuo: un immaginario di poveri ma belli, pane, amore e fantasia, tutto un Cuore con misure 90-60-90 dove ovviamente la bersagliera a dorso d’asino non può che fare breccia nel cuore del maresciallo dal baffo malandrino, salvo preferirgli il giovin principiante imbranato. Anche prodotto da esportazione, però, come già la pizza e la mafia e presto i vestiti e i mobili, sicché Gina spopolò a intermittenza pure a Hollywood: “il petto atlantico”, la chiamava il sublime Marcello Marchesi.

 
Curioso, però. Quell’Italia torpidamente democristiana, proporzionale, consociativa, inclusiva, di larghe intese e convergenze parallele, nell’entertainment viveva invece di contrapposizioni nette, manichee, tutto un derby senza appello, secondo la vecchia buona tradizione di guelfi e ghibellini, e senza ministri della cultura a sproloquiare di Dante. Dunque, Callas-Tebaldi, Coppi-Bartali, Mike-Pippo, melodici-urlatori, Di Stefano-Del Monaco (sì, la lirica era ancora nazionalpopolare, Gramsci docet). E, appunto, Lollo-Loren, il maggioritario delle maggiorate, non si sa quanto davvero desiderose di prendersi di petto o quanto insufflate da uffici stampa svegli a uso dei rotocalchi popolari, già, ecco un altro pezzo di quell’Italia sì bella e perduta. Alla fine, una partita De Gasperi-Togliatti ci fu solo per la forma, aveva già vinto l’Alcide prima ancora di cominciare, se non altro perché erano arrivati i carri armati americani e non quelli russi. Anestetizzato il dibattito pubblico con il morbido cloroformio diccì, su tutto il resto ci si poteva scannare in pace. E qui, con il senno (o il seno?) di poi, si può dire che alla fine fu Sophia a vincere, più sofisticata, più internazionale, francamente più brava come attrice, anche perché poi a un certo punto Gina mollò la presa, riciclandosi come fotografa, scultrice, intervistatrice di Fidel, candidata alla elezioni, vittima di toyboy, ma sempre Lollo in saecula saeculorum, certe cofane, certi abiti sberluccicanti, certi brillocchi, certa sfrontatezza già bersaglieresca che faceva tanto diva naturale contro lo chic dell’Altra. Non poteva non risultare simpatica, la Lollo: anche soltanto perché la sua Italia era molto più simpatica della nostra. 

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